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Il Gip non crede al suicidio, Claudio Tomaino potrebbe essere stato ammazzato in cella
Gianni Tassi
Fonte: Il Messaggero, 31 ottobre 2010
31 ottobre 2010

Potrebbe essere stato ammazzato in cella a Mammagialla Claudio Tomaino, 29 anni, calabrese, autoaccusatosi della strage di Caraffa avvenuta il 27 marzo del 2006 nel Catanzarese nella quale vennero uccisi a colpi d'arma da fuoco padre, madre e i loro due figli.

Per la seconda volta consecutiva, infatti, il gip del tribunale viterbese, Salvatore Fanti, ha rigettato la richiesta di archiviazione presentata dal sostituto procuratore, Renzo Petroselli, imponendogli altri tre mesi di indagini per dissolvere alcuni dubbi ritenuti importanti. Potrebbe quindi non trattarsi di suicidio bensì di omicidio. Un delitto avvenuto dentro il carcere viterbese ad opera di chi aveva interesse a che Tomaino non svelasse i veri autori di quella strage o dei suoi complici.
Quella mattina del 27 marzo 2006 nella campagna di Caraffa, in località Tre Olivare, viene sterminata un'intera famiglia: Camillo Pane e la moglie Annamaria, i figli Eugenio e Maria, di 20 e 18 anni, zii e cugini di Tomaino. In un primo momento si parla di più autori dell'omicidio poi, invece, è lo stesso Claudio Tomaino ad autoaccusarsi. Raccontando anche che era stato spinto da motivi economici (era debitore di 120 mila euro nei confronti dello zio). Ma forse la vicenda della "Strage di Caraffa" è ancora tutta da scrivere. Ne è convinta Maria Pane, la madre di Claudio Tomaino, individuato dalla Procura di Catanzaro come unico colpevole degli omicidi. Talmente convinta da aver chiesto alla stessa Procura catanzarese di riaprire le indagini su quel caso, tramite un esposto presentato dall'avvocato Noemi Balsamo. Troppi, a suo dire, i dubbi rimasti irrisolti al termine di un cammino investigativo che è apparso subito troppo facile rispetto al delitto consumato e ai segreti che potrebbero averlo determinato.
Claudio Tomaino, rinchiuso nel carcere di Viterbo in attesa di giudizio, viene trovato morto la mattina del 18 gennaio 2008. Le autorità carcerarie parlano subito di suicidio per soffocamento. L'uomo si sarebbe tolto la vita infilando la testa in una busta di plastica dentro la quale aveva immesso il gas di un fornello scaldavivande. Ma su quel presunto suicidio ha sempre mostrato dubbi la madre dell'uomo. E adesso, per la seconda volta, il gip del tribunale viterbese, dopo aver respinto la richiesta di archiviazione presentata dal pm, convinto del suicidio, ha disposto altri tre mesi di accurate indagini.
"Ci sono punti oscuri da chiarire - dice l'avvocato Francesco Balsamo, legale rappresentate della madre di Claudio Tomaino - primi tra tutti quelle tracce di sangue rinvenute sul volto del presunto suicida, sul lenzuolo e sulla federa del cuscino. Un suicidio per soffocamento non provoca fuoriuscita di sangue". E aggiunge: "Possibile che il piantone che era in cella con lui, cioè un altro detenuto che aveva il compito di controllarlo, non si sia accorto di nulla? E che dire delle dichiarazioni di quel detenuto che ha affermato che il giorno prima della morte Claudio Tomaino era stato aggredito e pestato a sangue?". L'avvocato Balsamo tira in ballo anche quell'autopsia "assai sommaria" effettuata a due giorni dalla morte. "Per non parlare di una serie di carenze investigative sulle quali adesso bisognerà fare luce". Va detto che in altre quattro occasioni Tomaino ha tentato il suicidio. "Tentativi approssimativi e innocui - evidenzia Balsamo - messi in atto solo per dimostrare il suo stato psichico". Ovverosia il classico escamotage per salvarsi dall'ergastolo.