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"Quante bugie sulla morte del mio Federico"... chi conosce la verità si faccia avanti
Giuseppe Crimaldi
Fonte: Il Mattino, 1 dicembre 2013
1 dicembre 2013

La mamma di Federico Perna: "Non è vero che aveva rifiutato il ricovero. Perché tanto ritardo per l'autopsia?. Adesso chi sa si faccia avanti. Esca allo scoperto e parli. Io non so se mio figlio sia stato maltrattato in carcere, se qualcuno lo abbia anche picchiato: so solo che è morto e che nessuno me lo potrà riportare in vita. Ma so soprattutto che questo è il tempo della verità e per questo rivolgo un appello a chiunque sia a conoscenza di fatti o particolari utili all'inchiesta aperta dalla Procura di Napoli".

Questo non è il momento della pietà. E nemmeno del perdono. Questo - invoca Nobila Scafuro, madre di Federico Perna - è solo il punto in cui la verità deve venire a galla. In un modo o nell'altro: e se l'indagine ordinata dalla magistratura inquirente napoletana sulla morte di questo 34enne in una cella del carcere di Poggioreale dovesse arenarsi nelle pastoie di una burocrazia fatta di carte, di documenti che talvolta dicono e non dicono, sostengono e smentiscono al tempo stesso, allora questo è il tempo degli uomini di buona volontà: "Che coraggiosamente e dignitosamente vengano allo scoperto - insiste la mamma di Federico in questa intervista rilasciata al "Mattino" - e raccontino ai pubblici ministeri quel che sanno".

A chi si riferisce di preciso?

"Ai suoi compagni di cella, e non solo agli ultimi con i quali ha vissuto a Poggioreale. E anche agli agenti della polizia penitenziaria".

Che cosa non la convince in questa storia?

"Tante cose".

Da dove cominciamo?

"Dalla risposta fornita al deputato Micillo dal sottosegretario alla Giustizia, che ieri ha affermato che Federico rifiutava il ricovero in ospedale. Questo non è vero: e a provarlo ci sono le tante lettere in mio possesso scritte da mio figlio, ma anche un certificato redatto dal responsabile del reparto sanitario del carcere di Secondigliano, nel quale ribadiva "l'inadeguatezza della sua sistemazione in una sezione detentiva comune" e invitava l'autorità preposta "a prendere provvedimenti, anche coercitivi, ai fini di una adeguata assistenza sanitaria, 24 ore su 24". Cioè in ospedale".

E che altro?

"Mi chiedo per quale motivo per svolgere l'autopsia di Federico - morto l'8 novembre scorso - si sia aspettato il giorno 12. Quattro giorni sono tanti. E mi chiedo il perché. E le domande non sono ancora finite".

Quanti trasferimenti carcerari ha dovuto subire suo figlio?

"Tanti che non me li ricordo neanche più. Un calvario. Quel che ricordo è che Federico è entrato e uscito dalle case circondariali di Cassino, Viterbo, Roma Regina Coeli, Velletri, Benevento, Secondigliano e poi Poggioreale. A proposito, insieme con i miei avvocati Camillo Autiero e Fabrizio Cannizzo ci siamo posti un altro interrogativo: se Poggioreale è tanto disumanamente affollato come sanno tutti, se la struttura più sovraffollata d'Italia e d'Europa, per quale ragione allora qualcuno ha deciso di trasferire mio figlio da Secondigliano proprio a Poggioreale, in una cella con altri 10 reclusi?".

A questo punto la madre di Federico sfila da una cartellina azzurra un fascio di fogli protocollo. Sono le lettere che il giovane morto nel carcere di Poggioreale gli scriveva. Ne sceglie una, che porta la data del 19 giugno 2012 e che le venne spedita dal penitenziario di Viterbo. La legge: "Amore mio, mamma: ti aspettavo al colloquio e mi sei mancata tanto. Ho saputo che vuoi riprendermi in casa ai domiciliari, ti amo! Qui c'è il dirigente che vuole ricoverarmi per farmi avere l'incompatibilità carceraria: io voglio venire con te a casa, le cartelle cliniche sono di aggravamento. Mamma, qui mi stanno uccidendo, portami a casa ti prego...".

Signora, chi era Federico?

"Mio figlio era un ragazzo buono, ma anche un tossicodipendente di lusso".

Che vuol dire "tossicodipendente di lusso"?

"Da ragazzo, a 16 anni, cominciò con gli spinelli. Io con lui avevo un rapporto troppo spartano, ma presto mi resi conto che si stava mettendo sulla strada sbagliata e gli dissi a muso duro che se non l'avesse smessa con la droga l'avrei messo fuori casa. Un giorno poi scavando nei suoi cassetti trovai un laccio emostatico e delle siringhe monouso, e allora capii tutto. E una sera che tornò "fatto" lo misi alla porta dicendogli che l'avrei riaccettato in casa solo quando sarebbe diventato un uomo".

Lui che fece?

"Da Latina a 18 anni se ne andò a Roma, dalla nonna, cioè mia madre. Donna troppo buona che alimentò involontariamente il suo vizio. Roma fece il resto. Le notti bianche in discoteca, i rave party, le pasticche... Mia mamma gli passava i soldi, gli faceva passare tutti gli sfizi. Lei sbagliava. Purtroppo senza accorgersene lo assecondava in tutto".

Chi erano gli amici di Federico?

"Ne aveva pochi, e quei pochi non ci sono più".

Sono morti?

"Sì, tutti. Di droga".

Ha qualcosa da rimproverarsi come madre?

"Il mio più grande errore è stato quello di consentire a Federico, a 18 anni, di trasferirsi a Roma da mia madre".

Che cosa chiede adesso allo Stato italiano?

"Giustizia, lo so, sembra banale, invece è una risposta molto più complicata di quanto non sembri".

E che cosa direbbe al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri se adesso l'avesse di fronte?

"Intanto la ringrazio per le parole che ha inteso rivolgermi due giorni fa. E per aver disposto una rigorosa inchiesta amministrativa sui fatti di Poggioreale. Al ministro vorrei rivolgere molti quesiti relativi alla fine assurda che lo stato ha voluto riservare a Federico. Sono i tanti punti oscuri relativi al calvario di un giovane uomo lasciato morire in un carcere della Repubblica italiana. Ma in questo momento mi preme dire un'altra cosa".

La dica.

"Io so che in questo Paese ci sono ancora tanti altri Federico Perna. Sono centinaia e centinaia. Sono i detenuti che non riescono a far sentire la loro voce, al di là delle sbarre. Sono fantasmi dei quali nessuno sembra volersi veramente interessare. Parole, parole, solo parole. Ecco, al di là del mio desiderio di ottenere giustizia, credo che da oggi la mia battaglia sarà in nome di quei ragazzi, di quegli uomini e donne muti. Muti perché lasciati senza più voce".