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Giustizia: la lunga scia delle morti in cella; otto solo in maggio
Fonte: Adnkronos, 11 giugno 2007
11 giugno 2007

Continua la lunga scia delle morti in cella nelle carceri italiane: solo a maggio si sono registrati otto nuovi casi. È quanto racconta il giornale della Casa di Reclusione di Padova, "Ristretti Orizzonti", che, nel dossier "Morire di carcere", raccoglie documentazione e testimonianze sugli ultimi episodi di decessi dietro le sbarre.

Nel dossier si fanno nomi e cognomi delle "vittime" del mese scorso. A partire dal 43enne Roberto Conte, che si è suicidato nel carcere Marassi di Genova il 17 maggio. Conte, originario di Como, tossicodipendente, era detenuto nella sezione "a rischio" del carcere di Marassi, e si è impiccato utilizzando delle lenzuola di carta. L'uomo, in attesa di giudizio, si trovava dietro le sbarre per la ricettazione di un assegno di 2.500 euro.

"Si trattava di un soggetto psichiatrico - spiega Salvatore Mazzeo, direttore del carcere - veniva perciò controllato ogni 15 minuti. Aveva vestiti monouso e lenzuola di carta, ma è riuscito comunque a togliersi la vita". "Un dramma che si poteva evitare", è il commento di Patrizia Bellotto, responsabile per la Cgil Polizia Penitenziaria. "Il suicidio di questa persona deve pesare sulle coscienze di tutti, ma soprattutto di chi avrebbe dovuto e potuto garantire un nuovo corso al difficile lavoro del poliziotto penitenziario".

Tre giorni dopo, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, a morire dietro le sbarre è Maurizio Sinatti, 42 anni. Ma questa volta non è lui a togliersi la vita. Maurizio infatti è stato ucciso dal compagno di stanza, Giuseppe Cascio: sembra che l'omicida avesse minacciato già da qualche giorno il suo compagno di camera "perché era divorziato, e non era un uomo d'onore". Poi, alla fine, si è consumato il dramma: Maurizio Sinatti sarebbe prima stato colpito da Cascio con uno sgabello sulla testa e poi finito con una borsa di plastica avvolta attorno al volto.

Un agente di polizia penitenziaria si è trovato di fronte al corpo senza vita del detenuto durante la ronda di controllo al passaggio delle consegne del turno. Sembra che sia stato lo stesso presunto omicida a sollecitare l'intervento della guardia perché, avrebbe detto, "gli dava fastidio il cadavere". Sarebbe trascorsa, così, una decina di minuti prima della scoperta.

Quando è intervenuto l'agente, per il senese, che avrebbe dovuto essere dimesso pochi giorni dopo, non c'era più niente da fare, se non constatare il decesso. L'uomo si trovava non da molto tempo all'interno della struttura: era stato internato dopo che, finita la pena per una serie di piccoli furti legati al disagio sociale che viveva con un passato legato alla droga e poi con i problemi derivanti dall'alcol, gli era stata applicata la misura di pericolosità sociale da parte del Magistrato di Sorveglianza di Siena.

Lo stesso giorno un altro detenuto moriva nel carcere di Secondigliano (Napoli). E. C., 55 anni, ex collaboratore di giustizia, detenuto perché accusato di pedofilia dalla moglie, che gli attribuiva molestie sessuali nei confronti della loro bambina, si è suicidato. Recentemente, durante un'udienza del processo, E. C. aveva tentato di aggredire la moglie in aula. L'uomo, in cattive condizioni di salute, era sotto osservazione medica, ma nulla aveva mai lasciato intravedere la possibilità che l'uomo potesse compiere un gesto estremo. Gli agenti, che hanno aperto la sua porta per accompagnarlo all'ora d'aria, ne hanno scoperto il cadavere appeso all'aeratore in bagno. Secondo l'osservatorio "Antigone" di Dario Stefano Dell'Aquila, ammontano complessivamente a 9, compresi gli ultimi due, i suicidi verificatisi a Secondigliano dal 2003, un carcere dove va registrato peraltro un cambio di guardia al vertice. Sarebbero 22, invece, i decessi per malattia e overdose nello stesso periodo.

