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Quei misteri sulla morte di Massimo Casalnuovo
Luigi Manconi e Valentina Calderone
Fonte: L'Unità, 25 luglio 2013
25 luglio 2013

Massimo Casalnuovo aveva ventidue anni quando, un pomeriggio di quasi due anni fa, tornava a casa guidando il suo motorino appena riparato. Dietro una curva, a pochi metri da casa sua a Buonabitacolo in provincia di Salerno, due carabinieri si erano appostati, decisi a fermare chiunque passasse da lì senza indossare il casco. Il posto di blocco, che posto di blocco non era, non veniva segnalato in alcun modo. Casalnuovo prende la curva alla larga, probabilmente vede gli uomini, o forse no.
In pochissimi minuti, l'esito fatale: Massimo cade dal motorino sbatte il petto contro un muretto e muore. Come spesso accade, nelle vicende in cui sono coinvolti appartenenti alle forze di polizia, le versioni dei fatti fornite sono molto distanti tra loro.
Secondo i carabinieri Casalnuovo ha cercato di evitare il posto di blocco tentando anche di investire uno dei militari, tanto che, con il giovane steso a terra e agonizzante, il primo ad arrivare in ospedale per farsi visitare è stato il vicecomandante dei carabinieri. Massimo Casalnuovo moriva sull'asfalto. Per alcuni abitanti di Buonabitacolo, accorsi subito, i fatti si sono svolti in maniera diversa. Massimo Casalnuovo ha sì percorso quella strada, era sì senza casco, ma non ha tentato di investire il carabiniere. Sarebbe stato l'uomo, con l'intento di fermare il giovane, a sferrare un calcio al motorino di Casalnuovo che avrebbe perso l'equilibrio andando a sbattere contro il muretto. Dopo quasi due anni di indagini, il 5 luglio si è arrivati a sentenza. Ci si è arrivati senza un vero e proprio processo, perché il vicecomandante dei carabinieri ha deciso di sottoporsi al rito abbreviato. Con questa procedura, è quasi impossibile ascoltare i testi e la decisione dei giudici dipende unicamente dall'analisi dei documenti presentati dalle parti. C'è da dire che la modalità di verbalizzazione degli interrogatori non è stata adeguata (invece che una trascrizione letterale, infatti, si è proceduto a riassumere i contenuti dell'esame, lasciando così un ampio margine interpretativo sia al verbalizzante sia a chi poi è chiamato a giudicare) e anche i periti che hanno stilato le consulenze, peraltro abbastanza divergenti tra loro, non hanno potuto spiegare nel dettaglio i risultati cui sono giunti. La questione delle perizie, comunque, sembra essere fondamentale: in quella depositata dalle parti civili, si analizza una rietranza su un lato del motorino. Quell'impronta, sarebbe stata prodotta da un violento calcio a seguito del quale Casalnuovo finisce a terra. Il pubblico ministero ha chiuso la sua requisitoria chiedendo che il vicecomandante fosse condannato per omicidio preterintenzionale con l'aggravante dell'abuso di potere, con una pena di 9 anni e 4 mesi. Il giorno della sentenza un forte dispiegamento di forze dell'ordine presidiava il tribunale e, per volere dell'imputato, non è stato consentito ai familiari e a quanti manifestavano loro solidarietà l'ingresso in aula. La sentenza di assoluzione con formula dubitativa (ancora una volta, la stessa utilizzata dai giudici della vicenda Cucchi per assolvere i tre poliziotti penitenziari imputati di lesioni), lascia perplessi. Aspettiamo le motivazioni della sentenza contro la quale il pm potrebbe proporre ricorso, ma certo è che se questo fosse l'esito ultimo, verrebbe da chiedersi: com'è possibile non essere riusciti a individuare i responsabili di una morta tanto insensata? Com'è morto, Massimo Casalnuovo? E viene spontaneo un pensiero, che non nasce da un ragionamento tecnico o giuridico ma dalla necessità di capire e darsi una risposta. Se Massimo Casalnuovo quel giorno avesse fatto un'altra strada, o avesse ritardato il suo rientro a casa, o non fosse riuscito a riparare il suo motorino in tempo, magari per il troppo lavoro durante il giorno, se non avesse incontrato quel carabiniere, sarebbe morto? Quello che sappiamo è che Massimo Casalnuovo avrebbe da poco compiuto 24 anni.