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Lettere: il 41 bis e il Viminale...
Barbara Spinelli e Nicola Mancino
Fonte: La Repubblica, 26 novembre 2010
26 novembre 2010

Caro direttore, le scrivo in merito all'articolo di Barbara Spinelli, nel quale apoditticamente mi si attribuisce l'opinione favorevole all'abolizione del carcere duro, "decisa" nel novembre 1993 dall'allora ministro della Giustizia Conso nei confronti di 140 mafiosi.
In proposito le chiedo di precisare, a tutela della mia immagine e della mia coerenza, innanzitutto di cittadino prima ancora che di politico, di non avere mai espresso in nessuna sede opinioni a favore di un alleggerimento o addirittura dell'abolizione del regime del 41bis. Del resto, lo stesso prof. Conso, cui va tutta la mia stima, deponendo lo scorso 11 novembre davanti alla Commissione parlamentare antimafia, ha testualmente dichiarato (cito dall'Agenzia Ansa) di aver preso la decisione di non rinnovare il 41bis "in assoluta solitudine, senza consultarmi con nessuno".
Quanto alla mia posizione di allora (che oggi confermo), posso citare diverse occasioni pubbliche nelle quali ho sostenuto la necessità di mettere i detenuti più pericolosi in condizioni di non nuocere.
Il 7 giugno 1993 il Corriere della Sera riportando una polemica sollevata contro di me dall'on. Tiziana Maiolo, allora eletta nelle liste di Rifondazione Comunista, e dal radicale Sergio D'Elia che mi accusavano di voler creare "carceri speciali", cita la mia seguente espressione: "Mi sono battuto e mi batto contro il lassismo penitenziario quando consente ai mafiosi di comunicare con l'esterno e di guidare, dalle carceri, la lotta contro lo Stato".
All'epoca ero accusato d'essere un "duro", mentre oggi, a distanza di 18 anni, sempre sulle "carceri speciali" sarei stato un "garantista", se non addirittura un debole. A conferma della mia posizione, desidero ricordare che nel 1993, recatomi a Catania nella qualità di ministro dell'Intemo per un incontro con i responsabili dell'ordine pubblico della Sicilia orientale, ebbi a dichiarare, così come venne virgolettato dal Giornale di Sicilia del 12 ottobre 1993: "Ci siamo trovati tutti d'accordo sull'opportunità di non abolire l'articolo 41bis, quello cioè che prevede il trattamento differenziato per i detenuti più pericolosi, a cominciare dai boss. Dal momento che questo trattamento sta dando buoni risultati, occorre intensificare la lotta alla mafia anche in questa direzione". Questa la mia posizione di quegli anni, sempre coerentemente sostenuta in tutte le sedi.

Nicola Mancino

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Ringrazio il presidente Mancino per la lettera di rettifica, che chiarisce in modo inequivocabile la linea di fermezza che egli difese pubblicamente sul carcere duro per i delitti di mafia. Tanto più preoccupante è quel che Nicolò Amato, a quei tempi direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dichiarava il 6 marzo 1993 in un "appunto" indirizzato al capo di gabinetto del ministro della Giustizia Giovanni Conso: "In sede di Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza, nella seduta del 12 febbraio, sono state espresse, particolarmente da parte del capo della polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente da parte del ministero dell'Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano". Conclusione dell'appunto: "Appare giusto ed opportuno rinunciare ora all'uso di questi decreti".
Questo significa che una parte del ministero dell'Interno non si limitava a pensare in modo diverso dal proprio ministro, ma che agiva - esercitando pressioni non leggere - per conto suo, senza che il titolare del dicastero ne sapesse alcunché. E che anche il ministro della Giustizia si trovò ad agire "in assoluta solitudine", come da lui stesso svelato l'l1 novembre scorso in Commissione antimafia: la decisione di togliere il carcere duro a 140 mafiosi, adottata da Conso nel novembre 1993, fu presa poche settimane dopo che Mancino, suo collega del governo, aveva dichiarato, l'11 ottobre '93 a Catania parlando ai responsabili dell'ordine pubblico: "Ci siamo trovati tutti d'accordo sull'opportunità di non abolire il 41 bis", ai fini di "intensificare la lotta alla mafia anche in questa direzione".
Vero è che Amato, contrario al 41 bis pur avendo lavorato con Giovanni Falcone, lasciò il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel giugno 1993. Ma il torbido di quei mesi e anni resta, e torbida resta la sicurezza con cui Bernardo Provenzano andava rassicurando i suoi, sull'imminente abolizione del carcere duro abolizione decretata secondo i magistrati della procura antimafia di Palermo non per 140 ma per più di 300 mafiosi, (come riportato giovedì da Salvo Palazzolo e Francesco Viviano su Repubblica). Che un ministro non controlli alla perfezione il proprio ministero è un male forse inevitabile. Che tanti attori del dramma agissero per conto proprio, su questioni di vita e di morte come la resistenza alla mafia, e che questa verità venga alla luce con 17 anni di ritardo, è un male oscuro su cui è essenziale fare chiarezza.

Barbara Spinelli