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Mio marito è morto nella caserma dei Carabinieri, adesso voglio sapere la verità
Alessandra Pieracci
Fonte: La Stampa, 9 agosto 2013
9 agosto 2013

"Ieri era il suo compleanno, ma non ha fatto in tempo ad arrivare a 36 anni e nemmeno a festeggiare il 16 ottobre i nostri dieci di matrimonio. I miei due bambini non hanno più un papà".

Sonia Alberti è la vedova di Kayes Bohli, tunisino arrestato dai carabinieri per spaccio davanti al supermercato Lidl di Riva Ligure il 5 giugno e morto poco dopo, proprio nel giorno in cui veniva emessa a Roma la sentenza per il decesso di Stefano Cucchi.

E quella stessa sera il procuratore di Sanremo Roberto Cavallone aveva lasciato una cena per correre all'obitorio a verificare che sul corpo non ci fossero segni di percosse o fratture evidenti. È partita così l'inchiesta che nei giorni scorsi è sfociata nei risultati clamorosi dell'autopsia, morte da schiacciamento della cassa toracica, con l'iscrizione nel registro degli indagati di tre carabinieri. "Lo Stato e le istituzioni devono chiedere scusa ai familiari e al popolo tunisino" ha dichiarato il magistrato.

"No, non è stato un episodio di razzismo, anche se il razzismo esiste. È un episodio di violenza su cui ho fiducia che si faccia giustizia. Chiedo a chi sa di parlare, di raccontare quello che è successo. Voglio sapere chi ha fatto del male a mio marito" è l'appello della donna, assistita dall'avvocato Paolo Burlo. Kayes è stato sepolto in Tunisia, dopo una seconda autopsia in patria, come racconta la vedova.

Sonia ha 37 anni; i figli 8 anni e mezzo e quattro. "Spero che diventino calciatori: era il sogno del loro padre". Il più grande gioca come portiere nella Virtus Sanremo.

"Erano attaccatissimi al papà: il piccolo dormiva con lui. Ora grida nella notte, si agita. Domani vedrò una psicologa, per affrontare questa situazione". Hanno paura quando vedono uomini in uniforme? "No, li chiamano gli amici di papà, perché i carabinieri sono venuti tante volte in casa" spiega la vedova, con un sorriso che le stempera la tensione del volto.

Uscito dal carcere dopo una condanna a 8 mesi per evasione ("Lo avevano sorpreso a portare fuori il cane mentre era ai domiciliari per un'altra storia") Kayes Bohli si stava preparando alle vacanze in Tunisia. Con moglie e figli, si sarebbero imbarcati tre giorni dopo.

"I bambini lo hanno visto per l'ultima volta la mattina: li avevamo accompagnati insieme a scuola e all'asilo, poi Kay mi aveva aiutato a lavare le scale. Sa, faccio qualche ora, mi arrangio come posso. Ci saremmo dovuti incontrare al campo di calcio, a prendere il grande. Invece so che nel pomeriggio mio marito è passato da casa, poi è uscito. Viviamo in una casa popolare di via Lamarmora. Con mio padre, che prende la pensione da manovale: 635 euro".

"Kayes è morto alle 20,30, in ospedale. Nessuno mi ha detto nulla sino alla mattina successiva. Il comandante della stazione di Santo Stefano al Mare ha telefonato alle 8 meno venti. "Venga subito, devo comunicarle una cosa grave che riguarda suo marito".

"Porto prima i bambini a scuola" gli ho risposto. Mi ha detto di far presto, che doveva andare via. Mi ha lasciato arrivare lì da sola. Poi mi ha raccontato quello che era accaduto, che un informatore li aveva avvertiti, Kay aveva cercato di scappare, lo avevano bloccato e quando ha perso conoscenza all'inizio pensavano che scherzasse, facesse finta"

E lei? "Io ho pensato che forse aveva ingoiato qualcosa, chi sa, per non farsi trovare droga addosso. Forse lo avevano chiamato ed era andato per guadagnare qualche soldo prima di partire. Ma i carabinieri stessi mi hanno detto che non aveva inghiottito nulla, che aveva poca roba, qualche briciola in tasca.

