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La sorella di Stefano Cucchi: per loro era solo "un tossico"... e manca l'accusa di omicidio
Fonte: Corriere della Sera, 26 gennaio 2011
26 gennaio 2011

Anche ora che la giustizia ha fatto un passo avanti - quanto lungo si vedrà - Ilaria Cucchi non riesce a dimenticare quella frase scovata fra le trascrizioni delle intercettazioni. Due guardie carcerarie, coinvolte nelle indagini sulla morte di suo fratello Stefano, parlavano al telefono e una di loro esprimeva disappunto per il clamore suscitato da quella vicenda.

Ha chiamato Stefano "tossico di m...", racconta Ilaria, ripensando al brivido di indignazione che l'ha percorsa quando ha letto il brogliaccio. Un'espressione uscita dal senno dell'intercettato, sintomo dei pregiudizi da cui è scaturito il dramma che ha portato alla morte di suo fratello: L'hanno sempre considerato non una persona, ma un drogato che creava problemi. E quella frase, pronunciata dopo la diffusione delle fotografie del cadavere di Stefano ridotto come tutti hanno potuto vedere, dimostra che nemmeno in quel momento c'è stato un ripensamento, la voglia di rendersi conto degli errori commessi. Mio fratello per loro e sempre rimasto un tossico, che sia morto senza diritti e dignità è un dettaglio che non interessa.
Eppure ieri un giudice ha rinviato a giudizio dodici persone per la fine di Stefano Cucchi, e una è già stata condannata. È un primo successo, senza dubbio - dice Ilaria, ma parlare di soddisfazione sarebbe davvero fuori luogo. Intanto perché non dobbiamo dimenticare che alla base di questa decisione c'è la morte atroce e inspiegabile di un ragazzo di 31 anni che voleva vivere, nonostante i suoi problemi. E poi perché l'imputazione parla ancora di lesioni e non di omicidio, sia pure preterintenzionale. È rimasta l'idea che le percosse non siano collegate con la fine di Stefano, come se fosse finito in ospedale per chissà quali motivi. Per me è assurdo, ma anche per il giudice. Il quale però in questa fase non poteva fare diversamente".
Nella sua ordinanza il giudice che ha deciso i rinvii a giudizio ha specificato che "le considerazioni emerse dalle parti civili evidenziano problematiche degne di considerazione, che necessitano di essere approfondite". Significa che resta il dubbio sulla natura e la gravità delle lesioni sul corpo di Stefano, avanzato ripetutamente dagli avvocati della famiglia Cucchi dopo una consulenza che (al contrario di quella dei pubblici ministeri) metteva in stretta correlazione le botte prese dal detenuto con la morte provocata secondo l'accusa - dallo stato di abbandono in cui l'avrebbero lasciato i medici dell'ospedale Sandro Pertini. "Dopo le parole del giudice commenta Ilaria Cucchi, mi auguro che anche i pubblici ministeri si rendano conto che sono rimasti soli a credere alle conclusioni dei loro consulenti. Spero che cambino idea".
Se non dovessero farlo, modificando il capo di imputazione per gli agenti penitenziari, gli avvocati della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo e Dario Piccioni sono pronti a riproporre la questione alla corte d'assise. Ma qualora i giudici dovessero convincersi che l'accusa di "lesioni" sia troppo blanda per gli imputati, il processo tornerebbe all'udienza preliminare, con un considerevole allungamento dei tempi. Ed eccoci al paradosso: dopo un anno e mezzo di tira e molla per arrivare al processo di primo grado, i familiari della vittima sono disposti a retrocedere alla stadio precedente pur di arrivare un quadro più convincente di come si sono svolti i fatti. "Sarebbe un nuovo dispendio di energie, emozioni e dolore - dice la sorella di Stefano Cucchi - ma se è necessario siamo disposti ad affrontare anche questa prova. Perché in tutta sincerità, e con tutto il rispetto per il lavoro dei pubblici ministeri, la soluzione che si sta affermando mi sembra un po' ipocrita. Come si fa a dire che le lesioni non sono collegate alla morte di Stefano, se sono il motivo per cui è finito in ospedale? Se non era in condizioni gravi, perché l'hanno nascosto a noi e al resto del mondo chiudendolo in quella struttura protetta dove nessuno poteva entrare?".
Questo è un punto chiave del processo, individuato dalla condanna del rappresentante dell'amministrazione penitenziaria giudicato colpevole di aver disposto l'ingresso di Cucchi nel reparto carcerario del Pertini un sabato pomeriggio, in tutta fretta e fuori dalle regole. Per l'accusa il movente di quel ricovero era proprio la necessità di sottrarre il detenuto picchiato da sguardi indiscreti, e Ilaria Cucchi insiste: "Con questa premessa è contraddittorio e illogico continuare a separare le percosse dai motivi per cui è morto Stefano.
Che motivo aveva quel funzionario della direzione delle carceri di esporsi con un comportamento del tutto inusuale, se non quello di proteggere qualche comportamento grave da parte di altri esponenti dell'amministrazione? Stefano è stato ucciso dalle botte che l'hanno portato all'ospedale dove non è stato curato come doveva. Già l'inchiesta non ha chiarito che cosa è davvero accaduto la notte dell'arresto, nelle caserme dei carabinieri; se dovessero rimanere ombre anche su ciò che hanno fatto gli agenti di custodia, sarebbe veramente inaccettabile. Ma continuiamo a sperare. In fondo non era nemmeno scontato che arrivassimo alla celebrazione di un processo".