Rete Invibili - Logo
Morti nelle carceri
Francesco "baro" Barilli
23 marzo 2005

Ad uno sguardo superficiale l'inserimento in Reti Invisibili di una sezione sui morti nelle carceri italiane potrebbe sembrare fuori luogo. Così non è se si procede ad una analisi complessiva del problema relativo a suicidi e a "morti sospette" nei penitenziari italiani: un problema di cui è preoccupante la vastità, ed in cui possiamo trovare diversi punti di contatto con gli altri casi rappresentati in questo sito: l'inefficienza degli apparati dello Stato nell'accertare le responsabilità delle morti sospette; la sostanziale impunità di chi, in diversa forma e misura, ha causato quelle morti (o non ha fatto abbastanza per impedirle); la superficialità, quando non il totale disinteresse, dei media sulle vicende.
Chi scrive ha cominciato ad interessarsi del "mondo carcere" quasi per caso, circa due anni fa, con un articolo-inchiesta mosso dal caso di Ramon Carrasco Retamal, ragazzo cileno suicidatosi nel carcere di Iglesias dove scontava una pena per furto d'auto. Dopo l'intervista alla madre di quel ragazzo l'inchiesta si è allargata a macchia d'olio, grazie alla collaborazione di altri amici. Ne è nata un'indagine a cui abbiamo voluto dare il titolo "Ramon e gli altri". Un titolo significativo, a nostro avviso, in quanto il ragazzo cileno rappresenta un simbolo di quell'umanità sommersa che affolla le nostre carceri; un mondo che resta troppo distante proprio da quella società civile alla quale le carceri dovrebbero guardare con attenzione, nell'ottica di un futuro reinserimento dei detenuti. La nostra inchiesta (che trovate nella pagina dei links) è diventata per noi anche un viaggio all'interno di un mondo sconosciuto; un viaggio che non ha la pretesa di mostrare un quadro esaustivo di quel mondo, ma il solo scopo di amplificare un grido di dolore e di allarme troppo sommesso e che fino ad oggi è giunto ad orecchie distratte.


Che la nostra società sia strutturata in classi è una verità contestabile solo da chi sceglie di non vedere la realtà quando scomoda. Che questa strutturazione si rifletta, in modo anche più rigido, in un microcosmo quale è il carcere appare altrettanto naturale... Chiunque abbia il coraggio e la voglia di guardare a quel microcosmo lontano e scomodo può dunque immaginare che anche nelle carceri esistono cittadini di serie A e di serie B. Ma se con quel coraggio e quella voglia riusciamo ad andare oltre la superficie del "problema carceri" ci accorgeremo che la stratificazione sociale va ben più a fondo. Esiste una serie C di detenuti, e anche oltre... Potremmo parlare, come nel caso di Ramon, di una sorta di "desaparecidos all'italiana". Di uomini che in carcere non vengono privati della sola libertà, ma pure dei diritti fondamentali che vanno garantiti ad ogni uomo in quanto "soggetto di diritti", indipendentemente dalle colpe di cui si può essere macchiato. Detenuti che vivono in uno stato di totale isolamento dal mondo e dai propri affetti, che possono ricevere visite o fare telefonate con estrema difficoltà...
Se la retorica vorrebbe che il carcere abbia compiti non solamente punitivi, ma anche finalizzati al recupero ed al reinserimento dei soggetti nella società, la realtà appare molto diversa. Ed è nostra opinione che la "società civile" stia accettando supinamente, o addirittura approvando in modo strisciante, il giro di vite che negli ultimi anni si è voluto dare al sistema carcerario italiano. Il clima di insicurezza e di precarietà in cui viviamo, in gran parte alimentato ad arte dai media e da certe forze politiche, ci fa forse sembrare che il semplice e rigido isolamento di chi ha sbagliato sia un prezzo accettabile (o addirittura necessario) per ottenere maggiore sicurezza. Che poi questa riduzione dei diritti dei detenuti concretizzi davvero una maggiore sicurezza resta tutto da dimostrare. Sembra invece che quella riduzione dei diritti si traduca in un'ulteriore brutalizzazione dei detenuti, con conseguenti minori possibilità di futuro reinserimento degli stessi nella società.


E' evidente, a questo punto, che per Reti Invisibili l'occuparsi anche dei morti nelle carceri costituiva un obbligo morale.


Pure questa sezione all'interno di Reti Invisibili non ha la pretesa di essere esaustiva: costituire una "macrosezione" all'interno della quale raccogliere tutti i casi era pressochè impossibile dal punto di vista pratico. Abbiamo preferito costruire una sezione "aperta", in cui vedremo di documentare nelle News interventi, estratti da giornali o da organi di controinformazione relativi alle problematiche carcerarie (con particolare riferimento ad omicidi/suicidi avvenuti all'interno dei penitenziari); nella pagina dei links troverete, oltre ai consueti siti di interesse in questa materia, anche alcune inchieste condotte sull'argomento, a cominciare dalla succitata "Ramon e gli altri" e soprattutto dall'utilissimo Morire di carcere: dossier 2002 - 2005, a cura del sito Ristretti.it

Francesco "baro" Barilli