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Belluno: la madre del detenuto suicida in cerca di risposte convincenti
Fonte: Il Corriere delle Alpi, 30 settembre 2010
30 settembre 2010

Le domande della madre sono le perplessità di tanti. Come mai Mirco Sacchet si è ucciso a tre mesi dalla scarcerazione? Perché non ha chiesto aiuto? Quanto c'entra il fattore carcere? Domande pesanti che arrivano dopo la morte per suicidio di un giovane di 27 anni, che stava scontando una pena di due anni per il furto di un'auto. Oggi Cesiomaggiore gli dirà addio, ma con lui - di certo - non se ne andranno i tanti interrogativi che pendono sulla sua tragica fine.
La verifica voluta dalla madre sta seguendo i suoi binari. Nella storia di Sacchet ci sono due dimensioni: quella privata e quella "pubblica". Il giovane cesiolino è stato il cinquantunesimo morto suicida in carcere dall'inizio dell'anno. Una cifra preoccupante, al di là di ogni statistica, come dice anche l'avvocato bellunese Gino Sperandio. Da parlamentare del Prc, Sperandio aveva fatto il giro delle carceri del Nordest. "Il carcere di Belluno non è nemmeno quello messo peggio", dice. "Ma restano i problemi di sempre, dal sovraffollamento alle difficoltà di reinserimento.
Belluno e Baldenich continuano a essere due pianeti distanti. La città continua a vedere il carcere come un soggetto che non le appartiene". Eppure, al di là del facile giustizialismo, all'interno ci sono anche i suoi figli. Mirco era uno di loro. Tormentato certo, ma alla fin fine un buon ragazzo, come in paese raccontano un po' tutti. Sperandio parte dall'amara contabilità: "Aveva 27 anni e quasi due anni di carcere alle spalle per il furto di un'auto. A mio avviso, non tornano le proporzioni. Questi sono i classici reati poveri sempre pagati fino all'ultimo, mentre i reati ricchi e dei ricchi restano nell'impunità". Per Sperandio il problema è innanzitutto generale: "Per reati di quel tipo dovrebbero essere previste pene alternative e percorsi di re-inserimento, mentre la legge Cirielli ha soltanto appesantito le pene per i reati più comuni".
C'è poi il problema strutturale: Baldenich - come buona parte della carceri italiane - scoppia. Lo avevano denunciato i sindacati la primavera scorsa, prevedendo la classica "estate calda". Qualcuna tra le sigle aveva anche deciso di non presenziare alla festa della polizia penitenziaria, quella stessa cerimonia durante la quale vengono normalmente consegnati gli encomi a quegli agenti che riescono a scongiurare i gesti estremi dei detenuti. "Se Mirco Sacchet è stato la cinquantunesima vittima in carcere, è evidente che c'è un problema", afferma Sperandio.
La famiglia del giovane è comunque intenzionata ad andare fino in fondo, promuovendo una "verifica" su quanto accaduto: per il momento non è ipotizzabile nessuna ipotesi di reato né è detto che ci sarà l'apertura di un fascicolo, anche perché finora non c'è stato nessun atto ufficiale. L'autopsia ha confermato - come riportato ieri - la morte per asfissia. Resta da indagare sui perché di quella scelta. Interrogativi certo inquietanti e che mettono a nudo un intero sistema ma non necessariamente "aventi carattere penale", tanto per mutuare la terminologia forense.