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«Lo ricordo come fosse adesso»
Concetta Moschetto era a Portella quel Primo Maggio in cui perse sua madre
Concetta Moschetto
Fonte: Liberazione, 1 maggio 2007
1 maggio 2007

Quello che abbiamo passato noi... già comincio a tremare. A me mi sembra come se fossimo là, mi ricordo tanto... Quei tempi erano troppo brutti per tutti, era il tempo del fascismo. Ero bambina e non si potevano accendere neanche le luci. Appena suonava l'Ave Maria, tutte le porte tutte chiuse, non affacciava nessuno. A quei tempi non c'era neanche da mangiare.
Papà poverino lavorava sempre, seminava il grano, ma il terreno non era nostro: eravamo a mezzadria. D'estate il padrone prendeva i tre quarti. Fino ad aprile-maggio non avevamo niente.
Un po' di pane e la pasta, che si faceva a casa. Non si poteva mangiare quello che si voleva.
La mamma teneva due capre e faceva dei formaggini piccoli così... poi faceva il siero, ci dava un po' di pane e andavamo a scuola. A mezzogiorno, quando tornavamo, ci dava un pezzo di pane, e la sera, quando veniva papà, faceva la pasta: due parti di verdura, quando c'era, e una di pasta. Ringraziando dio, ogni sera mettevamo la pentola. Erano tante le persone che si chiudevano a casa e avevano solo pidocchi e pulci. Che povertà, che pidocchi. Più pulito eri e più pidocchi venivano.
Non me lo posso dimenticare perchè la mamma di notte non dormiva per lavare i nostri vestiti pieni di pidocchi...
Eravamo sei figli, 2 maschi e 4 femmine. Mio fratello, che aveva 19 anni andava con papà, con la zappa. Noi raccoglievamo i finocchi, a piedi nudi... i tempi erano quelli.
Poi, quando c'è stato il decreto Gullo, che si divideva a metà col padrone, la mamma aveva paura perchè il padrone non voleva dividere. Quell'anno là col decreto, che era giusto, abbiamo avuto di più: grano, fave, ceci. La casa l'avevamo piena. Quell'anno della sventura di Portella, la casa l'avevamo piena.

Il primo maggio era una festa che sempre si festeggiava, era una festa dei lavoratori. Papà andava tutti gli anni con mio fratello il più grande.
Papà era un lavoratore. Si alzava alle quattro, mangiava quel po' di pane e andava a lavorare. Noi non facevamo neanche la scuola. Io ho fatto solo fino alla seconda. Non potevamo comprare neanche il quaderno e la penna. La mamma raschiava la pentola lo metteva con un po' di acqua calda e faceva l'inchiostro, così potevo portarlo a scuola. Non c'erano queste cose che ci sono oggi.
I tempi erano brutti, completamente.
Mio padre andava sempre a Portella. Andavano tutti i lavoratori. Quella volta la mamma disse che tutti dovevamo andare a Portella. Quell'anno tanti pullman sono venuti da Palermo, da Altofonte.
La mamma lo disse a papà, ma lui disse: «Ma cosa dobbiamo andare a fare tutti! Non abbiamo neanche il pane da mangiare». La mamma rispose: «Dobbiamo andare».
Il giorno prima siamo andati a raccogliere le fave le abbiamo pulite, la mamma le ha cucinate, ha fatto i formaggini e due forme di pane e ha detto: «Dobbiamo andare che è una festa! Ci dobbiamo divertire!». Ed è stata la prima e l'ultima. Mia sorella aveva 17 anni, era incinta perchè era sposata, e lei non si sentiva tanto bene quel giorno, ma la mamma la convinse.
Io, altre due amiche e mia sorella la piccola ci siamo messe a camminare davanti a mia madre e mia sorella grande. Un nostro amico, che andava a Portella, gridò: «Forza, correte correte che dobbiamo vedere come si baciano le bandiere di Piana e quelle di San Giuseppe Jato!». E correva, ce l'ho qua negli occhi...aveva una camicetta celeste. La mamma andava nei prati prendeva dei papaveri e ce li metteva nella testa.
