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"Diaz, Don't Clean up this blood", di Daniele Vicari
Silvia D'Onghia e Malcom Pagani
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2012
1 marzo 2012

"Sembrava una macelleria messicana" disse in tribunale Michelangelo Fournier ai giudici genovesi. Il vicecapo del VII nucleo del reparto mobile di Roma in servizio effettivo alla Diaz. L'enigma vivente di una lunga notte iniziata il 22 luglio 2001 e non ancora terminata. Né santo né eroe, ma l'unico individuo in divisa che entrò in relazione con le vittime di un assalto brutale, si tolse il casco, allontanò spintonando aguzzini con la pettorina: "Basta, basta" e temendo che la tedesca Melanie Jonasch fosse morta: "Io sono rimasto terrorizzato, basito quando ho trovato la ragazza con la testa aperta" interruppe il massacro. Una figura complessa che, fotografata nelle sue contraddizioni e senza beatificazioni, il regista Daniele Vicari traspone nel film Diaz con fedele aderenza alla dialettica esposta da Fournier in un'aula giudiziaria.
Fournier, l'unico poliziotto in grado non promosso sul campo per la mattanza di via Cesare Battisti, parlò di "macelleria messicana" in due distinte occasioni. Deposizioni sofferte, in bilico tra verità e senso della comunità da preservare: "Sono nato in una famiglia di poliziotti, non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento cosi grave da parte dei miei colleghi".
L'ultima volta, nel giugno 2007, ammise di non aver avuto la forza di dire tutto ciò che sapeva "per spirito di appartenenza". Michelangelo Fournier, l'uomo d'ordine con il cuore a destra che divideva le ricreazioni scolastiche con l'ex parlamentare verde Paolo Cento. Il "pentito" come semplicisticamente dissero in molti. Il dirigente detestato da un pezzo consistente di movimento secondo il quale non si decise a confessare sulla spinta dell'indignazione, ma solo perché riconosciuto da alcune vittime dell'assalto alla Diaz.
Fournier, il funzionario avversato dai quadri che videro nella sua opposizione a Canterini, un'eversione inaccettabile per tempi, modi e forma. Nella pellicola prodotta da Fandango si vede Claudio Santamaria (che lo interpreta) con la maglietta della Folgore, mentre all'alba delle dieci di sera (circa un'ora prima dell'assalto alla Diaz) tenta di consumare in compagnia di un paio di colleghi un pasto nel ristorante improvvisato per le Forze dell'ordine in zona Fiera. Viene avvicinato da Vincenzo Canterini.

I due sono diversissimi per carattere e inclinazione. Entrambi stravolti. Svegli da ore. Davanti ai Pm Zucca e Cardona, il racconto di Fournier è una lama: "Il comandante Canterini poi venne da me e disse: 'C'è la necessità di raggruppare immediatamente gli uomini, è stata individuata una struttura presso la quale sembra abbiano trovato ricovero buona parte degli Anarco Insurrezionalisti". Le stesse frasi del film. Una menzogna. Troppi "sembra". Un'unica conseguenza. Oltre 90 feriti. Due tentati omicidi. Fratture multiple.
I reparti di Canterini e Fournier, seguendo strade diverse, arrivano alla scuola Diaz. Il secondo giunge quando le operazioni di sfondamento del cancello sono in corsa, ma è tra i primi a entrare. Sale le scale, forse sferra qualche colpo (c'è concitazione, molti testimoni glielo imputano e Vicari, in ogni caso, non opta per il manicheismo e lo mostra) poi arriva al primo piano.
Lì si ferma. "Ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra (...)". Fournier vede la Jonasch, chiede aiuto: "C'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze". Così nella realtà ricordata da Fournier. Così nella finzione sinistramente reale riproposta da Vicari. Fournier domanda scusa all'amica della Jonasch, Jennette Dreyer.
Una reazione incongrua, spiegabile solo con un cambio di prospettiva definitivo, che è quello che sembra aver colpito, forse anche oltre le sue volontà, il Fournier del dopo G8. Non lo stesso uomo che sapeva dirigere l'ordine pubblico allo stadio con il dialogo e la fermezza. Ma un altro da sé. Nella terra di mezzo tra l'essere poliziotto o cittadino. Non più innocente comunque, dopo aver visto e partecipato agli interni della Diaz. Vicari lo inquadra mentre esce dalla scuola e si avvicina a Canterini. Il comandante gli ordina di sistemare i "prigionieri" sui blindati. Fournier si ribella. L'altro ribadisce l'ordine. I due si perdono di vista. Fournier va brevemente a Bolzaneto. Poi va altrove. Cerca di allontanarsi da una storia che comunque lo inseguirà per tutta l'esistenza. Quando il pm gli chiede dei Tonfa, i manganelli che hanno mandato in ospedale decine di ragazzi, Fournier sembra il marziano di Flaiano. Afferma che "il Tonfa è una cosa più seria, una cosa più complicata" e davanti alle domande del pubblico ministero si spiega meglio: "È uno sfollagente che non può essere utilizzato con la leggerezza con la quale si utilizza quello ordinario... può produrre grossi danni... i colpi in testa possono essere mortali con una buona percentuale di possibilità... è una follia perché si può ammazzare". Nel film Diaz questo passaggio non c'è, perché le immagini descrivono quella pazzia meglio di qualsiasi istruttoria.