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NAPOLI, 17 marzo 2001
Scheda a cura di Davide Cassinari, del collettivo Borgorosso - Piacenza

La repressione inaudita che lo Stato ha praticato contro il movimento durante le giornate di Genova nel Luglio 2001 non nasce dal nulla. Un inquietante preambolo di questi eventi è stata la repressione poliziesca del 17 marzo dello stesso anno a Napoli, che ha colpito la contestazione contro il Global Forum sull' e-government. Questa prova generale di stato di polizia è passata inquietantemente quasi sotto silenzio sulla maggior parte dei media; forse la presenza del centrosinistra (ricordiamo che l'allora ministro dell'interno Enzo Bianco si complimentò con la polizia dopo i fatti di Napoli) al governo ha spinto molte voci a tacere...
Ho pensato che il modo migliore di raccontare quanto accaduto fosse riportare le testimonianze di chi era presente, estrapolate dal libro bianco edito da Derive Approdi. Coloro che hanno ritenuto opportuno rilasciare queste dichiarazioni sono donne ed uomini d'ogni età, studenti, lavoratori dipendenti ed autonomi, disoccupati, liberi professionisti, in alcuni casi adolescenti alla loro prima manifestazione. Ora, però, è possibile evidenziare alcuni aspetti particolarmente sconcertanti che queste persone hanno descritto nel ricordare la giornata del 17 marzo 2001 ed è possibile trarne alcune considerazioni di più ampia portata.

Pressati dalla documentazione video e fotografica prodotta tempestivamente dal network di controinformazione della rete NoGlobal e dalla collaborazione spontanea di molti operatori dell'informazione colpiti dalle scene viste in Piazza Municipio, la questura e il ministero degli interni hanno cominciato ad ammettere la possibilità di singoli episodi in cui la truppa, sovraeccitata, avrebbe perso il controllo della situazione. Dai dati raccolti emerge, invece, un quadro molto più sistemico e con esso l'intenzione dei vertici della questura di dare una risposta "memorabile" alla più grande manifestazione autorganizzata che Napoli abbia vissuto da circa vent'anni a questa parte.
La sensazione che emerge, da un'attenta lettura di queste pagine, è quella di una repressione tanto più feroce in quanto non indirizzata verso singole persone o limitata ad atteggiamenti eccessivi di singoli "Tutori dell'ordine pubblico".
Emerge chiaramente la volontà dei corpi armati dello Stato italiano di trasformare Piazza Municipio in una gabbia da cui fosse impossibile uscire. Le descrizioni rilasciate evidenziano l'accuratezza con cui il coordinamento delle "Forze dell'ordine" ha evitato di lasciare una qualsivoglia via di fuga per coloro che erano stati rinchiusi nella "Gabbia" Municipio.
Questo ha creato panico e senso di impotenza dei manifestanti nei confronti di uomini armati dallo stato; ha generato una situazione tale da costringere ragazzini di quindici anni a gettarsi in fossati alti oltre i dieci metri pur di sfuggire alla rabbia di uomini armati dallo stato.
Dalle dichiarazioni emerge come le "Forze dell'ordine" abbiano caricato i manifestanti da ogni punto della "Gabbia" Municipio: da via Leoncavallo, da via Verdi, da via Medina, da via De Pretis, dalle strade che portano verso il molo Beverello...
Viene più volte evidenziato come gruppi di manifestanti siano stati spinti verso punti insicuri della "Gabbia", a ridosso del fossato del Maschio Angioino, ad esempio, ammassati e "Protetti" da una ringhiera troppo instabile e troppo bassa per fare da argine verso il vuoto.
E' stata riscontrata la fermezza delle "Forze dell'ordine" nell'impedire agli operatori sanitari del 118 di svolgere il loro lavoro di pronto intervento e di trasporto di persone, gravemente ferite, verso gli ospedali.
Ma le testimonianze vanno anche molto oltre quello che è accaduto nella "Gabbia" allestita temporaneamente in occasione della repressione di una grande manifestazione democratica.
Si evince la crudeltà di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza all'interno degli ospedali e le pressioni portate nei confronti del personale medico e paramedico al fine di rendere meno tempestive le cure ai feriti. Vengono rese pubbliche le violenze fisiche e psicologiche subite dai fermati all'interno dei drappelli di polizia allestiti negli ospedali, delle caserme e dei commissariati (in particolare la caserma "Raniero"). Violenze difficilmente dimostrabili se non mediante un riscontro congiunto delle dichiarazioni delle donne e degli uomini che le hanno dovute subire.
Si potrebbe continuare con le descrizioni dei fatti e dei soprusi ma, lo ripetiamo, nulla è più chiaro (e più doloroso, allo stesso tempo) delle testimonianze rilasciateci.

