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Casa di lusso per Gratteri e lo Stato continua a pagare
Marco Preve
13 aprile 2013

All'ex prefetto Franco Gratteri, condannato a quattro anni per aver voluto coprire con false accuse la "macelleria messicana" della scuola Diaz al G8 del 2001, e dal 2 luglio 2012 in pensione, il Ministero dell'Interno paga tuttora un grande appartamento in una delle zone più esclusive della capitale. Una sistemazione che, spiega il Viminale, è dovuta alle gravissime minacce subite dall'ex capo del Dac, la cosiddetta Fbi italiana.

La notizia dell'alloggio di lusso al condannato eccellente, si è diffusa tra i reduci della Diaz in questi giorni in cui sono iniziate, davanti al Tribunale di Sorveglianza, le udienze che dovranno decidere se far scontare in carcere ai condannati le pene residue (massimo un anno grazie all'indulto), oppure ai domiciliari o ancora, come chiedono gli interessati, con l'affidamento ai servizi sociali.

Per verificare l'attendibilità dell'indiscrezione, Repubblica ha chiesto delucidazioni all'ufficio stampa del ministro Annamaria Cancellieri, per sapere quali fossero le ragioni dell'assegnazione gratuita dell'alloggio.

La risposta è arrivata dall'ufficio stampa del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nonostante Gratteri, dopo la nomina a prefetto del 28 dicembre del 2009, fosse stato cancellato dai ruoli della polizia e trasferito al Dipartimento Politiche e Personale. "In riferimento alla richiesta di notizie sull'alloggio in uso all'ex prefetto Gratteri - è scritto nella nota - si precisa che lo stesso è stato ed è ancora oggetto di misure
di sicurezza personali per una serie di gravi minacce, sia passate che recenti, di cui è stata rilevata l'attendibilità. Pertanto la collocazione abitativa è inquadrata nell'ambito delle misure di sicurezza destinate all'ex Prefetto. Sia il rischio che la tutela sono oggetto di costanti monitoraggi".

Si scopre così che l'ex prefetto è stato oggetto di gravissime minacce, anche se il Viminale non spiega se provenienti da ambienti mafiosi visti i trascorsi dell'investigatore, oppure se di marca terroristica. Va ricordato che in seguito ad alcune scritte sui muri durante tutto il processo Diaz gli avvocati di Gratteri ottennero uomini e auto di scorta che li accompagnavano dalle loro residenze di Lucca e La Spezia a Genova e ritorno.

Quanto all'appartamento del Ministero, l'ufficio stampa non spiega se sia prassi che, oltre al sacrosanto diritto alla tutela fisica di chi è in pericolo, lo Stato debba anche farsi carico della pigione per alloggi in stabili di pregio.

Ma non è questo il solo aspetto relativo ad un'impostazione ministeriale ritenuta "indulgente" nei confronti degli alti funzionari coinvolti nella vicenda Diaz, da comitati e gruppi che in questi anni si sono schierati dalla parte delle vittime del pestaggio e delle calunnie.

Di recente infatti, a dodici anni di distanza, la polizia ha avviato i provvedimenti disciplinari contro i funzionari condannati dalla Cassazione per falso aggravato. La sentenza è chiara e il dolo dei comportamenti è più volte sottolineato dai giudici.
Ma nelle contestazioni dei procedimenti disciplinari non se ne trova traccia. L'azione viene intrapresa per comportamenti ritenuti colposi, relativi cioè a reati verificatisi per negligenza o imprudenza dei super poliziotti. La tesi sempre sostenuta dalle difese: siamo stati ingannati due volte, dai celerini che hanno pestato senza pietà e da chi, senza che lo sapessimo ha portato dentro la Diaz le bottiglie molotov.

La Cassazione, però, pur condannandolo per il falso, ha assolto Pietro Troiani, il funzionario che trasportò le molotov, dall'accusa di calunnia, cioè non lo ha ritenuto partecipe del piano che mirava a incastrare i 93 arrestati.

Naturalmente, da questa impostazione iniziale che si fonda sull'assenza di volontarietà, ne conseguiranno sanzioni disciplinari più leggere rispetto invece a comportamenti dolosi.

Prosegue, intanto, il silenzio della polizia su eventuali procedimenti disciplinari a carico degli agenti del reparto mobile condannati per le lesioni. Seppur prescritti sono stati ritenuti responsabili civilmente, ma dal Dipartimento della Ps non trapela nulla circa l'avvio di azioni disciplinari o la loro permanenza nei reparti originari.