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«Che fine ha fatto la democratizzazione della polizia?» L'accusa del comitato Verità e giustizia
Alessandra Fava
Fonte: Il manifesto, 22 luglio
22 luglio 2011

Una fiaccolata con un percorso più lungo del solito, da piazza De Ferrari alla scuola Diaz, ha attraversato ieri sera la città. Un serpente che ha toccato anche piazza Alimonda e rievocato a distanza di dieci anni la notte cilena, «la macelleria messicana» come ebbe a definirla un dirigente di polizia nella prima deposizione in procura (Michelangelo Fournier). Insomma l'assalto alla scuola del Genoa social forum nella notte tra il 21 e il 22 luglio, dove per perquisire un centinaio di persone e trarle in arresto, la polizia italiana, coadiuvata dai carabinieri, fece 63 feriti gravi e ridusse in coma l'inglese Mark Covell. Oltre a raccontare un mucchio di bugie, dalle ferite pregresse dei manifestanti che uscivano in barella al falso delle molotov e di un agente che sarebbe stato accoltellato da un manifestante mai catturato. Quell'operazione impedì ai magistrati e agli investigatori di ottenere qualsiasi collaborazione dalle polizie europee per trovare gli autori di atti di danneggiamento e così il processo ai 25 accusati di devastazione e saccheggio si restrinse praticamente a soli italiani.
Lo strappo di fiducia nelle istituzioni di un paese democratico non si è ricucito. «Il problema non si risolve con la caduta di Berlusconi - ha commentato ieri una spagnola della Diaz, poi a Bolzaneto, Mina Zapatero - perché è endemico e riguarda l'istituto della polizia».
Il problema della gestione dell'ordine pubblico da allora è insoluto. Anzi dimenticato. Nel dibattito «Genova luglio 2010, io non dimentico», tenutosi ieri a Palazzo Ducale,al quale sono intervenuti testimoni, avvocati e giornalisti, il sociologo Salvatore Palidda ha ricordato che «si è parlato di processo di democratizzazione delle forze di polizia fino all'inizio degli anni '90. Poi basta e sono stati i governi di centrosinistra a stringere la morsa e manovrare le paure».
Quella notte ci ha lasciato una serie infinita di dubbi. Ad esempio come fa un giudice a fidarsi di un poliziotto indagato o condannato, col quale dovrebbe lavorare. Tema d'attualità: «Ricordiamo che nel nostro Paese ci sono poliziotti condannati che restano al loro posto» ha detto uno degli avvocati genovesi facendo riferimento a casi recenti. Un giurista di vaglia come Livio Pepino, prima membro del Csm e presidente di Magistratura democratica, una soluzione ce l'ha: «Il problema sul rapporto di fiducia tra magistrato e polizia resta insoluto finché non si stabilisce una distinzione tra polizia giudiziaria e polizia che si occupa di ordine pubblico». Intanto l'appello «Operazione trasparenza» sulle forze dell'ordine lanciato in rete da Amnesty international è stato firmato in 40 ore da oltre 3 mila persone.
La presidente del comitato Verità e giustizia, Enrica Bartesaghi, che ha seguito i processi Diaz e Bolzaneto nei quali era coinvolta anche la figlia Sara in quanto presente nella scuola del levante genovese quella notte, ha commentato: «Nelle aule che ho frequentato tanto in questi anni (confesso che non avevo mai messo piede prima in un tribunale) leggo che la legge è uguale per tutti. Oggi dopo i processi in appello penso che per qualcuno è un po' più uguale». Bartesaghi insiste su quattro richieste: abolizione dei gas Cs, abolizione delle armi da fuoco nell'ordine pubblico, riconoscimento del reato di tortura oggi in Italia e l'introduzione di un numero identificativo per gli agenti.