Ci preme sottolineare, però, il dato più importante di questa raccolta: le persone ed i loro racconti testimoniano quanto siano state premeditate le azioni portate avanti dai diversi "Monopolisti dell'uso della forza", quanto siano state studiate in ogni minimo dettaglio e ben prima che il corteo giungesse a "Gabbia" Municipio e quanto è stato posto in essere al fine di occultare prove, terrorizzare persone, procurarsi dichiarazioni assolutamente non veritiere perché rilasciate sotto minacce di violenze o sulla scorta di violenze già compiute. Ma dalla "Gabbia" si è usciti, più forti ed orgogliosi di prima.
Le responsabilità di quanto accaduto, a questo punto, non possono essere limitate a "schegge impazzite" all'interno della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, a singoli casi d'eccesso all'interno di una gestione ineccepibile degli avvenimenti. Sono responsabilità che vanno addebitate ai vertici di queste strutture ed in primo luogo al Questore Izzo che ha gestito la più grande operazione repressiva della conflittualità sociale che in Napoli si manifesta quotidianamente in un quadro di assoluta noncuranza dei valori e dei diritti personali e collettivi che un qualsiasi stato di diritto ha il dovere di assicurare.
A ben vedere, però, quelli narrati in queste pagine sono avvenimenti che possono essere compresi solo se calati in un diverso contesto: quello di uno stato di polizia.

Leggere per credere...

***

LE TESTIMONIANZE

M. N.
Il giorno giovedì 15 marzo ho avuto una discussione con due militari armati nella mia facoltà, il Navale, che si trova a ridosso della "zona rossa" (tra il Maschio Angioino e il porto). Ho chiesto loro se erano autorizzati a girare armati e mi hanno risposto con una risata. Data la mia insistenza, inoltre, hanno arguito che fossi comunista: quando ho chiesto loro se fosse un problema, la risposta è stata: "noi tendiamo a reprimere la gente come te".
Come?
La risposta sabato 17 marzo: ero sui giardini di Piazza Municipio quando è arrivata senza un evidente motivo una pioggia di lacrimogeni (è evidente che volevano disperderci). Io e altri compagni ci siamo diretti a mani alzate verso via Depretis, stavamo svoltando l'angolo per calata S.Marco (sempre con le mani alzate) quando ci è arrivata addosso una carica di finanzieri. Ho preso una prima manganellata alla gamba sinistra, mi sono appoggiata alla saracinesca dietro di me, ho guardato un finanziere in faccia dicendogli che non ero armata, ma per tutta risposta ho ricevuto la seconda manganellata sul braccio sinistro e via di seguito su tutto il corpo. A pochi passi da me c'era a terra un ragazzo gia' sanguinante sul quale continuavano a infierire con violenti calci sulle costole e dove riuscivano perchè essendo troppi (5 o 6) non riuscivano neanche a picchiarlo bene. Intanto io per il dolore mi sentivo svenire quando dei ragazzi mi hanno trascinato verso di loro dicendomi di alzare le mani. "Non funziona" ho risposto "picchiano lo stesso". Abbiamo poi imboccato il vicolo di calata S.Marco e ci hanno rincorso anche li'. Non si stancavano mai di picchiare!

G. H.
Sono un infermiere.
Ero anch'io presente tra quella moltitudine di manifestanti per le vie di Napoli. Mi ero autoincaricato di far parte (come altri) del pronto intervento sanitario. Un gruppetto nato spontaneamente durante i giorni che preparavano la manifestazione internazionale. Autofinanziati per l'approvvigionamento di medicamenti e coordinati dalla nostra volontà di intervenire laddove ce ne fosse bisogno. I telefonini erano i nostri mezzi di contatto.
Mi trovavo alla testa del corteo, nel pieno vortice degli scontri. Il tempo sembrava fermarsi nella spirale di violenza scatenata dalle "forze dell'ordine". Alla terza carica, quella finale, ero riparato dietro il camion dei centri sociali. Interminabili lanci di lacrimogeni ci impedivano qualsiasi via di fuga. Ricordo di aver visto gruppi di uomini in divisa appostati all'angolo di via G.Pisanelli che sparavano a raffica candelotti di lacrimogeni con quella specie di minibazooka in loro dotazione. Erano piegati sulle gambe e questo fa capire che traiettoria potessero prendere i colpi. Altezza d'uomo.
Altri esplodevano colpi da armi che non ho identificato, ma non credo di sbagliarmi se penso ai proiettili di gomma . Altri lanciavano pietre e quant'altro.
Un momento di lucidità per riprendermi da quello scenario di violenza e ricordarmi della mia "missione".
Il primo che mi capitò di soccorrere fu un ragazzo che sanguinava alla testa. Vagava stordito sui giardini antistanti il Maschio Angioino sorretto da alcuni suoi amici. Il tempo di rendermi conto della gravità della ferita e tamponare l'emorragia con la garza che avevo. Era impossibile sostare su quel prato. Il terrore delle truppe inferocite che ci circondavano ci facevano desistere dallo stare fermi .
Ovunque c'erano divise che ci intimavano di andare via sotto la minaccia dei manganelli. Ci dirigemmo verso quella che sembrava l'ultima via di uscita: via Marina .
Una ragazza lungo la strada, anche lei con il capo insanguinato e con una gran paura addosso, chiedeva aiuto e di potersi riposare. La prendemmo quasi di peso e la portammo verso le prime ambulanze che arrivavano dal Loreto Mare, credo.
Apro una parentesi di riflessione a riguardo. E' vero che quella Piazza era chiusa ai manifestanti , ma che le ambulanze non potessero accedervi (così fu nell'immediato periodo dopo la repressione) per soccorrere quelli che feriti giacevano agli angoli delle strade, questo non so spiegarmelo.
E poi, perché non c'è stato intervento dei P.S. del servizio di emergenza dell'ospedale Vecchio Pellegrini? E' vero quanto mi fu comunicato che quell'ospedale posto nel centro storico era completamente blindato dalle "forze dell'ordine" e quindi impossibilitato a svolgere le proprie funzioni assistenziali?
Intorno alle 13 mi giunge una telefonata. Era un compagno dello SKA che mi chiede di raggiungerlo perché arrivavano lì molte persone che avevano bisogno di cure.
Faccio in tempo a contattare gli altri componenti del pronto intervento e comunicar loro lo stato delle cose, poi mi dirigo verso il Laboratorio okkupato SKA di calata Trinità maggiore. Sembrava una infermeria da campo. Corpi adagiati un po' dappertutto. Chi con ferite alla testa, chi con arti edematosi. Un groviglio di feriti sparsi in tutto lo spazio dell'ingresso. In prevalenza i feriti erano giovanissimi.
Ricordo di aver medicato volti tumefatti per violenti colpi di manganello e di scarponi. Mani gonfie e braccia contuse che cercavano di riparare organi vitali da calci e pugni. Un uomo o sulla quarantina che non riusciva a tenersi in pedi per via della forte contusione alla gambe sinistra .
Una ragazza colpita all'altezza dello sterno destro da un lacrimogeno, che aveva problemi a respirare.
Giovani che riportavano sanguinamento al capo per evidente lacerazione del cuoio capelluto, dovuto a pestaggi continui.
La straordinaria solidarietà dei più coraggiosi, di fronte a quella scena drammatica, fu un aiuto indescrivibile in quel momento di confusione. Ore e ore a disinfettare, medicare suturare.
Non posso dire quante persone furono assistite da quel pronto soccorso improvvisato: di certo ne sono passati tanti , forse troppi per una manifestazione pacifica.

