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G8, una commissione per verità e riconciliazione
Michele Marchesiello
Fonte: Secolo XIX, 23 novembre 2008
23 novembre 2008

Per placare l'indignazione e il senso di frustrazione provocati dalle sentenze genovesi sul G8, si invoca da più parti una commissione parlamentare d' inchiesta. Vediamo di ragionare, se possibile, su questa proposta. Una commissione va bene, ma emanante da chi, con quali poteri, e per quale fine? L'iniziativa e la sede dovrebbero essere quelle parlamentari. Gli esempi di cui disponiamo non fanno bene sperare: ricordiamo le commissioni sui casi Telekom-Serbia e Mitrokhin, sull'uranio impoverito, sugli infortuni sul lavoro, persino sul ciclo dei rifiuti: tutte concluse con un nulla di fatto o quasi. Viene da pensare che l'istituzione di una commissione d'inchiesta non sia stata altro che un palliativo (da "palliare", mascherare, nascondere) per accontentare un'opinione pubblica sconcertata e indignata.
Proprio per questa sua origine, la commissione d'inchiesta parlamentare ha quasi sempre finito (con rare eccezioni) con il trasformarsi in un ennesimo palcoscenico su cui rappresentare la gran quadriglia di maggioranze e minoranze che ora si vengono incontro e ora si allontanano, componendo vivaci figure di danza.
Non è difficile immaginare cosa ne verrebbe fuori e cosa succederebbe all'interno di una simile commissione, istituita per accertare - udite udite - la verità sui fatti del G8 di Genova. Perché, alla fine, il compito di una commissione "d'inchiesta" è, o dovrebbe essere, proprio quello di indagare su certi fatti o fenomeni, se non in una logica giudiziaria, comunque al fine di svelarne la natura, i protagonisti, gli intrecci. La verità, insomma: quella politica (se ne esiste una) e in ogni caso quella che si affida al lavoro della Storia, piuttosto che a quello dei tribunali.
Esistono - da tempo - commissioni di natura diversa.Si chiamano truth and reconciliation commissions (commissioni per la verità e la riconciliazione ), e sono sorte un po' dappertutto: in Sud Africa, in Cile, in Salvador, ovunque si siano verificati fenomeni criminali di massa, ben più gravi e devastanti di quelli del G8, ma molto simili nel meccanismo e negli effetti, che hanno spaccato un Paese e reso impossibile, futile o inadeguato l'intervento della giustizia ordinaria.
Si è riconosciuto, in quegli sventurati Paesi, che il vero problema è riconoscere che non c'è verità senza riconciliazione e che non c'è punizione senza perdono (paradosso di cui il cristianesimo non detiene il monopolio). Quelle "commissioni" non devono "riparare" agli errori o alle insufficienze della giustizia, né sostituirvisi. Esse, piuttosto, devono aiutare un Paese a intraprendere - pur tra grandissime lacerazioni e sofferenze - la strada della riconciliazione: si tratti della guerra civile di liberazione, degli "anni di piombo" o delle tragiche giornate del G8. L'idea cui si ispirano è che la verità non può essere accertata in forme para-giudiziarie, ma ristabilita in una società riconciliata e solo in questo senso davvero civile.
La commissione parlamentare d'inchiesta non è che la proiezione della lotta politica su un tema specifico e sensibile, in cui ognuno cerca di affermare la propria verità, una volta per tutte. Ma la verità è un animale diffidente e non si lascia catturare né addomesticare.
Una commissione per la verità, ma anche per la riconciliazione sui fatti del G8, non solo consentirebbe di consegnare alla storia una ricostruzione veritiera e condivisa di quanto accaduto, ma costituirebbe - per il nostro Paese - un serio tentativo, forse il primo, di avviarsi finalmente sulla strada di una nuova cultura della riconciliazione.
Non sarebbero pochi i vantaggi di questa scelta. L'iniziativa, prima di tutto, non dovrebbe partire necessariamente del Parlamento, ma potrebbe essere presa da altri soggetti o enti - anche istituzionali - di riconosciuta autorevolezza. La composizione potrebbe essere numericamente leggera e compensata dall'altissimo profilo e dal prestigio indiscutibile dei componenti. Potrebbero essere chiamati a farne parte anche personaggi non italiani, che testimonierebbero a livello internazionale della neutralità e indipendenza dell'operato della commissione. Potrebbero inoltre essere individuate forme originali di accertamento della verità attraverso la cooperazione dei protagonisti, non più assillati dallo spettro della punizione. Ancora più aperto è il terreno delle misure compensative attraverso le quali dovrebbe essere implementato il processo riconciliativo (richiesta formale di scuse, istituzione di borse di studio, intitolazione di strade, commemorazioni congiunte, forme diverse di risarcimento sia morale che economico). La stessa giustizia penale ne risulterebbe alleggerita e facilitata rispetto agli episodi di natura effettivamente criminale, che spetta ad essa perseguire e punire.
Un sogno che sembra irrealizzabile. Ma solo quando riuscirà a realizzarlo il nostro Paese potrà dirsi, finalmente, in pace con se stesso.