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Inerzia, indifferenza, impotenza, intanto nelle carceri si continua a morire
Valter Vecellio
Fonte: Notizie Radicali, 31 dicembre 2010
31 dicembre 2010

Si chiamava Rambo Djurjevic, era un rom di 24 anni. Arrestato assieme al fratello per furto, era rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Fra soli cinque mesi, a maggio, sarebbe stato scarcerato.

Cinque mesi sono niente, ma per Rambo Djurjevic devono essere sembrati troppo, interminabili, insopportabili. Ha ricavato da un lenzuolo una corda, e si è impiccato. È il 66esimo detenuto che "evade" in questo modo.
È una drammatica questione sociale. L'altro giorno ci siamo occupati del caso di Ferdinando Paniccia, 27 anni, detenuto nel carcere di Sanremo; pesava oltre 180 chili, disabile e malato. Un morto che non doveva morire, almeno non come è stato lasciato morire. Tra decessi e suicidi siamo ormai a cifre impressionanti, conferma che il carcere non è più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde.
La Costituzione - quella che ci si dice sia la Costituzione più bella del mondo - prescrive che il carcere sia un "luogo di rieducazione"; al contrario è una vera e propria, letterale discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell'umanità.
Il rapporto di chi si uccide tra persone in carcere e libere è di 19 a 1: percentuale sproporzionata e spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale.
Recenti ricerche, si legge nel documento elaborato dall'Unione delle Camere Penali, "hanno dimostrato correlazione fra sovraffollamento e suicidi. In nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all'anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176 per cento contro il 154 a livello nazionale e la frequenza dei suicidi è di 1 su 415 detenuti a fronte di una media di 1 su 1.090".
Non solo: "Un'altra ricerca evidenzia come i regimi speciali di detenzione (che riguardano il 10 per cento della popolazione carceraria) nel 2010 siano stati interessati dal 60 per cento dei suicidi. Un dato che dà ragione a chi definisce il regime del 41 bis una "tortura bianca", dove molte limitazioni, più che ai giusti criteri di sicurezza, si ispirano a criteri di applicazione disumana della pena". Inerte, indifferente, impotente il ministro della Giustizia, la sua maggioranza. Ma inerti, indifferenti, impotenti, anche le opposizioni. Quello delle carceri, della giustizia, è il più grande e grave problema sociale del paese. Ma non vedono, non sentono, non parlano. Intanto nella discarica che chiamano prigione si soffre, si muore.