C.P.
Eravamo in ritardo: io avrei preferito arrivare comunque a piazza Garibaldi, ma invece i due amici con cui ero sostengono che è meglio farsi il percorso del corteo al contrario. Perciò passiamo a ritroso per via Roma e, proseguendo per Piazza Municipio, vedo che c'è un vero e proprio esercito tra polizia, carabinieri e guardia di finanza. Hanno "tappato" tutte uscite della piazza lasciando libero solo l'accesso di Via Depretis. Mi viene in mente la favola de "Il pifferaio magico". Era fin troppo evidente: avrebbero lasciato che il corteo entrasse da quella parte, per poi chiuderlo in una morsa infernale senza che nemmeno avesse il tempo di rendersene conto! Mi spavento al tal punto da decidere che io, in quella piazza, non ci sarei entrata.
Avendo visto, lungo il tragitto tutti i vari schieramenti delle forze dell'ordine in assetto di guerra già quando il corteo si era da poco mosso da Piazza Garibaldi, ero un po' tesa. Mi accorgo che le mie paure non erano del tutto ingiustificate quando dall'alto di un muretto, sul quale ero salita per osservare meglio questo mare che avanzava, vedo la gente che comincia a correre. Sparano i lacrimogeni. Ci sono tanti tra quelli che scappano che con i manifestanti non centrano nulla: persone che stavano recandosi al lavoro, anziani, una mamma col carrozzino. Riesco a ripararmi in un portone di Via Sedile di Porto. Il primo scontro scatta in Piazza Borsa. I due ragazzi che erano con me li ho persi completamente di vista. Nel posto dove mi sono riparata ci sono tre ragazzine di, credo, appena quindici anni che tremano terrificate: hanno perso i loro amici in mezzo alla carica. C'è anche una madre che piangendo grida: "Mio figlio è là in mezzo, aiutatemi!". Cerco di rassicurarla come posso.
Sono ancora nella piazza quando ad un angolo vedo sedute due ragazze contuse. C'è un signore che sta parlando con loro. Sono davvero conciate male. Mi avvicino, capisco che quel signore le aveva prestato soccorso, aiutandole ad arrivare dal centro della piazza, dove erano state pestate, a quell'angolo un po' più riparato: non lo conoscono. Porgo un fazzoletto ad una delle due che ha il braccio sanguinante. Sono di Bologna. Piangono, non per il dolore delle ferite, ma per il modo con cui sono state inflitte. Sono inciampate mentre la carica era in atto e non sono più riuscite a rialzarsi per la folla di manifestanti che correvano in tutte le direzioni. A quel punto sono state circondate dai poliziotti che con calci e manganellate hanno inferto i loro colpi fino a farle perdere quasi conoscenza. L'altro signore vuole raggiungere gli altri della manifestazione, così mi offro di accompagnarle io in ospedale. Via L. Sanfelice è ancora piena di polizia, non si può passare, hanno ancora il sangue agli occhi. Prendo lo zaino della ragazza che ha una spalla gonfia (dal gonfiore credo che sia rotta, ma non glielo dico) e torniamo indietro per Corso Umberto fino a salire per Mezzocanone. Loro mi chiedono in continuazione, se voglio tornare lì tra gli altri, di indicarle semplicemente la strada, ma racconto quello che avevo visto a Piazza Municipio e, ad ogni modo, con quegli occhi colmi di terrore per le violenze subite, credo che chiunque, con un minimo di sensibilità, non le avrebbe lasciate sole. Stavo aiutando due ragazze portandole al pronto soccorso più vicino, cercando, con una buona parola, di offrire un minimo di conforto. Semplicemente ciò che avrei voluto trovare io se mi fossi trovata in una città che non conoscevo, per di più stordita dalle manganellate della polizia.
Entriamo al Pellegrini. A raffica, arrivano feriti più o meno gravi. Ci sono quelli che arrivano con le ambulanze, ci sono quelli che arrivano a piedi: carne da macello. Una giornalista del quotidiano "La Repubblica" mi si avvicina facendomi una serie di domande, cerco di risponderle per quanto mi è possibile, ma la vista di tutti quei corpi sanguinanti, mi rendeva sconvolta. Vorrei avere notizie delle due bolognesi, se quella più grave ha sul serio la spalla rotta. Un signore robusto, con i capelli grigi, in borghese, mi si avvicina: "Venga un attimo con noi". Lì per lì, penso che forse nell'angolino dove mi ero messa, stavo intralciando il passaggio delle barelle, che mi devo spostare. Invece il signore mi afferra per le braccia, da dietro, e mi porta nella guardiola della polizia: "Mi dia un documento". C'era un altro paio di ragazzi quando sono