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Sette detenuti morti nelle carceri italiane nel mese di marzo
Fonte: Redattore Sociale, 21 aprile 2006
21 aprile 2006

Continua il monitoraggio di "Ristretti Orizzonti", che punta il dito anche sui ritardi nell'assistenza medica. Sono 7 i detenuti morti nelle carceri italiane nel mese di marzo; 5 in meno del mese scorso, 3 in più rispetto ai casi registrati a gennaio. L'ultimo rapporto "Morti di Carcere" di "Ristretti Orizzonti", mette in evidenza come il suicidio sia ancora una delle maggiori cause di morte nelle carceri italiane (5 i casi nel solo mese di marzo) sollevando il dibattito sulle condizioni di vita dei detenuti, spesso disumane, e sul rispetto dei diritti umani.
"Il suicidio di un detenuto - ha dichiarato Dario Stefano Dell'Aquila, presidente di Antigone Napoli e componente dell'Osservatorio Nazionale sulla detenzione - solleva più di un problema. È indubbiamente il segnale di un disagio diffuso che si vive nelle prigioni italiane, mai così sovraffollate. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ritiene fisiologico che ci sia in carcere una percentuale di suicidi superiore a quella dei cittadini normali, noi pensiamo che esiste un preciso compito giuridico dell'Amministrazione Penitenziaria di tutelare l'integrità di persone prive della libertà".
"Sarebbe opportuno - ha concluso il presidente di Antigone Napoli - che si facesse chiarezza sulle dinamiche di questi eventi, senza reticenze e con trasparenza". È il caso del carcere fiorentino di Sollicciano che nel mese di marzo ha registrato due decessi (per mancata assistenza medica e per suicidio) e un tentato suicidio. Le cause sono da ricercare nel sovraffollamento: mille detenuti vivono per ventidue ore al giorno letteralmente ammassati in celle di dieci metri quadrati e il resto lo passano in cortili di cemento.
Il dossier mette alla luce anche un altro grave problema presente in alcune carceri italiane: i ritardi nell'assistenza medica. La morte di Francesco Lombardo nel carcere di Sollicciano ha sollevato molte polemiche e accuse. . Alle 22.30 del 23 marzo 2006, F.L., di 42 anni, ha accusato dolori gravi. Se ne è accorto il compagno con cui divideva la cella, che ha immediatamente cominciato a gridare e battere contro il blindo, subito seguito dagli altri detenuti dell'intera sezione, per avvertire gli agenti in servizio. Solo dopo oltre venti minuti questi ultimi hanno aperto la porta della cella, consentendo ai detenuti stessi di trasportare Lombardo fino all'infermeria interna servendosi di un lenzuolo. All'infermeria, Lombardo è giunto ancora in vita ma è deceduto poco tempo dopo, probabilmente per un ictus. "La sua condizione - spiega Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti - conferma che il carcere è una struttura malata e che produce morte e che il diritto fondamentale è quello alla salute e alla vita. Solo che le condizioni del carcere contrastano violentemente questa prerogativa. Il carcere reso invivibile dal sovraffollamento e da leggi criminogene non è in grado di garantire i diritti fondamentali e quindi o per suicidio o per malattia la conclusione è ugualmente drammatica".