Rete Invibili - Logo
«Dobbiamo continuare a batterci per la verità. E per Carlo Giuliani»
La storia Suna Gol nel luglio 2001 era arrivata a Genova con un amico. Per contestare il G8. In Svizzera era una rifugiata politica, scampata alle torture delle galere turche. In Italia era diventata «la pericolosa terrorista turca, la prova del legame tra no global ed eversione di sinistra». Dopo sei anni continua ad avere una gamba gonfia come un pallone. Un ricordo indelebile dei poliziotti della Diaz
Orsola Casagrande
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
21 luglio 2007
Era stata trasformata ad arte in un caso mondiale, la prova dei legami tra no global e terrorismo internazionale. I giornali non si erano risparmiati: titoloni gridati per dire che alla scuola Diaz c'era una pericolosa terrorista. Ma Suna Gol, giornalista turca, era una rifugiata politica. In Svizzera aveva ottenuto la protezione delle Nazioni unite per le torture e la persecuzione subita in Turchia da dove era dovuta fuggire, accusata di appartenere al Mlkp, una formazione marxista leninista considerata illegale da Ankara. A Genova, alle manifestazioni contro il G8, ci era arrivata con un amico turco, anche lui giornalista. Spinti, come tanti, dal comune sentire antimperialista, contro la globalizzazione e le ingiustizie. Genova per lei, come per centinaia di altre persone, si è trasformata in un incubo dal quale è impossibile uscire. Oggi Suna continua a vivere in Svizzera. In carcere Suna ci era già stata. In Turchia e da lì era scappata nel 1996.
Ci puoi raccontare come siete arrivati a Genova?
Avevamo capito fin da quando siamo andati alla stazione per comprare il biglietto che arrivare a Genova sarebbe stata un'impresa. La polizia al confine con l'Italia squadrava minuziosamente tutti i viaggiatori. E chi corrispondeva, nel loro immaginario, ad un potenziale no global veniva perquisito accuratamente, i documenti controllati dieci volte. A Milano ci hanno detto che non c'erano treni per Genova. Dopo un'attesa eterna abbiamo trovato il modo di spostarci. La visione di Genova è stata scioccante. Una città blindata, divisa in zona rossa e zona gialla, dove ogni movimento era controllato e stabilito da un ordine che era impossibile sovvertire.
Quindi sono iniziate le manifestazioni.
Stazioni, l'aeroporto, le autostrade erano presidiate dalle forze dell'ordine. Una nave da guerra aveva funzioni di aeroporto nei giorni clou. I sommozzatori controllavano il mare. L'ospedale San Martino aveva preparato 300 bare di plastica. Il corteo era un gruppo variegato, dove si parlavano cento lingue diverse. Eppure c'era un'unica lingua comune, quella della lotta contro lo sfruttamento, la globalizzazione. Nonostante gli ostacoli, la campagna mediatica terroristica, gli allarmismi che miravano a creare un clima di terrore, in piazza c'erano trecentomila persone. Lungo il percorso autorizzato c'erano centinaia di poliziotti e carabinieri: un unico blocco, un muro impenetrabile. Ed era così in tutta la città. In alcuni punti si sono verificati subito scontri con i poliziotti che hanno usato i gas. I manifestanti rispondevano con i sassi e con le scritte sui muri, «poliziotti assassini». Hanno picchiato senza pietà attivisti e giornalisti. Quando prendevano qualcuno, lo circondavano e lo massacravano di botte. A fine manifestazione era impossibile rientrare in treno o in autobus.
E voi cosa avete fatto a quel punto?
Io e il mio amico Mesut abbiamo cercato un posto per passare la notte. Siamo andati alla scuola Diaz e abbiamo tirato fuori il nostro saccoapelo. Verso mezzanotte abbiamo sentito dei colpi alla porta e qualcuno ha cominciato a gridare che c'era la polizia. I poliziotti hanno prima spaccato tutti i vetri, poi hanno colpito la porta e alla fine sono riusciti ad entrare. Noi siamo rimasti come paralizzati. Ed è cominciato il linciaggio. Hanno spaccato la mascella a una ragazza vicino ad una scala, hanno rotto il naso e la bocca e Benjamin K., un'altra ragazza ha subito un trauma cranico. Hanno spinto giù dalle scale Lena, dopo averla presa a calci e pugni. Abbiamo saputo dopo che a causa di quelle botte ha avuto dei danni ai polmoni ed è stata anche operata.
A te cosa è successo?
Mi hanno trascinata sul pavimento per diversi metri, prendendomi a calci e pugni. Mi hanno spaccato la testa: in ospedale mi hanno dato sette punti. Non riuscivo a muovere il corpo. La scuola Diaz, quando mi hanno portata via, era un luogo di guerra, sangue ovunque, grida nei corridoi. E' stata una una vera mattanza. Portavano via la gente in ambulanza, mezzo svenuta e continuavano a picchiarla. L'ospedale stesso era un posto di tortura. Soltanto il secondo giorno mi hanno concesso di andare al bagno. Mi sono lavata e ho pensato per un attimo che forse questa tortura stava finendo. Ma poi mi hanno detto che ci lasciavano lavare solo perché c'era un parlamentare in visita.
Dopo l'ospedale sei stata portata a Bolzaneto.
Appena entrati a Bolzaneto un poliziotto ha alzato la mano e ha gridato «Hi Hitler». Ci hanno preso nuovamente a calci e pugni. Ci hanno fatti stare per ore in piedi con le mani contro il muro. A noi donne gridavano di tutto. Qualche ragazza è stata costretta a spogliarsi davanti ai poliziotti. Quando chiedevamo di poter chiamare gli avvocati, le nostre famiglie, ci ridevano in faccia. Tra noi si era creata una grande solidarietà. E' stato questo a farci resistere.
Da Bolzaneto sei finita al carcere di Voghera.
Mi hanno messo in cella di isolamento. Quando, prima di uscire, ho chiesto l'anello che mi avevano tolto mi hanno detto che non riuscivano a trovarlo. A tanti hanno fatto sparire soldi e gioielli. Il 25 mattina c'è stato il processo. Mi rilasciavano. Mi hanno detto che mi rispedivano in Turchia, nonostante io sul mio documento svizzero fosse scritto che non potevo rientrare in Turchia. Per fortuna il mio avvocato, Massimo Pastore, è riuscito a bloccare l'estradizione. Mi hanno imposto il divieto di entrare in Italia per cinque anni.
Sono passati sei anni. Che cosa provi?
Il ricordo di quei giorni è vivo nella mia memoria, non riesco a non pensarci. Le conseguenze di quella violenza li ho sotto gli occhi. La mia gamba continua ad essere molto gonfia e i medici non trovano il modo per far passare questo gonfiore. Quando sono andata a Genova, mi trovavo in Svizzera da cinque anni. Avevo molta nostalgia del mio paese, la Turchia. Ma potevo andare altrove, girare. Oggi sono in Svizzera ed è come un carcere. Sono stata in cura da uno psicologo per molti anni. Mi batterò sempre per la giustizia, per la verità. Noi eravamo nel giusto a Genova. E i video e il processo l'hanno dimostrato. Non dimenticherò mai Carlo Giuliani. Se posso concludere con una nota positiva: Genova mi ha fatto conoscere tante persone, mi ha dato l'opportunità di sviluppare e approfondire amicizie che non avrei mai costruito.
(Ha collaborato Murat Erol)