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"Ilaria e Miran uccisi per un traffico rifiuti-armi. Ma è una verità troppo scomoda per l'Italia"
Daniele Mastrogiacomo
18 marzo 2014

"Io so perché Ilaria e Miran sono stati uccisi. Dopo 20 anni di indagini inutili e faticose, di menzogne, depistaggi, sparizioni, altre morti sospette, ho bisogno solo di conoscere i nomi dei mandanti di quel duplice omicidio. Non li voglio vedere dietro le sbarre. Mi basta guardarli in faccia". Armi per rifiuti. Tossici, chimici, nucleari. Ogni schifezza che si produceva nel mondo - e si ricicla in Italia - da sotterrare in zone desertiche della Somalia. In cambio, carichi di armamenti moderni e sofisticati provenienti dai paesi dell'ex blocco sovietico che il nostro paese forniva ai signori della guerra. Non solo nella nostra ex colonia ma in tutti i paesi del Corno d'Africa. "Ilaria", ci dice la signora Luciana Alpi, la madre della giornalista del Tg3 della Rai uccisa a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 assieme all'operatore Miran Hrovatin, "stava indagando su questo enorme scandalo. Lo aveva detto ad alcune persone di cui si fidava. Con la dovuta cautela imposta dall'argomento". Giovedì prossimo saranno passati 20 anni. La vergogna criminale della Terra dei fuochi era ancora lontana dall'essere scoperta. Ma dopo tutto quello che si è visto e saputo, con i guasti economici e ambientali inflitti a una regione come la Campania, il movente di un omicidio ancora oscuro non è poi così assurdo. Anzi.

La sentenza della magistratura italiana, signora Alpi, parla di agguato. Forse per un sequestro, forse come ritorsione per le violenze effettuate dai nostri militari nei confronti di alcuni somali.

"Ma non dice quale fosse il movente. Fa delle supposizioni. C'è un solo colpevole: Hashi Omar Hassan, un poveraccio che ha pagato con 26 anni di carcere perché qualcuno lo ha indicato come membro del commando che aggredì e uccise mia figlia e Miran. Circostanza che lui continua a negare con forza. Io gli credo".

La signora Alpi ha un groppo in gola. Gli occhi le diventano lucidi. Ma solo un attimo. Il tempo di riprendersi e di riacquistare quella serenità che l'ha aiutata a superare il muro omertoso sulla morte di sua figlia.
Lei sostiene che è stata una trappola. Perché?

"Ilaria non aveva nessuna voglia di andare all'hotel Amana. Era appena tornata da Bosaso, nel nord della Somalia, dove aveva incontrato il sultano locale. Voleva restare nel suo albergo, il Sahafi. Avrebbe dovuto attraversare tutta la città, con i posti di blocco, i pericoli di una guerra in corso, gli agguati, le incursioni. Me lo disse lei stessa. Ricevetti la sua telefonata alle 12,30. Mi tranquillizzò e mi spiegò che voleva fare una doccia e mettersi a letto".

Invece qualcuno l'ha invitata all'Amana. Per conto del collega Remigio Benni, dell'Ansa.

"Non so chi abbia telefonato. Se si fosse agito subito, con il nostro personale militare ancora a terra, sarebbe bastato interrogare l'addetto alla reception e scoprire chi aveva chiamato. Benni in realtà era già partito da due giorni. Ilaria non trova nessuno, rimonta in macchina e dopo appena 100 metri un'auto appostata nei pressi dell'albergo li segue e li blocca all'altezza di una strettoia".

Hrovatin viene colpito da proiettili di Ak-47. Sua figlia muore con un solo colpo al collo sparato da distanza ravvicinata con un'arma corta, una pistola. Una vera esecuzione.

"Appunto. Si è parlato di sparatoria. Ma a sparare sono stati solo due dei 7 killer del commando. Tra l'altro l'autista, accusato di aver innescato la reazione sparando all'impazzata, non ha avuto neanche un graffio. Ilaria, no. Mio marito, che non c'è più, ed io non abbiamo mai visto il corpo di nostra figlia. Ci dicevano che era devastato, crivellato di colpi. Mio cognato e mio fratello ci sono riusciti: qualcuno doveva effettuare il riconoscimento, senza il quale Ilaria non poteva essere seppellita. Aveva solo la testa fasciata. Il certificato di morte, però, è sparito. E' spuntato fuori anni dopo. Era in una cartella con altri documenti che apparteneva ad un faccendiere fermato vicino a Brescia. Pare fosse coinvolto in traffici strani, illeciti. Sulla cartella c'era scritto: Somalia".

E che fine ha fatto il certificato?