Il 24 maggio invece, un altro detenuto moriva nelle aule del Tribunale di Catanzaro. Giuseppe Cirillo, 68 anni, è morto d'infarto nell'aula del Tribunale mentre ascoltava la sentenza che lo condannava a 20 anni di carcere. Inutili i soccorsi: i sanitari hanno solo potuto constatare che l'imputato era deceduto "per arresto cardiocircolatorio" come hanno stabilito i medici.

A distanza di un giorno, nel carcere di Foggia Vitalij Skripeliov, 24 anni, lituano, si è impiccato nella sua cella. L'uomo, condannato all'ergastolo, era detenuto dal 2004, quando si rese autore di un duplice omicidio, uccidendo a martellate due suoi connazionali nelle campagne di Torremaggiore.

Sconcerto non soltanto tra i detenuti ma anche tra tutto il personale del carcere foggiano. Il 24enne era descritto come una persona molto tranquilla priva di qualsiasi forma di fragilità psichica. L'uomo si è tolto la vita utilizzando un laccio ricavato da una tuta. Ad accorgersi del fatto un compagno di cella che ha tentato di rianimarlo praticandogli un massaggio cardiaco. Il lituano è morto durante il tragitto in ospedale. La vittima era stata condannata all'ergastolo nel 2006 assieme al connazionale Petras Loskutovas, per l'omicidio di Vladimir Sman e Irina Bandurova, anch'essi lituani.

Lo stesso giorno, a Secondigliano, si è consumato un altro suicidio. Salvatore Grassonelli, 63 anni, stava scontando la pena all'ergastolo che gli era stata inflitta dai giudici della Corte d'Assise di Agrigento perché ritenuto responsabile di numerosi omicidi. Secondo i primi accertamenti, si sarebbe tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Salvatore Grassonelli divenne il capo della mafia di Porto Empedocle dopo la morte del padre, Giuseppe, ucciso nella strage del 21 settembre 1986, che costò la vita anche a Gigi Grassonelli (fratello di Salvatore), Giovanni Mallia, Antonio Morreale, Filippo Gebbia e Salvatore Tuttolomondo.

A Roma gli ultimi due casi. Il 28 maggio, nel carcere romano di Rebibbia Yan Olszewski, 26 anni, polacco, si è impiccato nella sua cella del braccio G9: era da 13 mesi in attesa di essere giudicato per un duplice omicidio. A quanto risulta al Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, che ha segnalato l'accaduto, l'uomo era entrato in carcere ad aprile 2006 accusato di un duplice omicidio di cui si era dichiarato innocente. In questi mesi a Rebibbia il polacco, approdato in Italia da cinque anni e con una figlia di sette in Polonia, occupava una cella singola e lavorava come imbianchino. Sempre a quanto risulta al Garante, l'uomo non era sottoposto a particolari misure di sicurezza e non aveva mai chiesto colloqui con gli psicologi e con gli educatori. Ad accorgersi della morte un agente di polizia penitenziaria nel corso di un giro di controllo.

"Questa morte è la conferma di come, a volte, i tempi della giustizia possano essere drammaticamente lunghi", ha sottolineato Marroni: "A quanto ci risulta questo ragazzo non aveva manifestato esigenze particolari tali da richiedere sorveglianze speciali, e tuttavia è probabile che il peso di un'accusa di cui si dichiarava estraneo alla lunga lo abbia schiacciato".

Il giorno dopo, ma questa volta per malattia, è morto invece Ilio Spallone, 76 anni, il medico condannato a 18 anni e 4 mesi di reclusione per gli aborti clandestini della clinica "Villa Gina". Sarebbe morto per problemi cardiaci dopo soli 2 giorni dalla concessione della detenzione domiciliare per problemi di salute. Si trovava ricoverato in una clinica privata di Roma. Secondo il difensore di Spallone, l'avvocato Gian Michele Gentile, in carcere il suo assistito non avrebbe ricevuto cure adeguate.