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Diaz, le vittime tornano nella scuola. "Ci aiuterà a guarire da quegli orrori"
Marco Preve
19 luglio 2013

LUGLIO 2013, ritorno alla Diaz. La scuola del Genoa Social Forum diventata nel mondo un simbolo della repressione poliziesca si apre finalmente alle vittime che la notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001 furono arrestate grazie ad una clamorosa falsificazione delle prove, che doveva servire a coprire quel pestaggio indiscriminato definito "macelleria messicana" dal vicecomandante della celere romana Michelangelo Fournier.
Un gruppo di 15, forse 20 persone, reduci della notte cilena, lunedì mattina potranno ritornare in quei luoghi, i corridoi, la palestra, le scale, in cui vissero ore di botte, angoscia, umiliazioni, e alcuni rischiarono addirittura di morire. E non è un caso che tra le ragioni di questo viaggio della memoria vi siano anche finalità terapeutiche. Il trauma che molti non hanno ancora superato e che ritorna sotto forma di incubi, timori in presenza di uomini in divisa, potrà forse essere cancellato in parte attraverso un ritorno sui luoghi in cui venne generato.
Se la scuola, dopo dodici anni di isolamento, si apre alla memoria è merito del nuovo preside del liceo Pertini, Aldo Martinis, entrato in carica nel settembre del 2012.
La collega che lo aveva preceduto aveva sempre negato la scuola a iniziative di discussione, commemorazione o rievocazione dei fatti del G8.
«In effetti - racconta il professor Martinis - quando mi è stata affidata la scuola, mi sono accorto di una situazione particolare relativamente al tema del G8 e al ruolo avuto dalla scuola in particolare. Mi è stato spiegato che chi mi aveva preceduto aveva avuto un atteggiamento sostanzialmente di chiusura sul tema. Da parte mia devo dire che per una serie di vicende, la storia del G8 genovese non l'ho mai conosciuta in maniera approfondita. Ma ad aprile è successo qualcosa che mi ha aperto gli occhi».
E' stato l'incontro con Mark Covell, giornalista inglese, che la notte del 21 luglio non fa neppure in tempo ad entrare nella scuola. I celerini lo massacrano a calci davanti al cancello e continuano quando è ormai svenuto. Francesco Gratteri, uno dei super poliziotti condannati per i falsi, cacciatore di mafiosi e criminali, lo vede a terra ma non si preoccupa di capire se sia ancora vivo. La procura apre un'inchiesta per tentato omicidio ma l'omertà che ha contraddistinto tutta l'indagine sulla Diaz impedisce di identificare chi calzava gli anfibi che gli sfasciano costole, polmoni e denti, e così viene archiviata.
Ma che siano stati agenti di polizia è evidente. E, infatti, il ministero dell'Interno, ma solo nel 2013, in sede civile risarcisce Covell con 350 mila euro. Soldi pagati da tutti gli italiani ma non dai colpevoli.
«Ho riflettuto - dice Martinis - sul fatto che Covell all'epoca aveva 25 anni, l'età di mio figlio oggi. E questo pensiero devo ammettere mi ha dato una spinta in più per occuparmi del G8».
Per i pestaggi e le false prove della Diaz la Cassazione aveva confermato le condanne della Corte d'Appello a 25 tra funzionari e agenti, tra cui i capi dell'antimafia e dell'antiterrorismo come Francesco Gratteri e Gilberto Caldarozzi. Il Tribunale di Sorveglianza che doveva decidere se concedere a 17 di loro l'affidamento ai servizi sociali per il periodo non coperto da indulto, per alcuni - come l'ex capo della celere Vincenzo Canterini e lo stesso Caldarozzi - ha ritenuto insufficienti i segni di resipiscenza decidendo per i domiciliari (ma la Procura Generale ha fatto ricorso in Cassazione chiedendo che vengano mandati il carcere) mentre per altri la decisione è attesa a dicembre.