entrata lì e a distanza di pochi minuti sono arrivati altri e altri ancora. Ho visto che segnavano i miei dati, mi sono detta: "Ora mi chiederanno come mai ero lì, io dirò che ho soccorso le due ragazze, mi faranno firmare qualcosa, mi restituiranno il documento e mi lasceranno andare, tutto qui!" e invece dopo entra una poliziotta, o meglio un'ispettrice o cos'altro non so, e sento che dice "Si...si...portateli tutti alla Raniero". Mi chiamano tra i primi quattro e penso che è meno male, così mi sbrigo subito, subito e torno a casa! Forse qui non hanno i fogli per le dichiarazioni, se ne dobbiamo fare una. Provo a chiedere informazioni su cosa sta accadendo e perché dobbiamo spostarci, nessuno mi risponde, nessuno mi dà retta, ci sono altri come me che hanno accompagnato feriti, che provano a spiegare perché erano là, ma vengono respinti dagli agenti.
Solo quando esco fuori e mi si avvicina una signora mostrandomi il tesserino dell'ordine degli avvocati, comincio a capire qualcosa. Mi dice: "Per qualsiasi cosa, sono un avvocato, il mio nome è..." e mentre lo diceva mi hanno spinto nella macchina della polizia, che avevo si, visto uscendo, ma che mai avrei immaginato stesse aspettando me. "Alice nel paese delle meraviglie" cominciava a svegliarsi finalmente! A sirene spiegate e correndo, come se trasportasse chissà quale efferato criminale, l'auto ha preso direzione Piazza Dante per poi, girare per via Broggia, qui si è bloccata per il traffico. La gente che aspettava alla fermata l'autobus, cercava di sbirciare all'interno dell'auto per cercare di riconoscere il "delinquente" e tra loro, qualcuno soddisfatto diceva: "Ah! Meno male che ogni tanto funziona la giustizia!"
Ci fermiamo. Mi aprono la portiera e un corridoio di poliziotti ci "accoglie" con sputi, insulti e spintoni. Entro in un grosso stanzone dove sul fondo vedo, cinque, sei ragazzi inginocchiati, faccia al muro, presi a calci, calci così forti da farli saltare da terra. E' quello che aspetta anche me. Ho paura. Sento le gambe tremarmi tanto che, quando ci sbattono contro al muro e dicono di inginocchiarci con le mani dietro la nuca, è quasi un momentaneo sollievo. Le provocazioni e gli insulti sono pressanti, mai avrei immaginato che le cose andassero così!
Se ti giravi per vedere chi le stesse prendendo, giù con calci e pugni anche su di te. Hanno fatto così con un ragazzo che mi era affianco. Perdi ogni diritto, ti tolgono la dignità. Mi hanno detto cose orribili. Ho cominciato a pregare, la mia disperazione e smarrimento richiedevano un urgente bisogno di qualcosa a cui appigliarmi, in cui trovare forza. Pregando riuscivo ad isolarmi da tutte le loro provocazioni, a non sentire più niente. Solo ad un tratto, uno mi ha urlato in faccia tirandomi i capelli: "Si sulament' hann' sfiorat' a 'na cullega dda nost' t'amm'accirere'!"(Se solamente hanno sfiorato una nostra collega, ti dobbiamo ammazzare!). E mi sono sentita come se mi leggessero una sentenza di morte: colleghi o colleghe loro saranno stati sicuramente feriti negli scontri che ci saranno stati a Piazza Municipio e loro lo sapevano benissimo, avrebbero cominciato con una scusa qualsiasi a prendermi a calci. Solo l'intervento dei commissari, li ha fatti momentaneamente calmare. Ma ci sono venuti vicino dicendo che appena se ne fossero andati i loro capi per noi non ci sarebbe stato più scampo, che eravamo dei bastardi, che ora, lì dentro, stavamo facendo le finte pecorelle e che invece non eravamo altro che una massa di sovversivi e per questo avremmo pagato.
Hanno cominciato le perquisizioni: uno alla volta, dentro al bagno, a porta chiusa. Ancora mi assale il terrore, non capisci cosa ti succede là dentro e non vedo poliziotte in giro, non mi meraviglierei se a perquisirmi fosse un poliziotto e mi mettesse le mani addosso. Arriva il mio turno, nessuna poliziotta e c'è un poliziotto nel bagno. Temporeggio e, fortunatamente, vedo arrivare una donna in borghese che mi invita a seguirla. Nell'entrare vedo il lavandino pieno di sangue e altro sangue schizzato "di fresco" su tutte le pareti. In quel momento non capisco: se tutti quelli che sono lì provengono dall'ospedale, saranno già stati medicati, ricucite le ferite e bendati; allora da dove proveniva tutto quel sangue? Non so darmi una spiegazione, o meglio, preferisco non darmela!
