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«Legato al letto in manicomio. Così hanno ucciso mio figlio»
Francesco Alberti
Fonte: Corriere della Sera, 12 novembre 2009
12 novembre 2009

Giuseppe Saladino, detto Geppo, 32 anni, elettricista, tossicomane in cura al Sert e ladruncolo, crollato di schianto in una cella del carcere di Parma, dove era stato portato poche ore prima, aveva il terrore della galera. Scriveva lettere disperate alla madre Rosa e alla fidanzata Annalisa, lui condannato a un anno e 2 mesi per aver scassinato alcuni parchimetri del centro: «Aiutatemi, ho paura, qui c'è gente terribile, assassini, rapinatori, mi sento guardato, non riesco a dormire...». Era sempre sul chi vive: «Ho preso l'abitudine di andare per ultimo a fare la doccia, aspetto che gli altri siano usciti, speriamo...». E quando poi l'avevano trasferito dal carcere di Parma all'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, diagnosticandogli «uno scompenso psichico in disturbo psicotico », il terrore era diventato panico. «Mi raccontava - afferma il legale della famiglia, Letizia Tonoletti - che lo tenevano 'contenuto', cioè legato, oltre a sottoporlo ad un trattamento di psicofarmaci. L'hanno curato come se fosse un paziente psichiatrico, ma lui non lo era e per questo avevo chiesto di ricoverarlo in un ospedale civile, ma inutilmente...». Ottenuti gli arresti domiciliari, Geppo è evaso. Solo poche ore (l'hanno ripreso subito), sufficienti però, così ipotizzano gli inquirenti, per tornare al vecchio vizio della droga: una dose, magari anche piccola, ma che potrebbe essere stata fatale per un organismo già debilitato dagli psicofarmaci. Non ci sono ancora indagati nell'inchiesta per omicidio colposo aperta dal pm Roberta Licci. E nemmeno risposte sull'improvvisa scomparsa di Geppo. I verbali della questura parlano di «overdose da stupefacenti ». La direzione del carcere di Parma di «arresto cardiaco».

Il legale della famiglia è invece convinto che «i medicinali prescritti all'ospedale psichiatrico, che Giuseppe ha continuato regolarmente a prendere anche dopo aver lasciato la struttura, abbiano avuto un peso nel decesso». L'unica pista che sembra scartata è quella del pestaggio o dei maltrattamenti. L'attenzione degli inquirenti è concentrata sull'iter carcerario al quale è stato sottoposto il giovane per capire se era compatibile con il suo stato di tossicodipendenza: dall'effettiva necessità del trasferimento all'ospedale psichiatrico, alla congruità della terapia di psicofarmaci, fino ad eventuali lacune o sottovalutazioni da parte della componente sanitaria.

La madre del ragazzo, Rosa Martirano, non si dà pace, ne ha per tutti: «Mio figlio era sano, me l'hanno ridato morto. Non era un assassino, solo un ladro di polli... Mi devono spiegare perché l'hanno mandato in quel manicomio (l'ospedale psichiatrico di Reggio, ndr.), è lì che me l'hanno rovinato: quando l'ho rivisto era sempre intontito, assente, terrorizzato...». Le ultime ore di Geppo sono un mix di incoscienza e ingenuità. Il 6 ottobre scorso, dopo aver scontato una parte della pena, ottiene gli arresti domiciliari. Arriva a casa e dopo un'ora ecco comparire la sua fidanzata Annalisa. I due abbandonano l'appartamento, non si sa quanto consapevoli di commettere il reato di evasione. Quando tornano, ci sono i poliziotti ad aspettarli. Geppo viene prima portato in questura e poi di nuovo in carcere. Nella notte muore. Il mondo della politica, già scosso dal caso Cucchi, torna ad interrogarsi. I radicali chiedono al ministro Alfano un'ispezione nel carcere di Parma. La Cgil parla di «situazione intollerabile ». I dipietristi annotano amari: «La morte di Cucchi non è servita a niente».