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L'ANTIFASCISMO MILITANTE E QUELLO DI MANIERA
Enrico Campofreda
13 marzo 2006

Corso Buenos Aires, il Boulevard commerciale milanese, sottoposto a guerriglia urbana dai giovani dei centri sociali che presidiano le strade contro le funeree sfilate nostalgiche (autorizzate dalla Questura) dell'alleato berlusconiano Fiamma Tricolore. Accade a meno d'un mese dalle elezioni in una città medaglia d'oro della Resistenza che espose il cadavere del duce alla fine d'una tragedia cercata con accanimento per un quarto di secolo dal sedicente "uomo del destino". Alcuni mercanti e cittadini "modello" mostrano rabbia verso i manifestanti e cercano di aggredirli dopo che una polizia iper repressiva opera oltre 40 arresti. Tutto ciò perché il sabato commerciale del villaggio è stato compromesso e con lui la certezza dell'incasso. L'opposizione fino a Rifondazione si smarca sostenendo di non aver nulla che fare coi violenti.

Ciascuno ragiona sugli effetti, nessuno sulla causa: le lugubri bandiere d'un passato criminale che sciagurati del Terzo Millennio portano in giro al grido di "Heil Hitler!" salutando romanamente. E allora sono violenti i giovani antifascisti dei centri sociali o diventa disattento e pusillanime chi non scende in piazza per evitare il raduno fascista, magari senza bisogno di danneggiare un Mc Donald's? L'antifascismo non è mai stato parolaio. Durante il Ventennio anche sul fronte liberale si distingueva chiaramente lo spirito di vera opposizione d'un Godetti dalle melliflue prese di distanza d'un Benedetto Croce che tacciava la prima dittatura del Novecento europeo di "malattia dello spirito". Che l'antifascismo non si facesse a parole lo impararono a proprie spese tanti militanti socialisti: seguendo il riformismo turatiano, che blaterava di non accettare le provocazioni squadriste, finivano arrostiti nelle Case del Popolo incendiate dai seguaci di Farinacci.

L'antifascismo non è mai stato di maniera né durante la lotta di Liberazione, come ha insegnato la lezione partigiana, né negli anni a venire durante la recrudescenza nera che dal governo Tambroni giunge alla strategia della tensione. Periodo in cui il movimento operaio e studentesco conservava con la militanza di piazza l'agibilità politica dei luoghi pubblici insanguinati dagli squadristi di Almirante e Fini e delle associazioni parallele foraggiate dai Servizi, protette dalle forze dell'ordine, coperte dalla Democrazia Cristiana. Non vanno dimenticati centinaia di morti da Piazza Fontana al rapido 904. L'antifascismo di quegli anni non si faceva né si poteva fare con le parole, serviva una presenza puntuale, decisa, ferma anche se a volte conduceva su un terreno violento.

La violenza di chi si difende non è mai paragonabile a quella dell'aggressore e le campagne antifasciste d'un tempo e le nuove che dovranno ripartire difendono i singoli e la collettività da chi, emarginato dalla Storia, ripropone solo antiche e catastrofiche pratiche di fanatismo. Altro che asilo politico ai fascisti, di cui qualche raglio parla oggi, il proprio diritto politico il fascismo l'ha perduto trascinando il Paese alla rovina e quel passato non può e non deve tornare. Mai. La stessa Sinistra riformista degli anni Settanta ammetteva che indietro non si poteva guardare mentre ora abbassa paurosamente la guardia parlando di dignità dei "ragazzi di Salò" e altre scempiaggini antistoriche. C'è necessità di tenere saldi nella memoria i princìpi con cui la Storia ha condannato inesorabilmente il nazifascismo.

Se questo Centrosinistra, tutto - dai boselliani ai bertinottiani - sabato avesse chiamato a raccolta il popolo, i suoi militanti, gli elettori e simpatizzanti, Corso Buenos Aires sarebbe stato invaso dalla marea democratica che vuol cambiare l'Italia. La quale magari avrebbe potuto tirar fiori anziché sassi ai fascisti e ai celerini. Con una mobilitazione di massa nessun giovane avrebbe incendiato cassonetti e gli squallidi e sparuti militanti della Fiamma Tricolore non si sarebbero neppure affacciati in piazza. L'Unione tutta, prima di predicare e biasimare, dovrebbe riflettere sulla sua assenza dall'assolvimento d'un compito sancito dalla Costituzione Repubblicana che recita "E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista".
E' la gravissima mancanza oltreché l'insostenibile vuoto politico di queste ore di Prodi e dei suoi alleati.

Enrico Campofreda, 13 marzo 2006


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