La donna dice di spogliarmi. Vorrei dirle che io non c'entro niente, che ho solo accompagnato due ragazze in ospedale, ritenendo di fare una cosa giusta e che invece quello che stava accadendo non era giusto, ma riesco appena a chiederle quando finirà tutto quest'incubo. Lei non sa rispondermi, controllando nella mia borsa trova il telefonino acceso, mi ordina di spegnerlo. Dice che se non l'avessi capito sono "in fermo" e non ho diritto a comunicare con l'esterno. Mi chiede se ho piercing e mi fa togliere i lacci delle scarpe, dice che con quelli potrei farmi del male. Rispondo che se non sono loro a farmene, io, da sola, non ho di certo nessuna intenzione di procurarmelo. Poi mi guarda la collanina che ho al collo, è titubante, poi dice che quella posso tenermela. Prende le due cinture che avevo poggiato nello spogliarmi sul lavandino. Erano entrambe un regalo, le avevo da tempo, ci tenevo molto. Chiedo se le potrò riavere indietro. Non lo sa. Aspetta che mi rivesto ed apre la porta.
Penso che forse il peggio sia finito. Ho bisogno di una bugia da raccontarmi. Mi rispingono contro al muro, giù, in ginocchio. Il ragazzo affianco a me sottovoce mi chiede che mi hanno fatto lì dentro, rispondo che io sono stata perquisita da una donna che con me è stata abbastanza tranquilla, ma sono pienamente cosciente che per lui non ci sarà lo stesso trattamento. I poliziotti l'hanno preso di mira da come è entrato nella caserma. Mentre lui è dentro, i "capi" ordinano che chi è stato perquisito può girarsi e mettersi seduto, sempre giù, per terra. Così vedo il ragazzo che spinto, esce dal bagno. Ancora l'insultano, ancora lo provocano pesantemente. I segni delle percosse sono più che evidenti sul suo volto anche perché prima di entrare lì dentro era completamente illeso. Era anche lui al Pellegrini e anche lui era lì per aver accompagnato una ragazza che ha avuto sette punti di sutura alla testa e contusioni varie. Dopo un po' è arrivata anche lei in caserma.
Fino alle 16 continuano arrivare poliziotti che portano altri ragazzi. Non riesco a capire ancora quanti ne siano. Sono dall'altra parte dello stanzone e io devo stare seduta per terra, senza muovermi e poi c'è un grande via vai di commissari, agenti in borghese e tanti altri in divisa. Stanno portando un ragazzo nuovo. Lo "depositano" vicino a me. E' straniero e non parla la nostra lingua. Il poliziotto gli chiede i documenti, ma lui non capisce e lo prega di ripetergli la domanda in inglese o in francese. "Dicit 'a stu' strunz che m'adda ra'e document!" (Dite a questo stronzo che mi deve dare i documenti!). Così un ragazzo si mette a fare da interprete. Il nuovo arrivato gli dà il passaporto. E' svizzero. L'agente controlla la fototessera al suo interno ed esclama con un tono ricolmo d'odio: "Si, sì propr' tu...a' stess' facc'e cazz!" (Si, sei proprio tu...è la stessa faccia di cazzo!). Lo prende a parolacce, per giunta in dialetto, quando sa che non capisce. Ma lui insiste, così, giusto per soddisfazione personale. Poi si allontana chiamando un collega: "Vedi? Abbiamo preso anche un clandestino...".
Ormai è tre ore che sono qua dentro. Nessuno ci dice niente, nessuno ci dà delucidazioni su cosa sta accadendo, nessuno, oltre ai nostri dati, ci chiede qualcosa. Quei pochi che tentano di spiegare la loro posizione vengono respinti e presi in giro dai poliziotti, ai superiori, figuriamoci, non ci si può nemmeno accostare. Dal fondo della stanza sento che un agente risponde ad un ragazzo, che ha chiesto di poter telefonare a casa, che non era possibile, in quanto, se eravamo stati arrestati ne avevamo diritto, essendo semplicemente fermati no! Non credo che si permettano di trattare i camorristi come stanno trattando noi.
Improvvisamente mi si avvicina un poliziotto, si china verso di me e senza spiegarmi nulla mi dice di firmare. Intontita prendo la penna che mi porge, sto quasi per firmare, quando mi "risveglio" e mi viene in mente (Sacrilegio! Lì dentro non hai diritto di pensare solo di eseguire ciò che ti viene ordinato) di approfittare di quella prima e unica occasione che avevo per capire finalmente, di che cosa ero stata accusata. Come mai ero stata "fermata" se ero già ferma per fatti miei fuori un ospedale?
