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Il muro che non cade
Alessandra Fava
Fonte: Il Manifesto, 3 ottobre 2012
3 ottobre 2012

Il massacro della Diaz compiuto per «riscattare l'immagine della polizia». Nelle motivazioni della condanna definitiva dei dirigenti protagonisti delle torture di Genova e Bolzaneto, la Cassazione accusa De Gennaro

C'è un regista dell'operazione Diaz ed è l'allora capo della polizia italiana Gianni De Gennaro. Assolto in Cassazione per aver istigato al falso l'allora questore di Genova Giuseppe Colucci durante il processo Diaz (fu il cosiddetto allegato Diaz), De Gennaro torna come un fantasma negli ultimi atti del processo principale. Ieri sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato in ultimo grado i vertici della polizia il 5 luglio scorso. I magistrati della V sezione hanno scritto che «l'esortazione rivolta dal capo della polizia (a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui la città di Genova era stata sottoposta) ad eseguire arresti, anche per riscattare l'immagine della polizia dalle accuse di inerzia, ha finito con l'avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa» e così l'assalto alla scuola finì per diventare un'operazione con «caratteristiche denotanti un assetto militare». Insomma ci fu una mente dietro le modalità applicate quella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, a Genova, quando ormai il summit degli otto potenti era finito e buona parte dei manifestanti se n'erano andati con i primi treni già la notte prima, quella del venerdì. De Gennaro mandò i suoi sottoposti alla scuola sabato notte per ristabilire il buon nome della polizia italiana degradato, a suo avviso, da tutto il casino che la gente aveva visto in televisione.
Gli italiani lo sospettano da sempre. I magistrati genovesi hanno cercato in ogni modo di incastrare il capo della polizia senza riuscirci. Perché? Perché intorno a lui è sempre stato eretto un muro. Quello dei «non so» dei suoi colleghi insieme alle protezioni politiche a destra e a sinistra delle quali De Gennaro ha goduto, passando dalla polizia a commissario dei rifiuti quindi coordinatore dei servizi segreti e infine sottosegretario alla presidenza del consiglio, l'incarico che ora ricopre. «De Gennaro non è mai stato condannato perché non è mai stato imputato» dice lapalissiano Vittorio Agnoletto, allora portavoce del Genoa Social Forum, che chiede le sue dimissioni.
Ma le motivazioni della sentenza, contenute in 186 pagine, dicono molto di più su quella notte e sulla condanna dei 25 poliziotti per i falsi (quelli dei verbali e i due coinvolti nella falsa coltellata) col reato delle lesioni ormai prescritto. I poliziotti «si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti "tonfa") e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di "non violenza" provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di "bastardi"». Tutto successe perché «la mancata indicazione, per via gerarchica, di ordine cui attenersi» si trasformò «in una sorta di "carta bianca", assicurata preventivamente e successivamente all'operazione». Anzi, i magistrati parlano anche di uso della forza «ad libitum», senza misura. Ma anche quando si accorsero di aver fatto una macelleria messicana, non cambiarono linea: quelli che avevano una «posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l'esito della perquisizione si era risolto nell'ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze». Ed ecco quindi che i capi ai vertici dell'intelligence italiana, Luperi, Gratteri e Caldarozzi e il capo del VII nucleo Canterini, 14 in tutto, firmano i verbali falsi pur di condannare i 93 arrestati.
Ora in galera non ci va nessuno. Luperi è in pensione. Gratteri e Caldarozzi sono stati rimossi dagli incarichi e nei prossimi mesi ci saranno le udienze al tribunale di sorveglianza di Genova per decidere sugli incarichi di servizi sociali sostitutivi alle pene sospese. Ma il ministero degli Interni non ha mai sospeso da ogni incarico in polizia, come previsto (almeno) con condanne definitive.