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Il G8 raccontato in aula Tra violenze e assoluzioni
Da Bolzaneto alla Diaz, fino al Sud ribelle, tutti gli strascichi giudiziari delle giornate genovesi. Archiviato l'omicidio Giuliani, a rischiare di più sono i 25 manifestanti imputati a Genova per il «black bloc» e i 13 accusati di associazione sovversiva a Cosenza. Nonostante le forze dell'ordine escano a pezzi dal dibattimento
Simone Pieranni
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
20 luglio 2007

Per sei anni ha aleggiato tra indagini, processi e chiacchiericci, articoli di giornale, opinioni durante le mille serate seguite ai fatti di Genova. Poi l'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, tra molotov sparite e reticenze dei suoi uomini, è finalmente ricomparso sulla scena, da indagato, sollevando polveroni mediatici e politici, compresa la sua sostituzione dopo sette anni da capo, con giri di nomine che neanche un monarca. Ma a sei anni dai fatti del G8 non è De Gennaro, né altri dirigenti di polizia sotto processo, a rischiare di più. Chi nel 2008 potrebbe ritrovarsi tra capo e collo una condanna, potenzialmente dagli 8 ai 15 anni, sono i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per i fatti accaduti a Genova. Il primo processo a iniziare, il primo, forse, a finire. Migliaia di ore di video, di foto, centinaia di testi, cinque udienze chieste dalla Procura per la requisitoria. Numeri da capogiro, come gli anni che rischiano i manifestanti, all'epoca dei fatti appartenenti alle più diverse aree politiche. Un processo nel quale ognuno delle migliaia di partecipanti al G8 poteva ritrovarsi. Per l'accusa infatti, è bastato aver compartecipato, guardando e non facendo niente, trovandosi lì per caso o meno, durante gli scontri, per essere responsabile di devastazione e saccheggio. Compartecipazione psichica, la giurisprudenza avanza. Il processo contro i 25 manifestanti è stato anche il procedimento nel quale, prima di ogni altro, la famosa, e ormai tristemente nota, catena di comando delle forze dell'ordine a Genova ha vacillato. Carabinieri che in autonomia hanno caricato spezzoni autorizzati, poliziotti alle prese con fantozziane comunicazioni via radio per fermarli, accordi saltati, capitani negligenti, maggiori Rambo. E' nel processo ai 25 che si è svelato per la prima volta pubblicamente l'uso delle spranghe durante la madre di tutte le cariche, quella al corteo di Tolemaide, regolarmente autorizzato e tagliato in due dallo sciagurato attacco dei carabinieri: da lì in un drammatico effetto domino di pestaggi, arrembaggi, camionette in libertà, si sarebbe arrivati qualche ora dopo alla disorganizzazione perfetta di piazza Alimonda. Un altro squarcio aperto dal processo ai 25, sull'omicidio di Carlo, archiviato, nessun processo, nessuna verità pubblica, con Placanica a conquistare l'audience dei media a inizio anno: non ho sparato io, non ricordo, mi hanno lasciato solo, forse, chi sa parli. Poi silenzio o troppo poche parole quando richiamato in aula. Genova ebbe quattro tempi diversi: le botte in piazza, per strada, le umiliazioni e le torture a Bolzaneto, il piano di rientro (fare arresti) nella mattanza della Diaz, la declinazione nazionale dei fatti, con l'accusa di associazione sovversiva per il sud ribelle cosentino. Tra le botte in piazza le telecamere di allora inchiodarono alcuni uomini della Digos a pestare ragazzini seduti per terra: saranno i primi poliziotti ad essere condannati. Tra loro Perugini, imputato anche per Bolzaneto, allora vice capo della Digos. Uno di loro, De Rosa, ha scelto il rito abbreviato ed è uscito di scena con una condanna a un anno e otto mesi, per lesioni. Proprio il procedimento per le violenze subite dai manifestanti nella caserma temporanea di Bolzaneto, 45 tra poliziotti, carabinieri, polizia penitenziaria e personale medico sotto processo, ha visto sfilare nel corso degli ultimi due anni quasi tutte le vittime, che hanno svelato alcune atrocità di cui in pochi si sono accorti: minacce di stupro, umiliazioni, vessazioni, torture. La parola che nessuno osava citare, tortura, è venuta fuori proprio nella memoria dei pm. Nel processo Bolzaneto, riconoscimenti certi, prove tangibili, ma il mainstream non si è mosso: troppi pesci piccoli, nessun grande nome, il fatto è come non fosse mai accaduto. O forse troppa violenza, da non sembrare vera. Sull'operazione che avrebbe dovuto rivalutare l'operato della Polizia italiana durante le giornate del G8, ovvero l'irruzione alla Diaz, si è già detto e scritto molto. La polizia italiana a processo, accuse di lesioni per i Canterini boys, accuse di falso e calunnia per i mobilieri, Gratteri allora capo dello Sco e Calderozzi, suo vice, in testa. La prima parte del processo ha avuto poca eco: si parlava di botte, di pestaggi, ma erano tutte parole uscite dalla bocca di vittime, su cui aleggiava ancora la terribile accusa, della polizia e non solo, di essere dei temibili black bloc. Ci voleva un poliziotto, Michelangelo Fournier, vice di Canterini, per ricordare la mattanza, «macelleria messicana» e via con i termini ad effetto. Ma il nucleo del processo sarebbe arrivato solo a inizio di quest'anno. Era il momento delle molotov. Le due bottiglie incendiarie, suprema prova, per la polizia, per giustificare l'irruzione, un falso, per la procura genovese, per giustificare un'azione dai risultati sconcertanti. Ma le molotov, nel momento in cui avrebbero dovuto fare la propria comparsa nell'aula di tribunale, affinché venissero riconosciute come le stesse bottiglie trovate nel pomeriggio del 21 in un'aiuola di corso Italia, spariscono, non si trovano. Distrutte, perse, trafugate. Parte un'inchiesta e si arriva ai giorni nostri. Colucci, ex questore ai tempi del G8, si inventa qualcosa di inimmaginabile, Zucca, pm scrupoloso e martello pneumatico, non si ferma e si arriva a lui, De Gennaro, il grande vecchio che aleggiava da anni sui fatti del G8. Ma il conflitto interno alla polizia che si consumò in quella notte non sembra essersi ancora sedato. Infine Cosenza, il Sud Ribelle, l'associazione sovversiva. Un processo basato su telefonate, mail, arabeschi procedurali, testi insipidi e una procura, quella calabrese, unica in Italia a raccogliere il teorema dell'associazione sovversiva. Quattro grandi processi per riscrivere quei giorni: forse la prima debolezza del dopo Genova, il primo risultato ottenuto da chi represse quelle giornate di protesta è dovere attendere esiti processuali per scrivere una storia che, invece, apparterrebbe e andrebbe scritta dalle centinaia di migliaia di sovversivi che riempirono il capoluogo ligure durante quelle giornate che segnarono un'intera generazione. La generazione di Genova.