Il poliziotto, vedendo che non scrivo m'indica nuovamente lì dove devo apporre la mia firma. Gli dico che mi rifiuto e dopo tutte le minacce e le provocazioni, credo che di aver usato tutto il mio coraggio per farmi uscire quella frase. Avevo letto che erano segnate le due cinture che mi avevano preso: sono diventate oggetti pericolosi sottoposti a sequestro. Penso che sono le stesse identiche cinture che hanno riempito in quest'ultimo periodo bancarelle, negozi, le passerelle delle più famose case di moda. Credo che da domani, a questo punto, dovranno avere il permesso di porto d'armi un po' tutti, allora, per indossarle! Più in fondo alla pagina c'è scritto qualcosa riguardo alla manifestazione e che ero stata "fermata" lì in mezzo, forse mentre commettevo qualcosa di violento, ma, a dir la verità, non riesco a leggere bene: l'agente indicandomi il posto dove devo firmare me lo impedisce, e quando provo a spiegargli, timorosa, che la mia storia è differente da quella riportata su quel foglio, nervosamente si allontana senza lasciarmi finire di parlare. Mi convinco che vada a chiamare qualche superiore, che qualcuno, vista la mia reazione, mi ascolti, ma niente. Altri poliziotti si avvicinano per far firmare altri ragazzi attorno a me e loro, ormai distrutti fisicamente e psicologicamente, senza opporsi, eseguono l'ordine.
Così come li hanno ridotti, farebbero qualunque cosa che li consenta di abbreviare quella tortura.
Ora che devono compilare tutte quelle scartoffie, gli agenti prestano meno attenzione a noi e riesco a scambiare qualche parola con quelli che mi sono più vicini. Ci sono due ragazzi di Padova, erano venuti alla manifestazione anche come scusa per vedere un po' Napoli. Hanno circa vent'anni. La ragazza è stata colpita da manganellate alla testa durante le cariche a Piazza Municipio, poi continuandomi a raccontare, mi mostra la schiena. Un orrore! E' un'unica macchia violacea. Ha del sangue che continua ad uscirle da una delle ferite alla testa e nonostante questo è stata picchiata anche una volta arrivata in caserma, senza un minimo di pietà. Il fidanzato l'aveva accompagnata in ospedale. Sono stati tra i primissimi ad arrivare. Mi spiega che era una delle prime volte che partecipavano ad un corteo. Avevano saputo che nei giorni precedenti non c'erano stati incidenti, nonostante ci fossero state altre iniziative contro il Global Forum, e sono partiti sereni. Lui durante gli scontri in Piazza era riuscito a ripararsi. Ma vedo che ha un labbro spaccato e gli chiedo spiegazioni. Durante la perquisizione, in bagno, a porte chiuse, un poliziotto l'ha fatto spogliare e dopo un tentativo di violenza sessuale, lui ha reagito, dopo di che è stato picchiato selvaggiamente.
Mi indica un altro ragazzo, dicendomi che con lui è capitata una cosa simile. Ad un altro durante la perquisizione, hanno ridotto in mille pezzi una cinquantamila lire che gli hanno trovato nel portafoglio e gli hanno distrutto il telefonino. Mi mostra il cellulare col display e la tastiera completamente spaccata, irrecuperabile. C'è un altro ancora che stava passeggiando per fatti suoi, appena sapeva della manifestazione. Si è trovato da quelle parti e si era fermato a guardare. Quand'è scattata la carica nemmeno ha avuto il tempo di accorgersene: è stato accerchiato dalla polizia, erano almeno in cinque, dice, e giù con botte a più non posso. Qualcuno lo ha poi accompagnato alla prima ambulanza arrivata. Arrivato al Pellegrini è stato "fermato".
Eccole qua le storie dei "pericolosi sovversivi" bloccati dalla polizia e come queste tante e tante altre.
Il più "rivoluzionario" mormora non è così che uccideranno i suoi sogni.
C'è anche un avvocato. Ha trovato una ragazza pestata per strada e l'ha accompagnata al pronto soccorso, una storia simile alla mia. Nonostante abbia mostrato il tesserino dell'ordine è vestito con un giubbotto di pelle, da "manifestante" ed è stato portato in caserma anche lui.
Ore17. Alcuni poliziotti ci dicono che tra un po' ci lasceranno andare. Io sono sempre in attesa del momento in cui mi faranno fare una deposizione. Qualcuno chiede "dopo" che succederà, quali conseguenze avremo, ma non rispondono, sono evasivi, qualcuno di loro cita qualche articolo, qualche numero. Mi sembra quasi fatto apposta per non farci capire, vorrei chiedere a quell'avvocato, ma l'hanno chiamato per l'ennesimo controllo dei documenti.