Appena siamo arrivati là, chi arrostiva carne, chi pesce... Noi quelle cose non le avevamo, e mia madre disse a mio papà: «Rosario non ci possiamo sedere ora a mangiare», e così siamo andati dove c'erano quelli che parlavano. Appena abbiamo messo piede là, vicino alla Pietra di Barbato, mio papà, mio fratello che aveva nove anni, io, mia sorella piccola e le mie amiche davanti, mia mamma e mia sorella grande dietro di noi, tutti vicini. Mio fratello col cavallo era dove c'erano tutti gli altri coi cavalli. Neanche abbiamo messo piede che subito colpi di mitra, "ta ta ta ta ta...". Tutti dicevano: «Auguri per la festa!», ma che auguri! Dopo i primi colpi - io lo racconto, sa come tremo! Ce l'ho tutto scritto in testa - mi sono girata e ho visto la mamma con la mano sulla faccia, che il sangue gli usciva dalla bocca e dal naso. Le dico: «Mamma, ma cos'è tutto questo sangue?». Alzò gli occhi e le cadono delle lacrime - ce l'ho ancora davanti - non dice neanche una parola.
A mia sorella il proiettile entrò dalla spalla e le uscì dall'altro lato. Papà non sapeva cosa fare. Abbiamo disteso mia mamma che già diventava fredda, mentre continuavano a sparare. Non vedevamo mio fratello. Eravamo tutti pieni di sangue e non sapevamo cosa fare, le persone correvano di qua e di là. Papà ci disse di andare verso Piana mentre lui aspettava gli zii. I morti e i feriti li dovevano mettere sul camion. Mio padre dice «No, a mia moglie non la metto sul camion». Con i fratelli della mamma hanno preso l'ala dell'aereo che era caduto durante la guerra nella Pizzuta -ce l'aveva mio zio nella campagna- hanno messo la mamma lì sopra e dalla Portella a Piana l'hanno portata gli zii e papà. Mentre andavamo per Piana vediamo mio fratello che dice: «Papà papà hanno ucciso il cavallo». Noi, piangendo e gridando gli diciamo che era morta la mamma. Mio fratello non ha detto neanche una parola, ha messo la mano sulla guancia: era rimasto shoccato.
Siamo arrivati verso San Vito e là stavano passando i camion che dovevano andare a prendere i feriti e i morti. Vennero pure i soldati, e noi avevamo paura che ci avrebbero sparato di nuovo. Entrammo in una casa, dove a mia sorella diedero un po' d'acqua e poi questa signora chiese ad una vicina che aveva una farmacia di dare qualcosa a mia sorella. «Peggio per loro che ci sono andati», ha risposto lei, ce l'ho qua nelle orecchie: «Peggio per loro che ci sono andati!». Poi mia sorella fu portata a Palermo e non l'ha vista più la mamma. Dopo un mese che era stata ferita ha avuto un bambino.
Quando si è fatto il funerale, in tutto il corso c'erano i militari con i mitra, sembrava che dovevano prendere Giuliano. E' stata una cosa... non so come lo posso spiegare...
Quello che abbiamo subìto noi, di tutto. Non si possono dimenticare queste cose! Certe volte i miei nipoti dicono: «Ma questi sono romanzi!». Altro che romanzi, noi siamo cresciuti così! Poi a mia sorella e mio fratello piccoli ce li hanno tolti, li hanno portati in una famiglia in "alta Italia", perchè io avevo neanche 15 anni, papà andava a lavorare, chi li doveva tenere? Mio fratello aveva 9 anni, mia sorella 6, e non li abbiamo visti più. Loro poi si sono ambientati là, si sono messi a lavorare e si sono sposati. Ci sentivamo, sì, ma sono cresciuti orfani di padre e di madre.
Concetta Moschetto