Rete Invibili - Logo
la mamma di Carmelo Castro; troppi punti oscuri sulla sua morte in cella
Fonte: Corriere della Sera, 19 gennaio 2011
19 gennaio 2011

Fu trovato morto il 28 marzo 2009 nella sua cella a Catania. La Procura ha riaperto le indagini sulla base di un corposo esposto presentato dalla famiglia del giovane. "Mio figlio non può essersi suicidato, non era in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo, figuriamoci attaccare un lenzuolo alla branda e impiccarsi". La madre non crede al suicidio del figlio in carcere e invoca chiarezza. La vicenda è quella di Carmelo Castro, il giovane diciannovenne incensurato morto il 28 marzo del 2009 nel penitenziario di piazza Lanza, a Catania. Ci sono contorni oscuri della drammatica vicenda che lasciano presagire l'esistenza di un nuovo "caso Cucchi". La madre del giovane, Grazia la Venia, supportata dalle associazioni "Antigone" e "A buon diritto", e dal Garante per i diritti dei detenuti siciliani Salvo Fleres, ha ottenuto dalla Procura di Catania la riapertura delle indagini, a seguito della presentazione di un corposo esposto. Il 24 marzo del 2009 Carmelo Castro viene arrestato e portato prima nella caserma di Biancavilla, poi in quella di Paternò. L'accusa è quella di aver preso parte, insieme ad altre due persone, a una rapina nei confronti di un tabaccaio della zona. La madre e la sorella raggiungono Carmelo nella caserma di Paternò e sentono provenire dal piano di sopra le urla e i pianti del ragazzo. La sorella, quando Carmelo esce dal commissariato, vede il volto del fratello gonfio, come se fosse stato picchiato. A riprova di un probabile pestaggio c'è la foto scattata al giovane il 25 marzo, al momento di entrare nel carcere di Piazza Lanza. La foto mostra un gonfiore del viso diffuso. Il 28 marzo 2009, durante la mattina, quattro giorni aver varcato il portone del carcere, Carmelo Castro si sarebbe suicidato legando un lenzuolo allo spigolo del letto a castello. Il 27 luglio 2010 il giudice delle indagini preliminari, Alfredo Gari, ha disposto l'archiviazione del caso: Carmelo Castro è morto suicida in carcere. Ma molte sembrano essere secondo la famiglia del giovane, assistita dall'avvocato Vito Pirrone, le incongruenze e le colpevoli dimenticanze nel corso delle indagini. Nonostante il reparto Nicito, quello in cui si trovava Carmelo, sia a grandissima sorveglianza, monitorato 24 ore su 24 dalle telecamere, non sono state acquisite le videoregistrazioni relative a quel giorno. Inoltre, tutte le celle del carcere hanno un cancello e una porta blindata, che in quel reparto rimane sempre aperta. L'agente che ha ritrovato il corpo di Carmelo durante un consueto giro d'ispezione, ha affermato di aver aperto lo spioncino e di aver visto il ragazzo impiccato al letto. Appare, quindi, strano che l'agente affermi di aver aperto lo spioncino se la porta blindata è sempre aperta. Altrettanto improbabile appare il fatto che l'agente piuttosto che soccorrere e slegare il lenzuolo dal collo del ragazzo, abbia dato l'allarme e atteso l'arrivo del medico. Quest'ultimo ha dichiarato di aver trovato il detenuto in grave crisi cardiorespiratoria: il giovane è stato portato prima nell'infermeria del carcere e, successivamente in ospedale. Però per il trasporto del ragazzo all'ospedale Garibaldi è stata utilizzata una semplice auto di servizio. Le indagini, secondo l'associazione Antigone, non hanno dato molta rilevanza all'incongruenza dell'orario della morte in carcere e dell'arrivo in ospedale. Il referto dell'ospedale certifica l'arrivo del cadavere di Carmelo alle 12.30. Ciò significa che il ragazzo è arrivato già morto al pronto soccorso. Ma, secondo il medico del penitenziario, il corpo sarebbe stato trovato alle 12,35. Dall'esame autoptico sul cadavere sono state riscontrate strane ipostasi, cioè accumuli di sangue, sulla schiena e non agli arti inferiori come dovrebbe essere nel caso di una morte per impiccagione. Inoltre, il medico ha rilevato che il ragazzo aveva mangiato da poco. Appare inverosimile che un ragazzo che sta per suicidarsi decida di mangiare. Se Carmelo ha consumato il pasto, qualcuno deve averglielo portato. Ma la prima indagine non ha ritenuto necessario sentire il detenuto addetto alla consegna dei pasti, che verosimilmente dovrebbe essere l'ultima persona ad aver visto Carmelo in vita. L'associazione Antigone ha denunciato come il letto a castello nel reparto in cui era detenuto Carmelo era alto 1,70 cm, mentre il ragazzo era di cinque centimetri più alto. Inoltre, non sono stati sequestrati né la cella né il lenzuolo con cui Carmelo si è impiccato. Carmelo era incensurato e, come spesso accade, una "faccia pulita" fa sempre comodo alla malavita. Il giovane era da poco rientrato dalla Germania con la famiglia. Un ragazzo giovane e appetibile per la piccola criminalità del suo paesino. Alla psicologa del carcere aveva confessato di aver paura perché i suoi complici nella rapina lo avevano "minacciato e costretto a delinquere". Anche ai carabinieri aveva fatto mettere a verbale le stesse preoccupazioni: "Da tempo vivo in una condizione di assoluta paura poiché a seguito dell'arresto di Vincenzo Pellegriti, detto "u chiovu", molti dei soggetti pericolosi che lo stesso serviva hanno iniziato a pensare a me come il suo naturale successore. Tale scelta da parte di questi individui forse è stata dettata dal fatto che i medesimi vedevano nel sottoscritto un ragazzo che era rientrato dalla Germania e che quindi non aveva particolari legami con alcuno e contestualmente non era particolarmente in vista alle forze dell'ordine". L'accusa ha chiesto al magistrato di acquisire le videoregistrazioni; di conoscere il nome del detenuto che ha distribuito il mangiare quel giorno; di conoscere e sentire i nomi dei detenuti che si trovano nelle celle vicine per vedere se hanno sentito qualcosa. Inoltre, dato che nel reparto di grandissima sorveglianza esiste un registro in cui si annotano tutti i movimenti dei detenuti, è stato richiesta anche l'acquisizione dello stesso. Sulla vicenda di Carmelo Castro, fino ad ora, sono state presentate tre interrogazioni parlamentari al Senato. La prima dal senatore e garante dei diritti dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres il 6 maggio 2010, la seconda dal senatore Felice Casson il 12 maggio 2010, la terza ancora dal senatore Fleres, il 15 settembre 2010. Nessuna, però, ha avuto risposta.