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E ora il Viminale teme anche per De Gennaro. Sospesa la promozione di Mortola
Sara Menafra
Fonte: Il Manifesto, 20 maggio 2010
20 maggio 2010

Ci vuole un po' per capire come ragiona il pm Enrico Zucca. Perché non parla di soddisfazione per la sentenza. Perché si preoccupa di dire che la polizia dovrebbe riflettere su quanto accaduto. O perché tra le tante condanne pesanti arrivate l'altra notte per i vertici della polizia di stato, lui prima di ogni altra cosa ti dice solo: «È molto importante che Michele Burgio sia stato assolto».
Michele Burgio è il poliziotto che la notte del 21 luglio 2001 portò due bottiglie molotov dentro la scuola Diaz appena devastata dagli uomini della celere. Due bottiglie raccolte in piazza ma che poi i dirigenti della polizia di stato usarono per giustificare le ossa rotte, il sangue e gli arresti. Per farci un verbale falso di cui, dicono oggi i giudici della corte di appello, erano tutti perfettamente consapevoli tanto da meritare quattro anni di galera a testa, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e nessun riconoscimento delle attenuanti generiche.
L'assoluzione del poliziotto Burgio, l'unica di questa sentenza, agli occhi del pm che ha costruito le indagini sul pestaggio alla Diaz conta quasi più del resto perché per la prima volta riconosce un principio. Quello per cui i dirigenti, che scelgono e decidono, pesano di più degli agenti che eseguono.
Lo stesso principio oggi è diventato un venticello freddo nelle stanze del Viminale. Il sottosegretario Alfredo Mantovano ha fatto la sua parte difendendo i vertici della polizia condannati per aver falsificato le prove che dovevano giustificare l'assalto alla scuola Diaz. E il ministro degli interni Maroni ha condito con un attestato di fiducia alle «persone» coinvolte.
Eppure al Viminale la preoccupazione per la sentenza d'appello che ha messo in mora la carriera di tre tra i più importanti dirigenti della polizia di stato c'è. E, anzi, ha già indotto qualcuno a fermare il percorso di uno dei poliziotti che autorizzarono l'assalto al dormitorio dei no global.
Spartaco Mortola non diventerà questore. Almeno per il momento. Nel luglio del 2001 era il capo della Digos genovese e negli ultimi anni si è spostato a Torino dove lavora come vice questore (molto ha fatto discutere il suo ruolo nella gestione dell'ordine pubblico ai cortei no-tav). Non andrà più in là. Almeno finché la Cassazione non avrà stabilito se la condanna a tre anni e otto mesi per falso ideologico e calunnia, con l'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, sia da considerarsi definitiva.
Tra i dirigenti condannati, Mortola è l'unico che sperava di avere una promozione rapida.
Francesco Gratteri, all'epoca capo del Servizio centrale operativo e oggi al vertice della Direzione centrale anticrimine, alla propria carriera non ha da chiedere altro. Dopo essere stato per alcuni anni questore di Bari gradito alla sinistra, ed essere tornato alla gestione delle indagini sulla criminalità organizzata, sei mesi fa è diventato prefetto. Vicinissimo all'ex capo Gianni De Gennaro, è in predicato per essere il successore di Antonio Manganelli ai vertici della polizia di stato. La condanna di due giorni fa a quattro anni per falso ideologico, con l'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici ovviamente lo danneggerebbe. Ma prescidendo da una sentenza che la Cassazione potrebbe ribaltare, la partita è apertissima e lontana, visto che al momento la sedia del capo della Ps è più che stabile.
Il suo vice di allora e oggi a capo dello Sco, Gilberto Calderozzi, è dirigente superiore (lo stesso «grado» di un questore). Molto apprezzato per le catture di boss della mafia, anche lui al momento ha poco da chiedere. Farlo questore di una città media cambierebbe poco, visto che il ruolo di capo dello Sco, col controllo delle squadre mobili di tutta Italia, è oggi uno dei posti di potere più pesanti all'interno della polizia di stato.
Gianni Luperi ha lasciato la polizia per dirigere il Dipartimento Analisi del servizio segreto interno, l'Aisi.
Se la carriera di Mortola al momento è l'unica a fermarsi un motivo c'è. E si chiama Gianni De Gennaro. Perché tra pochi giorni a Genova comincia l'appello dell'altro processo per i fatti della Diaz. Quello all'allora capo della polizia e appunto a Spartaco Mortola. Entrambi accusati di aver cercato di fermare il dibattimento per l'assalto alla Diaz, di invertire e pilotare le testimonianze, assieme al questore di Genova dell'epoca, Francesco Colucci. Per il quale il dibattimento comincia addirittura oggi (Colucci ha seguito il rito ordinario mentre De Gennaro e Mortola hanno preferito l'abbreviato).
In quel processo, De Gennaro è accusato di istigazione alla falsa testimonianza e anche quel processo, come questo, in primo grado si è chiuso con una assoluzione piena e apparentemente blindata. Ma appunto - ed ecco la preoccupazione che si respira al Viminale - i tempi potrebbero cambiare. Qualcuno, un'altra corte, potrebbe stabilire che il comportamento dei dirigenti pesa più di quello degli agenti. E se anche De Gennaro oggi non è piu al vertice della polizia ma a capo dei servizi segreti, l'effetto domino di una sua condanna farebbe scivolare tutta la catena di comando salita al vertice della polizia accanto a lui. Se l'agente Burgio può tornare a casa senza pensieri, per il momento è meglio che Mortola resti dov'è.