Ora so che se lo avessero lasciato respirare... Lo hanno schiacciato, gli è mancato l'ossigeno". "Ho chiesto perché non ero stata avvertita subito - prosegue il racconto - Mi hanno risposto che si era fatto tardi, sapevano che avevo due bimbi piccoli e non volevano disturbare".

Sonia e Kayes si erano conosciuti quando lui, da Milano, era arrivato a Sanremo per incontrare il fratello più piccolo, poi tornato in Tunisia. E a Sanremo viveva anche un terzo fratello, più grande: è stato trovato morto nel box l'8 aprile di 5 anni fa per un colpo di pistola in bocca. "Hanno detto che era suicidio, ma io non ci credo".


La difesa dei Carabinieri: il tunisino è uscito vivo dalla Caserma


"Codice giallo". Quando lo spacciatore arrestato ha lasciato la caserma dei carabinieri per l'ospedale di Sanremo non era in pericolo di vita. È scritto nei tabulati del 118 di quel pomeriggio del 5 giugno. L'ossigenazione c'era e sarebbe anche stata buona.

Come si spiega allora quella morte per soffocamento? E ancora: perché i volontari dell'ambulanza avrebbero chiesto ai militari di ammanettare il tunisino alla barella? Uno che sta morendo per asfissia non dà l'impressione di poter reagire, non c'è bisogno di tenerlo fermo. È la difesa dei tre carabinieri indagati per omicidio colposo a sollevare una serie di questioni che saranno formalizzate nei prossimi giorni in istanze alla procura.

L'ufficio requirente le sue conclusioni, invece, le ha già tirate. L'autopsia dice che la morte è stata provocata da asfissia dovuta ad una pressione sulla cassa toracica (tra uno e tre minuti). Il pm Roberto Cavallone, che ha parlato senza mezzi termini di "responsabilità dello Stato nella morte del tunisino", si è concentrato in particolare sulla ricerca dei "ruoli" dei tre carabinieri nella fasi concitate dell'operazione di polizia giudiziaria.

E visto che i testimoni che hanno raccontato dell'arresto e della colluttazione avvenuti davanti al supermercato non sono stati illuminanti su quello schiacciamento del torace vuol dire (visto che il medico legale sostiene ci sia stato) che è avvenuto successivamente, nell'auto diretta in caserma o in caserma. Ma la caserma è appena a 500 metri dalla zona dell'arresto, troppo pochi per il lasso di tempo indicato dall'autopsia come in grado di fare danni.

"Loro hanno la divisa, loro, i carabinieri, pensano di poter fare tutto quello che vogliono". A continuare a far sentire la sua voce è Sonia Alberti, la moglie di Bohli Kayes, la vittima, parte offesa nel procedimento insieme ai due figli.

Guarda la foto del matrimonio di dieci anni fa, celebrato in una villa che ospitò un giovane principe Ludwig a Sanremo: "Giorni felici - sospira - poi tanti momenti difficili e quell'epilogo sul quale è fondamentale venga fatta giustizia". Dopo l'autopsia lo ha accompagnato in Tunisia dove è stato sepolto nella terra, avvolto in un sudario, come vuole il Corano.

"Dovevamo andarci tutti in Tunisia. Avevamo i biglietti per la nave dell'8 giugno. Invece è cambiato tutto. Non so cosa, ma qualcosa gli hanno fatto. Gli devono essere saliti addosso, sopra. Mi hanno detto che sono grossi, muscolosi. Voglio la verità". Intanto, il collegio difensivo composto dagli avvocati Fabrizio Spigarelli, Alessandro Mager e Alessandro Sindoni, attende la notifica dell'esito dell'autopsia per disporre una perizia di parte, determinante in vista del processo. E sarà uno scontro tra perizie a portare al verdetto finale.

Sulla morte dello spacciatore tunisino intanto, al di là dei botta e risposta del mondo della politica, è intervenuto ieri anche il Cocer, rappresentanza dei carabinieri: "L'inchiesta della procura analizzerà tutti gli elementi di questa vicenda. L'Arma, come sua abitudine, fornirà tutta la collaborazione necessaria. Non affrettiamo però giudizi severi quanto imprecisi".

Il fascicolo è e rimane blindato sulla scrivania del procuratore Cavallone. Insieme a decine di altri che raccontano la storia inquietante di una Riviera dove il traffico di droga smuove interessi di milioni di euro all'anno. E dove si droga si muore. Anche come è morto Kayes.