Vedo dei flash, credo siano giornalisti e invece hanno cominciato a fare le prime foto segnaletiche. Oramai non mi stupisco più, ormai non vedo l'ora di uscire da questo posto soffocante e umiliante, e basta. Chiamano uno alla volta, ma prima di vedere il flash scattare, passa un po' di tempo: che sia arrivato il momento che chiedono qualcosa? Che ci ascoltano? Attendo che chiamino il mio nome, temendo di non riuscirlo a sentire quando lo faranno e di rimanere ancora altro tempo lì. Finalmente mi chiamano: "Eccomi!" vado verso una scrivania. E' il mio momento, ora mi chiederanno perché non ho voluto firmare il verbale e io spiegherò tutto. Un signore più anziano, forse un superiore, mi chiede se ho un documento, tiro fuori dalla borsa l'abbonamento. Lui si arrabbia. Dico che non ho altro: "Capisco che non è un documento ma c'è la foto, ci sono i miei dati, meglio di niente!" Scrivono il mio nome, cognome, chiedono il nome di mio padre e tutto il resto. Dopo aver segnato tutto il signore mi chiede: "Tu sei d'accordo, vero, con questo contro-Global?". Mi stanno finalmente dando la possibilità di essere ascoltata, mi sembra incredibile. Balbettando dico:"Mi lasci spiegare..." "Si, si, sempre la stessa storia, vai a fare la foto, va!".
Mi danno un numero da attaccarmi in petto. Il fotografo dice di accostarmi al muro, poi mi chiede come mai non avevo i lacci. Forse voleva fare una battuta, o forse era solo curiosità. "Qui me li hanno presi. Sono stati loro" e scatta la prima foto. "Ora girati, guarda verso quel muro" Provo una profonda vergogna in quell'istante. Scatta la seconda. Mi tolgono il numero. Ormai è fatta. Non so cosa scriveranno accanto a quella foto, ma ora sono schedata a tutti gli effetti. Non conosco questo, a livello burocratico, civile o penale, cosa possa significare, ma sento già profonde le ferite psicologiche che questa giornata mi ha procurato.
Umiliata, provocata, accusata, malmenata e tutto questo per aver avuto compassione di due ragazze, per aver creduto di stare compiendo onestamente un mio dovere. Non posso dire di pentirmi per ciò che ho fatto, come potrei farlo? Devo dire che la prossima volta che vedo qualcuno in difficoltà, proseguo per la mia strada ignorandolo? Mi rifiuto al solo pensiero!
Ci hanno messo in un'altra fila, da qui, due alla volta, ci scorteranno fin fuori la caserma. Ho lo sguardo perso nel vuoto, mi sento come ipnotizzata aspettando l'ultimo ordine di alzarmi per poi uscire.
Sono tra gli ultimi. Siamo in quattro ad essere chiamati. Anche loro si sono stancati e vogliono tornarsene a casa. Esco dal portone, fuori pioviggina, ho freddo. Stamattina, quando sono uscita, c'era un bellissimo sole che troneggiava in un cielo azzurrissimo e avevo deciso di lasciare a casa il giubbotto. Tanto per pranzo sarei tornata! Non riesco a camminare bene, senza i lacci.
Il poliziotto che ci accompagna con aria quasi paterna ci chiede perché facciamo queste manifestazioni, tanto è così che vanno le cose e ad andare contro ci rimettiamo solamente. Nessuno gli risponde. Che senso avrebbe?
Mentre proseguiamo (è una lunga discesa quella per arrivare al cancello che dà sulla strada o a me sembra non finisca mai!) ci passa una macchina affianco: "Vuttl' tutt' quant' rind' a'mmunnezz!" (Buttali tutti quanti nell'immondizia). E' così che un poliziotto dall'auto grida al collega che ci scorta. "Lasc' e'stà..." (Lasciali stare) risponde lui: "Tanto s'vere che so' tutt' bravi guagliune!" (tanto si vede che sono bravi ragazzi). Questa frase mi arriva come l'ennesima pugnalata della giornata. Ma come? Se si vede che siamo bravi ragazzi, che significato ha tutto quello che è accaduto? Sono andati volutamente a prendere i più deboli, i meno esperti, quelli che non pensavano che correndo in ospedale sarebbero andati incontro ad un pericolo.
Arriviamo al cancello, fuori ci sono i familiari dei ragazzi e qualche avvocato che non hanno lasciato entrare. Ci accolgono con un applauso, come fossimo degli eroi.
Ma non siamo eroi, siamo solo delle persone che si sono recate ingenuamente dritti nella tana del lupo.
Che sono state picchiate e insultate con la piena consapevolezza, da parte delle forze dell'ordine, di aver a che fare con la gente sbagliata. Mi è stato esplicitamente detto: "Noi qualcuno dobbiamo pur prendere. Se non volevate correre questo rischio rimanevate a casa. Vi sia di lezione per la prossima volta!".
Sono disillusa e sconfortata. Credo che delle umiliazioni subite nessuno ci renderà conto. Delle percosse e delle violenze nessuno verrà mai a sapere e, in ogni caso, sarebbe sempre la parola nostra contro la loro, la parola di uno schedato contro un poliziotto: assolutamente senza alcun valore.

