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Intervista al padre di Stefano Cucchi
Elisabetta Reguitti
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2013
5 settembre 2013

"Viviamo sospesi nell'attesa di una verità che sia completa, non frammentaria come questa sentenza debole". Fine pena mai. Giovanni e Rita ieri hanno trascorso un'altra giornata nella loro casa a sfogliare, rileggere e sottolineare altre centinaia di pagine giudiziarie sulla morte del figlio Stefano Cucchi. Da quattro anni a questa parte i genitori vivono in una bolla di carte, parole, sentenze, interviste e incontri.

"Quando rientriamo cominciamo a riflettere fissandoci sulle dichiarazioni ripercorrendo le ore delle udienze. È sempre un dolore che si rinnova", racconta Giovanni che non si accontenta di leggere che Stefano, arrestato il 25 ottobre 2009, sia morto dopo una settimana all'ospedale detentivo Sandro Pertini di Roma per inanizione, il decadimento del corpo causato dalla mancata o insufficiente nutrizione.

Oltre alla vicenda giudiziaria c'è la vostra vita...

Io e mia moglie siamo sposati da oltre 40 anni. L'unica cosa che ci salva è quella di essere riusciti a rimanere uniti fra noi e con i parenti stretti che comunque ci sostengono. Io ho 65 anni, Rita uno in meno e cerchiamo di tenere lontana quella depressione che sta dietro l'angolo di ogni frammento delle nostre esistenze. Io lavoro e lei, oggi in pensione, ha sempre insegnato. Non riusciamo a realizzare la morte di Stefano e viviamo sospesi nell'attesa di una verità che sia completa, non frammentaria come questa sentenza debole e carente.

I giudici della terza Corte d'Assise di Roma hanno spiegato il decesso con la malnutrizione.

Una verità parziale. La completezza starà nello scoprire il motivo per cui Stefano è stato ricoverato al Pertini che non è un ospedale come tutti gli altri. I giudici pur spiegando la posizione dei medici hanno ancora avanzato dubbi sul pestaggio. Inoltre nelle motivazioni della sentenza si parla di imperizia, imprudenza e negligenza da parte dei dottori, incapaci di mettere in atto i più elementari presidi sanitari. Allora mi domando perché siano stati assolti gli infermieri: Chi doveva occuparsi di svuotare il catetere di Stefano occluso dall'urina?

L'immagine più frequente di voi è quella a fianco di vostra figlia Ilaria che interviene in pubblico o nelle conferenze stampa.

Noi non avremmo trovato la forza necessaria per affrontare tutto, anche le offese. Quali? Che nessuno tenga conto come tutto sia conseguente alla botte inferte a Stefano. Peggio ancora che questo sia definito un caso/ processo mediatico. Quale cittadino si sarebbe mai potuto difendere dalle innumerevoli coperture che sono state messe in atto sulla morte di nostro figlio. Un caso che dopo i primi titoli sui giornali, sarebbe stato certamente archiviato. Una storia destinata all'oblio. Ad oggi nessuno si è ancora preoccupato di risalire alle ragioni del ricovero. Siamo stati accusati di aver spostato il processo dal tribunale al campo mediatico. Tutto questo è allucinante. Noi, come Lucia Uva, siamo terrorizzati dalla prescrizione. Solo il ministro Cancellieri potrebbe darci un po' di speranza.

Come?

Sia per nostro figlio che per Giuseppe Uva, Cancellieri ha dichiarato che sono in corso delle indagini. Crediamo che lei non sia un esponente istituzionale da proclami. Manca un anno alla prescrizione, il tempismo adesso è importantissimo. Nella sentenza si ipotizza che il pestaggio possa essere stato compiuto dai carabinieri. Gli atti però non sono stati trasmessi ai pm per svolgere le indagini. Crea inoltre sospetto che sia stato impedito il contraddittorio con i nostri periti. Mi permetta di fare un appello al ministro perché non si fermi. Stefano è stato ricoverato per le percosse.