"E' stato requisito da un capitano dei Carabinieri assieme agli uomini della Forestale che l'hanno consegnato alla Procura di Reggio Calabria. Quando è stato richiesto era sparito".

Non è l'unico ad essere scomparso.

"I taccuini su cui Ilaria aveva preso degli appunti, per esempio. In uno c'erano scritte molte cose: i 1400 miliardi di lire della Cooperazione italiana; la strada Garore-Bosaso, fatta sempre dalla nostra Cooperazione; il nome di Mugne, l'armatore di una flottiglia italo-somala; quello di Marocchino, l'imprenditore che gestiva l'approvvigionamento delle nostre truppe. Ilaria indagava sul traffico di rifiuti e cercava risposte sullo scandalo che coinvolgeva il nostro ministero degli Esteri, quello della Difesa, i nostri Servizi, le società coinvolte nello scambio armi-rifiuti. Noi fomentavamo una guerra che eravamo andati a placare. Lo scandalo era enorme. Soprattutto in quell'epoca. Oggi siamo abituati a tutto...".

E le risposte, sua figlia, le va a cercare da Bogor, il Sultano di Bosaso.

"Lo dice lo stesso Bogor. E' stato interrogato dalla Commissione d'indagine della Camera. C'è la sua deposizione su una cassetta di 35 minuti. Racconta che Ilaria e Miran restarono con lui per due, forse tre ore. Sapevano già molte cose; da lui cercavano solo delle conferme. Il Sultano lo ribadisce. Anche lui raccoglieva continuamente delle voci che denunciavano l'arrivo e lo svasamento di migliaia di fusti con rifiuti tossici all'interno e lungo le coste della Somalia. La cassetta della deposizione è nelle mani della Procura. Io conservo il trascritto che poi, nelle conclusioni della Commissione, non è stato neanche accennato. Chi intervista per tre ore un personaggio come il Sultano di Bosaso registra delle immagini e delle voci. Ilaria e Miran sicuramente avevano i nastri. Ma anche questi sono spariti. I bagagli di mia figlia, chiusi e sigillati, sono stati aperti durante il viaggio di rientro della nave Garibaldi in Italia".

Attorno all'omicidio dei due nostri colleghi aleggiano altre due morti sospette: quella di Vincenzo Li Causi, uomo dei Servizi militari italiani e per un certo tempo attivo nella struttura segreta Gladio (creata per fronteggiare un'invasione del blocco sovietico, ndr) a Trapani; e quella di Mauro Rostagno, fondatore della comunità Saman. Il primo viene ucciso pochi mesi prima di Ilaria sempre in Somalia, il secondo nel 1988 vicino a Trapani.

"Oggi sono convinta che la fonte di Ilaria fosse Li Causi. Molti suoi colleghi e altre persone presenti in quei mesi a Mogadiscio confermano che si conoscevano. Mia figlia era stata per sette volte in Somalia. Aveva chiesto di restare ancora qualche giorno. Voleva andare al sud, a Kysmaio. Un altro porto. Nelle sue indagini c'erano sempre dei porti. Tutto porta alla stessa evidenza: mia figlia indagava sul traffico di armi in cambio dei rifiuti. Armi trasportate dai nostri aerei militari, gli Hercules C-130, senza insegne. Quelli visti, secondo testimoni, da Rostagno sulla pista clandestina vicino a Trapani. Quelli di cui Ilaria, probabilmente, aveva parlato con Li Causi".

Il governo si è impegnato a togliere il Segreto di Stato sugli 8 mila documenti legati all'omicidio di sua figlia. Cosa si aspetta?

"Poco. In 20 anni ho imparato a non illudermi. Ho parlato con tutti. Ho ottenuto solidarietà e impegni da Ciampi, all'epoca primo ministro, e da Scalfaro, presidente della Repubblica. Ho ricevuto persino una medaglia d'oro al valor civile da Napolitano. Ho assistito a tre processi, visto indagare cinque diversi magistrati e due Commissioni parlamentari. Ma mi sono trovata sempre davanti a molti silenzi, moltissimi depistaggi, tante prove importanti sparite. Qualcuno, come l'avvocato Carlo Taormina, che guidò la seconda Commissione parlamentare d'indagine, è arrivato a dire che Ilaria in fondo era andata in Somalia per una vacanza. Considerazioni che si commentano da sole".

Magari, per una vacanza, si sceglie un paese diverso.

"Appunto. Ma sono ostinata. Non mi arrendo. Voglio vedere se le nostre Istituzioni hanno il coraggio di affrontare la verità. Voglio capire perché Ilaria e Miran sono stati uccisi. Ottenere la conferma di qualcosa che tutti i protagonisti conoscono. Ma che l'Italia ha paura di ammettere".