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Varese, svolta o pietra tombale sul caso Giuseppe Uva?
Antonio Calandra
4 gennaio 2014

I termini stabiliti per l'indagine suppletiva sono scaduti il 31 dicembre. Il pm Agostino Abate, da sempre titolare dell'inchiesta sulla morte di Giuseppe Uva, ha interrogato anche i carabinieri e poliziotti presenti nella caserma di via Saffi a Varese. Uva è morto all'ospedale della città il 14 giugno del 2008, dopo essere stato arrestato e trattenuto parte della notte nella stazione dei carabinieri che lo avevano fermato. Ora c'è attesa per i risultati della nuova fase di indagini. Ci sarà un colpo di scena? O il pm chiederà una nuova archiviazione per le forze dell'ordine?

Sono in tutto due i carabinieri e sei i poliziotti - assistiti dall'avvocato Luca Marsico - sentiti dal pubblico ministero Abate, che aveva chiesto l'archiviazione respinta poi dal gip Giuseppe Battarino. La tesi del pm è che la morte di Uva fosse riconducibile a un caso di malasanità. Ma il gip aveva insistito perché venissero fatte nuove indagini sulla permanenza di Uva nella caserma di via Saffi. Sulla vicenda era intervenuta anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, avviando un'azione disciplinare nei confronti del pm Agostino Abate

«Le cause della morte - aveva scritto Battarino - vanno ricercate nelle condotte delle persone presenti in caserma quella notte, è una morte per la quale doveva sorgere immediatamente il sospetto di un reato, il valore della libertà personale è prevalente su ogni altra esigenza pubblica o privata (Giuseppe Uva non fu arrestato, non c'era alcun motivo per farlo) e nessun può essere privato della libertà personale se non in forza di una legittima detenzione».

La sorella di Uva chiede da più di cinque anni che «venga fatta giustizia e scoperta la verità» su quella notte. Secondo la donna, infatti, il fratello morì «dopo essere stato picchiato in quella caserma». Il pm Abate non aveva finora svolto indagini sull'operato delle forze dell'ordine, preferendo invece indagare la sorella di Uva e i cronisti che si sono occupati della vicenda, guardandola con una prospettiva differente dalla sua.

Ed era stato sempre il gip Battarino a riportare l'attenzione su quello che per tutti era una evidenza lapalissiana, ovvero le ferite presenti sul cadavere dell'arrestato. «La morte di Giuseppe Uva non è riconducibile ad errata somministrazione di farmaci - dice il gip -, sul suo corpo vi erano tracce diffuse di lesioni, ci fu un'importante effusione di sangue proveniente dalla zona anale, la morte è conseguita ad un'aritmia derivante dal contenimento e dallo stress fisico e i traumi subito sono concause del decesso».

La strategia della difesa punta in ogni caso sul tempo di permanenza di Uva in caserma: non sarebbero passati più di 20 minuti, «che non sarebbero stati sufficienti nemmeno per torcergli un capello», spiega l'avvocato Marsico -. In ogni caso, la procura dovrebbe aver anche acquisito la chiamata dell'unico testimone mai ascoltato, Alberto Bigioggero, fatta al 118, dicendo di mandare un'ambulanza perché stavano picchiando un suo amico. Si attende ora che la procura depositi i risultati dell'indagine suppletiva.