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Un ragazzo muore in carcere. I pm accusano: "Istigato al suicidio"
Eleonora Martini
Fonte: Il Manifesto, 8 aprile 2011
8 aprile 2011

È morto ieri senza aver mai ripreso conoscenza nel reparto di rianimazione del Policlinico di Bari, Carlo Saturno, il detenuto 22enne di Manduria ritrovato il 30 marzo scorso impiccato con un lenzuolo nella sua cella del carcere cittadino.

Un suicidio, secondo i poliziotti che lo hanno soccorso, messo in dubbio però dagli stessi sanitari del Policlinico che avrebbero trovato incongruenze tra i segni sul corpo e le modalità del suicidio, e dai familiari che non credono alla versione della polizia penitenziaria, anche perché il ragazzo era riuscito sei anni fa a mandare sotto processo nove poliziotti del carcere minorile di Lecce accusati di abusi e vessazioni.
Il giorno prima, poi, il 29 marzo, in seguito ad una violenta "colluttazione" con un agente, Carlo Saturno era stato arrestato in carcere, dove era detenuto per furto, e trasferito in cella d'isolamento. Ieri, qualche ora dopo il decesso, la procura di Bari ha disposto una perquisizione del penitenziario e ha cambiato i capi d'imputazione nel fascicolo d'inchiesta sul presunto suicidio: da "modello 45", cioè senza indagati né ipotesi di reato, ora i pm Drago e Ginefra indagano per istigazione al suicidio contro ignoti.
A fare maggiore chiarezza sarà l'autopsia disposta dalla magistratura ma nel frattempo anche il Dap, il dipartimento di amministrazione penitenziaria, ha aperto un'indagine interna. Anche il Pd (Ferrante e Della Seta) e l'Idv (Evangelisti e Palomba) chiedono al governo, con due diverse interrogazioni parlamentari a risposta scritta, di fare luce su quanto avvenuto nel penitenziario del capoluogo pugliese, ricordando al ministro di Giustizia Alfano lo stato di totale illegalità in cui versano le carceri italiane. Ma è la prescrizione che incombe sul processo cominciato due anni fa che vede come imputati i nove agenti accusati di violenze da Carlo Saturno e da altri ragazzi detenuti nel 2006 nel carcere minorile di Lecce, il problema più specifico di cui bisognerebbe chiedere conto al Guardasigilli.
Il senatore Pd, Alberto Maritati, allora sottosegretario alla Giustizia, fu il primo a stilare una "denuncia indiretta" sulle presunte violenze cui sarebbero stati sottoposti i minori reclusi: "Mi vennero a trovare un medico e due assistenti sociali dell'Ipm di Lecce - ricorda - e mi raccontarono di una squadra capeggiata da un graduato della polizia penitenziaria che seminava terrore all'interno della struttura. Mi dissero anche che in seguito alle loro reiterate denunce avevano subito ritorsioni. Ne parlai col ministro Mastella che mi assicurò che presto si sarebbe fatta luce sulla vicenda.
In realtà - continua Maritati - per mesi non è accaduto nulla mentre il medico tornò a trovarmi e a raccontare di aver ricevuto minacce. Ho sempre lamentato le assurde lungaggini ministeriali e processuali, soprattutto quando la dottoressa Cavallo, la direttrice generale, ritenne di risolvere il problema chiudendo l'istituto di Lecce (ufficialmente "per restauro", ndr), e punendo così di fatto solo le famiglie dei detenuti, che vennero spostati altrove, e non toccando affatto il personale penitenziario. Temo peraltro che anche questa volta non si intervenga tempestivamente. Ho anche sempre manifestato il mio rammarico per un sindacato di polizia penitenziaria che sembrava voler coprire a tutti i costi le eventuali mele marce". Lui, Maritati, non poteva fare di più, dice.
Anche don Raffaele Bruno, cappellano del circondariale di Lecce, esprime "mille perplessità e punti interrogativi". Ricorda una struttura, il minorile, "in fibrillazione costante, dove cambiavano spesso i dirigenti e non vi si lavorava volentieri". Anche lui, "senza entrare nel merito", si "sorprende per un sindacato che non riesce ancora oggi a spendere una parola di vicinanza a un ragazzo di 22 anni che non ha avuto una vita facile, e peraltro è stato creduto da tutti i magistrati".