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morì in cella; autopsia mette in dubbio le cause
Filiberto Mayda
Fonte: La Provincia Pavese, 14 novembre 2009
14 novembre 2009

Morire in carcere. Suicida. Può accadere. Ma se chi si è tolto la vita era un soggetto a rischio, allora può venire il dubbio che su di lui, come era doveroso si facesse, non ci sia stata sufficiente vigilanza. La procura della Repubblica di Voghera, con il pm Maria Gravina, ha preso molto sul serio la morte di Marcello Russo, vogherese d'adozione ma originario della Puglia, una vita difficile tra emarginazione e criminalità organizzata. Come molto sul serio l'ha presa l'avvocato Sara Bressani che assiste Addolorata Masiello, la madre di Russo.

E così, dopo la perizia affidata ai professori Giovanni Pierucci e Angelo Groppi (tossicologo), il sostituto procuratore Gravina ha iniziato a interrogare i numerosi detenuti che, nelle lettere inviate alla madre di Russo, sostenevano di avere "molto da dire" sulla vicenda e sulle presunte stranezze di quella morte. Forse le stesse che emergono dalla precisa relazione dei due medici legali. In sintesi, che c'era da aspettarsi un gesto disperato da parte del detenuto Marcello Russo. Ma è davvero così?

Alcuni fatti sono certi. Intanto che alle ore 17.45 del 23 marzo 2009 il corpo senza vita di Russo fu trovato nella sua cella del carcere di Voghera. Secondo gli agenti, ma si tratta di un dato ancora da verificare, solo un quarto d'ora prima Russo si era tranquillamente messo sulla branda. In quel quarto d'ora, diciamo anche meno, aveva preso la bomboletta di gas (Gpl) utilizzata per cucinare qualcosa e farsi il caffè, poi si era calato sul capo un sacchetto della spazzatura, inserito il tubo annesso alla bomboletta, aveva aperto il rubinetto del gas. Per suicidarsi o per ottenere un "effetto droga" dal Gpl?

I medici legali non sono stati in grado di dare una risposta. Tuttavia, hanno raccontato come si è arrivati a quel pomeriggio di morte. Il 17 gennaio 2008 Marcello Russo arriva al carcere di Voghera e solo sei-sette mesi più tardi vengono segnalate autolesioni, ferite inferte al torace. Malgrado il forte dolore provocato da un menisco rotto, rifiuta l'intervento chirurgico ed anche una terapia psichiatrica. Le sue condizioni psico-fisiche sembrerebbero preoccupanti se è vero che il 27 agosto inizia uno sciopero della fame.

Altri atti di autolesionismo vengono registrati dai medici del carcere il 2, il 13 e il 17 gennaio del 2009. Fino a fine febbraio, tra psicofarmaci e scioperi della fame, resta in isolamento. Il 13 febbraio viene segnalato un tentativo di suicidio, o meglio, l'inalazione con busta di plastica del gas di una bomboletta da campeggio. Nello stesso giorno, Marcello Russo ingerisce una lametta da barba e rifiuta cure mediche nei giorno che seguono. Non è finita: il 20 febbraio riprende lo sciopero della fame.

Da quel momento le relazioni mediche acquisite da Pierucci e Groppi sono incomplete o illeggibili come quella del 5 marzo e poi l'ultima del 20 marzo. Sarebbe interessante capire di cosa parli, visto che tre giorni dopo Marcello Russo muore. A rendere questa vicenda ancor più complessa una circostanza non del tutto secondaria: Russo sarebbe stato un malavitoso di primo piano, sospettato di aver ordinato alcuni omicidi, ma che poi si era pentito.

Il 25 marzo, due giorni prima della sua morte, avrebbe dovuto testimoniare, come imputato, al processo sul delitto consumato a Castel del Piano (Grosseto), dove venne ucciso Salvatore Conte, l'ex pentito ucciso dai suoi stessi compari e seppellito nei boschi di Gubbio. Solo un caso? Forse, visto che i medici legali escludono l'omicidio.