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I Centri di Permanenza Temporanea
Francesco "baro" Barilli
16 giugno 2005

Essere clandestino coincide con l'aver commesso un reato? La risposta, anche secondo i dettami legislativi vigenti in Italia, è "no": l'essere clandestino rappresenta solo una condizione di non regolarità dal punto di vista amministrativo, non comporta l'automatica equazione con la delinquenza.
Eppure l'esistenza stessa dei CPT (Centri di Permanenza Temporanea), e soprattutto il modo con cui essi vengono gestiti, sembra negare la precedente affermazione.
Purtroppo siamo di fronte ad un processo di progressivo sfaldamento di quei valori di uguaglianza e solidarietà tra i popoli che l'intera società civile è chiamata a fermare ed invertire. Questo processo tende a sostituire la cultura della solidarietà con una sub-cultura nazionalista e xenofoba che fonda le proprie radici anche nella paura dell'immigrato e/o del "diverso". Nel disegno complessivo di questa sub-cultura i C.P.T. rappresentano un tassello da non sottovalutare.

I Cpt sono stati istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e successivamente confermati dalla Bossi-Fini. Il fine dei Cpt è identificare e trattenere gli stranieri fermati sul territorio italiano privi di regolare permesso di soggiorno, in vista del rimpatrio.
Il succedersi di episodi di violenza nei Cpt fa emergere il problema che riguarda l'anomalia rappresentata da questi centri rispetto ad alcuni principi del nostro ordinamento democratico. Il quadro normativo appare sbilanciato sul versante della repressione, dimenticando l'aspetto della tutela delle libertà e della dignità dell'individuo; lo straniero trattenuto nei centri non è più "soggetto di diritti", ma un mero "oggetto", subordinato ad interventi da parte delle autorità che paiono godere di un potere assoluto ed insindacabile, facendo diventare i centri di permanenza temporanea un'anomalia rispetto all'applicazione del diritto.
Francesco "baro" Barilli