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Giuseppe Uva: riaprire subito il fascicolo come chiede la sorella, Lucia Uva
Checchino Antonini
19 febbraio 2013

«Giustizia significa fare chiarezza a 360 gradi ovunque e su chiunque.
Non esiste solo Berlusconi , esistono anche i cittadini normali agli ultimi gradini della scala sociale. Giuseppe Uva è morto dopo aver passato una notte terribile dentro la caserma dei Carabinieri di Varese.
Era il 14 giugno 2008.
Il giudice di Varese ha ordinato alla procura di Varese di indagare su quanto accaduto quella notte. I suoi periti hanno stabilito che il povero Giuseppe è morto per quanto ha dovuto subire proprio durante quella notte ma il pm Abate non lo rispetta tenendo chiuso nel cassetto il fascicolo 5509. Nessuno fa nulla.
Il Giudice ha sentenziato che i famigliari di Giuseppe Uva hanno il sacrosanto diritto di sapere che cosa è accaduto.
Che la magistratura faccia il suo dovere.
Si faccia chiarezza e pulizia sul caso Varese».

Lucia Uva chiede aiuto a chi l'ha sostenuta in questi anni nella battaglia per verità e giustizia sulla morte di suo fratello Pino. L'idea, rilanciata da Ilaria Cucchi, è di spedire come ha fatto lei questa lettera in massa al procuratore generale di Milano prot.procura.milano@giustiziacert.it oppure in via Freguglia n° 1 - 20122 Milano per fare aprire il «maledetto fascicolo» che Abate tiene ben chiuso nel suo cassetto non rispettando la sentenza del giudice Muscato.

Questi, nella sentenza del giugno scorso che ha assolto il medico Carlo Fraticelli dall'accusa di omicidio colposo, ha ordinato il rinvio degli atti al pm perché indaghi davvero: «è legittimo diritto dei congiunti di Uva Giuseppe, innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana - conoscerne, dopo quasi quattro anni, se negli avvenimenti antecedentemente all'ingresso del loro congiunto in ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giuseppe - nei cui confronti non risulta essere stato redatto un verbale di fermo o d'arresto, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all'art. 659 (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, ndr) - è stato prelevato e portato in caserma».

«Nel corso del dibattimento - si legge ancora - è emerso come l'ipotesi accusatoria poggiasse su basi talmente fragili da rendere francamente impossibile un qualsivoglia fondato giudizio sul merito dell'accusa (e tanto più improponibile un giudizio di colpevolezza), mentre, d'altro canto, rimanevano sconosciuti gli accadimenti intervenuti all'interno della stazione dei cc di Varese, certamente concitati se è vero che su posto confluirono alcune volanti di polizia) e al cui esito Uva - che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica - verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il trattamento sanitario obbligatorio». Uva è morto il 14 giugno 2008 (come ricostruisce un docufilm di Adriano Chiarelli) dopo essere stato fermato - assieme all'amico fraterno Alberto Biggioggero - da una pattuglia dei carabinieri per ubriachezza molesta, reato per il quale non è previsto il fermo e per il quale anche il Tso, che giustificava il suo ricovero, continua ad apparire incomprensibile.

Tutto ciò perché l'inchiesta che non c'è ancora stata (da quattro anni si trova nella fase delle indagini preliminari e le parti non possono saperne nulla) «viene a incrociarsi e almeno parzialmente a sovrapporsi con questo processo», si legge nella sentenza che chiede alla procura di capirci qualcosa perché, in sostanza, restano «oscure le ragioni per le quali un soggetto di 43 anni, non affetto da alcuna significativa patologia nota, potesse essere giunto a morte a poche ore dal "trattenimento" operato nei suoi confronti dalle forze dell'ordine». Per cercare giustizia, la famiglia Uva è giunta perfino a chiedere (e ottenere) la riesumazione della salma e una nuova perizia eseguita, finalmente, lontano da Varese che avrebbe escluso che Uva fosse un "lento metabolizzatore", che quei farmaci abbiano avuto effetti ritardati mescolandosi all'alcol di quella notte. L'alcol è restato sempre «sotto livelli idonei a causare il decesso».

Qualcosa, dunque, ha causato l'arresto cardiaco di Uva. Escluse le medicine, i periti hanno puntato l'indice sui trigger, stimoli scatenanti dell'aritmia, della fibrillazione ventricolare. Nel paragrafo "Mezzi di produzione della morte" della perizia, si spiega che i trigger furono dati dalla combinazione tra intossicazione etilica, lesioni traumatiche e dalle misure di contenzione fisica. Se i medici non c'entrano, il killer è la modalità di ingaggio da parte delle forze dell'ordine. La superperizia ha affermato che nella zona anale di Pino Uva c'erano varici emorroidarie esterne con stravasi emorragici interstiziali da mettere in correlazione, per il giudice, con l'ampia perdita di materia ematica riscontrata nel cavallo dei jeans zuppo di sangue. Ma il primo perito del pm quei jeans manco li ha voluti vedere, sono restati per più di tre anni in giacenza al posto di ps dell'ospedale di Varese.

Da cinque anni, di fronte all'inspiegabile ostilità del pm, Lucia Uva chiede che ci si occupi dei segni di violenza che lei stessa ha scoperto sul corpo di suo fratello. Fu lei a riconoscerlo in obitorio. Alberto Bigioggero, che fu fermato con Uva, vorrebbe raccontare da quattro anni a un pm le urla spaventose che udì in caserma quella notte. Ma nessuno l'ha mai ascoltato. Ai suoi amici Uva aveva raccontato di avere avuto una relazione con la moglie di un carabiniere. La causa di morte potrebbe essere il politraumatismo di quella notte. Anche la psichiatra che lo vide al pronto soccorso ha dichiarato in una memoria scritta che «accusava (le forze dell'ordine) di averlo picchiato. Si riservava quindi di denunciarli. Aveva la fronte e il naso visibilmente tumefatti. Parlammo per un'ora, mi diede il numero della sorella, che chiamai. Si sentì rassicurato si fece convincere a fare un'iniezione di sedativo». Il caso è tutt'altro che chiuso ma il pm, che non ha esitato a scagliarsi contro il «giudice censore e intimorito dei media!» continua a ostentare la propria ostilità nei confronti di chi ha inceppato il suo teorema: Lucia e Fabio Anselmo, legale della famiglia e protagonista di altri casi di malapolizia (Cucchi, Aldrovandi, Diaz, Ferrulli ecc...).