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Genova, dieci anni dal G8: approdo di indignados in cerca di "connessioni"
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 20 luglio 2011
20 luglio 2011

«Ma quanta polizia che c'è!», dice Sara al passaggio della pattuglia di alpini e carabinieri per Piazza Fossatello, snodo di carruggi. Poi quando le spiegano che sono truppe da montagna a presidiare una città di mare guarda stupita i suoi compagni italiani. Non è che i gendarmi, da dove viene lei, siano più "romantici". Racconta Sara che alla Puerta del Sol sono volate mazzate senza ragione contro gli indignados, 25 gli arrestati, che volevano rendere visibile la rabbia di 300mila famiglie sotto sfratto e di cinque milioni di disoccupati. Sara Porras è una di loro. Un'indignata. 27 anni, laurea in scienze politiche, due dottorati, cameriera per tirare avanti a Madrid, approdata lì dall'Estremadura per studiare le dinamiche latinoamericane e la violenza collettiva nel conflitto politico.
E' una giovane comunista, Sara, come i suoi ospiti genovesi che hanno riempito un'aula di Lettere a Via Balbi per ragionare su come uscire dal capitalismo in crisi. Quando almeno diecimila persone torneranno a sfilare per le vie di Genova, accadrà sabato pomeriggio, anche a Madrid saranno giunte le marce delle migliaia di indignados che in queste ore stanno solcando le strade di Spagna dormendo nelle piazze, accampati come alla Puerta del Sol. E Sara sarà tornata a Madrid e da lì si collegherà con Genova per stabilire un altro contatto. Dieci anni fa, racconta, era una liceale del movimento studentesco. Era «pequeña» per venire qui ma i suoi compagni ci vennero e raccontarono la speranza e l'orrore. Gsf: Genoa social forum e Generacion sin futuro, associazione di cui Sara fa parte, hanno la stessa sigla ma «non ci sentiamo figli diretti di Genova - spiega - perché allora la suggestione era quella di un movimento globale che contaminava vari paesi. Oggi esistono forti conflitti nazionali che cercano connessioni». Ecco perché l'idea di collegare le due piazze, sabato prossimo, e di costruire la data del 15 ottobre in tutta Europa.
Quello che Sara riferisce delle dinamiche spagnole ha molti punti di contatto con le condizioni italiane. Lei risponde in spagnolo e in inglese alle domande del cronista e dei Gc che l'accompagnano per la città. Dice dei media che ignorano il movimento e della «crisi di legittimità della sinistra», crollata da 25 a un solo deputato anche nel suo Paese. Parla del disorientamento delle centrali sindacali confederali che hanno firmato le controriforme su lavoro e pensioni che hanno fatto indignare le piazze iberiche. Nel suo partito, il Pce, sono soprattutto i giovani ad essersi immersi nel 15M, il movimento che si chiama con la data della sua irruzione sulla scena pubblica, consapevoli dell'urgenza di un processo di «rifondazione, come è accaduto alla sinistra in Bolivia e in Ecuador». Suggerimento utilissimo anche al di qua del Tirreno: «Abbiamo bisogno, a sinistra, di un concilio vaticano secondo, dobbiamo smetterla di dire le nostre messe in latino». E da dove si comincia? «Intanto si deve smettere di chiedere e si deve cominciare a prendere. Uscire dalle sedi, tornare nelle strade. E' stato un errore aspettare a lungo che i sindacati proclamassero uno sciopero», ricorda Sara spiegando come il primo impulso della Puerta del Sol fosse il bisogno di «rappresentazione del conflitto da parte dei non sindacalizzati, che poi sono quelli che più di tutti pagano la crisi». La composizione della piazza è soprattutto popolare, fatta di gente senza partito ma anche di gruppi storici della Izquierda, dagli anarchici ai trockisti, o gruppi nati da pochissimo come Demcracia real ya, Generacion sin futuro (che è anche il titolo di un libro collettivo). «C'è una nuova generazione di quadri che si sta formando nella lotta per non pagare la crisi. Abbiamo formato brigate popolari per bloccare gli sfratti e le deportazioni di migranti. Il movimento cresce perché dimostra di poter vincere». Sara spiega che esiste una piattaforma: contro il Patto di stabilità, per l'abrogazione delle controriforme, per la modifica della legge elettorale bipolare, contro i costi della Casta che, per loro, è anche la sontuosa macchina monarchica. Il re, spiega, è un personaggio piuttosto imbolsito e, alla telenovela sulla successione, gli indignandos preferiscono la rivendicazione della repubblica e questo spiega anche la commozione degli antifranchisti storici davanti a questa insorgenza. Uno degli aspetti più suggestivi del suo racconto è quando spiega il funzionamento delle assemblee, alcune hanno visto 60mila partecipanti e adottano tecniche zapatiste di facilitazione del confronto e un linguaggio dei gesti per esprimere reazioni più articolate del sì e del no. La ricerca di pratiche democratiche è reale, i portavoce sono a rotazione, il movimento si è articolato nei quartieri, i barrios, una volta a settimana ci si incontra nella piazza grande ma solo per i dettagli logistici. «Il lavoro politico è nei quartieri, lo slogan è "todo el poder a los barrios". Come nel '17», dice proprio così spazzando via ogni retorica nuovista e ambigua che circonda in Italia la "narrazione" dei movimenti.