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LE INDAGINI SUI POLIZIOTTI COINVOLTI NEGLI ABUSI

Al termine della manifestazione, 80 persone furono fermate (chi in piazza, chi in strada e chi all'ospedale) e trascinate di forza (e senza alcuna ragione legale) dentro la caserma "delle torture" Raniero. Qui la polizia si è prodigata in atti di violenza e lesioni nei confronti di molti dei manifestanti, costretti a rimanere per lungo tempo al muro e con le mani dietro la testa, minacciati, offesi, umiliati e colpiti ripetutamente, come riportato da una delle testimonianze ...
Nonostante il clima teso che si respirava in Italia , partirono comunque le denunce e le accuse da parte dei manifestanti.
Sotto indagine finirono 31 poliziotti , tutti della squadra mobile, incaricata chissà perché del trattamento dei fermati invece che la Digos. Qualche tempo dopo, su richiesta del GIP, ci fu anche un primo arresto ai danni di 8 poliziotti(quelli con indizi più gravi a proprio carico) ritenendo in pericolo i testimoni e le prove di quei giorni. Tutto normale se non fosse che una storia nata sporca deve sempre seguire un suo percorso...
Agenzie, giornali e televisioni si affrettarono a pubblicare riferimenti utili ad identificare i testimoni, indicando la città e l'area di appartenenza politica, violando la loro privacy ed esponendoli ad un rischio annunciato. I colleghi poliziotti, per tentare di evitare l'arresto degli 8, inscenarono un girotondo attorno alla questura di Napoli... Grazie a quella scenata e all'aiuto dei parlamentari di destra: il tribunale del riesame, poi confermato dalla cassazione, decide di annullare gli arresti, ridimensionando l'ipotesi del sequestro di persona respingendo come era stata formulata dai gip, alleggerendo così le imputazioni a carico dei poliziotti.
Oggi a 3 anni di distanza "meglio di così non poteva andare": i giudici confermano le accuse mosse allora e rimandano a giudizio tutti e 31 i poliziotti coinvolti nelle violenze e nelle illegalità di quei giorni. Fra questi i vicequestori aggiunti Carlo Solimene (che sosteneva di aver lasciato la caserma a fine turno, quando agli atti risulta un richiesta di cinque ore di straordinario) e Fabio Ciccimarra (quest'ultimo coinvolto anche nel processo della Diaz). I capi d'imputazione sono 51, e comprendono sequestro di persona, violenza privata, abuso d'ufficio, lesioni personali, danneggiamenti, perquisizione arbitraria e falso. Nessuno dei poliziotti è incriminato solo perché presente in caserma , infatti tutti gli imputati sono stati individuati nelle foto e poi di persona. Importante ricordare come i "fermati" della caserma Raniero, in realtà non ebbero in alcun caso formalizzato a loro carico fermi o arresti (cosa che non accadde neppure a Bolzaneto durante le giornate di Genova , dove i provvedimenti di arresto erano formalmente validi ), e ciò ha permesso di formulare l'accusa di sequestro di persona a carico dei poliziotti.
È un passo, questo è sicuro, nel tentativo di fare chiarezza verso tutto quello che successe in quei giorni (la gestione di piazza innanzitutto, i massacri per la strada e in seguito le violenze in caserma)... e che, pochi mesi dopo, si e' riproposto con lo stesso copione, ma sotto un governo di bandiera diversa, a Genova.

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SEMBRAVA FINISSE TROPPO BENE ... - UN COLPO AL CERCHIO E UNO ALLA BOTTE

Il 24 Luglio 2004 è emesso l'avviso di chiusura delle indagini per undici attivisti NoGlobal ritenuti dall'accusa tra i responsabili degli incidenti con le forze dell'ordine avvenuti il 17 marzo 2001 a Napoli, in occasione dei lavori del Global Forum.
Gli avvisi sono stati firmati dal pubblico ministero Michele Del Prete: i reati ipotizzati sono la resistenza a pubblico ufficiale e il possesso di oggetti atti ad offendere. Tra gli indagati (dieci in tutto) figura anche il leader dei Disobbedienti napoletani Francesco Caruso. Pubblichiamo di seguito il comunicato al riguardo dei Disobbedienti campani

"Quest'oggi è stato notificato a 11 attivisti del movimento noglobal l'avviso di chiusura delle indagini per l'ipotesi di reato di resistenza a pubblico ufficiale in occasione della manifestazione contro il global forum del 17 marzo 2001 a Napoli.
C'è una inquietante sincronia con il rinvio a giudizio disposto nei giorni scorsi contro i poliziotti imputati per le torture e i pestaggi della caserma Raniero, quasi che vogliano "pareggiare" i conti.
Ma non è possibile mettere sullo stesso piano i manifestanti, che hanno subito il 17 marzo una violenza inaudita, e quei torturatori che, nascosti dietro la divisa e il distintivo, hanno abusato del loro potere, pestato, minacciato e torturato decine di giovani inermi.
La resistenza che in modo del tutto spontaneo e istintivo fu esercitata in piazza Municipio per far fronte alla violenza che da tutti i lati i reparti dei carabinieri e della polizia avevano scatenato nei confronti delle decine di migliaia di persone radunate in quel momento nella piazza, fu una resistenza legittima e sacrosanta, un forma di autodifesa spontanea contro il massacro che si stava consumando contro giovani e meno giovani, uomini e donne, colpevoli solo di ritrovarsi quel giorno a Napoli per manifestare contro i signori della globalizzazione. Sul banco degli imputati non ci sono 11 attivisti ma tutto il movimento. Tuttavia devono mettersi d'accordo i magistrati di Cosenza e di Napoli perché non possono perseguitarci, incriminarci ed eventualmente condannarci due volte per lo stesso reato: la procura di Cosenza ha costruito un'inchiesta a partire dagli episodi di resistenza in piazza municipio (arrivando a definire questa anche come attacco agli organi costituzionali dello stato), ora anche la procura di Napoli ci incrimina per i medesimi fatti. Si mettano d'accordo, per evitare di cadere ulteriormente nel ridicolo. Anche perché se la prima volta è una tragedia, la seconda è una farsa."

A questo punto la Procura ha due strade da percorrere: può procedere avanzando una richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati o archiviare le singole posizioni.

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