Rete Invibili - Logo
G8, la picconata del procuratore Di Noto "Lo Stato non ha ancora chiesto scusa"
Marco Preve
Fonte: Repubblica Genova, 9 luglio 2011
9 luglio 2011

«Dopo quanto avvenuto alla Diaz e Bolzaneto lo Stato avrebbe dovuto farsene carico e qualcuno avrebbe dovuto dimettersi. Oltre alla responsabilità personale, esiste anche quella istituzionale. Davanti a carriere che progrediscono normalmente, mi viene da pensare che ci troviamo di fronte ad un ordinamento autoreferenziale». I dieci anni dal G8 corrispondono anche ai 50 anni di magistratura di Luciano Di Noto, procuratore generale che il 14 agosto lascerà il suo ufficio al 12° piano del tribunale. In questa chiacchierata mattutina interrotta dal consueto viavai di colleghi, funzionari e impiegati che chiedono consigli e soluzioni, il procuratore generale Luciano Di Noto, alla vigilia della pensione - manterrà la presidenza del Garante del contribuente - si conferma uomo delle istituzioni, privo di etichette se non quella di cittadino. Duro nei confronti di quella parte di "Stato" che non si è voluta far carico dei fatti del G8, ma altrettanto severo quando parla dei colleghi che disertano la cerimonia in ricordo di Francesco Coco, «solo perché ideologicamente non era vicino a loro».
Tra pochi giorni Genova ospiterà eventi e manifestazioni in ricordo del vertice del 2001
«C´è da augurarsi che non accada nulla. L´ordine pubblico è compito di prefetto e questore, ruoli che a Genova sono ricoperti da persone di tutto rispetto».
I conti con i fatti del 2001 non sembrano ancora chiusi.
«Genova è una città che non dimentica, che è fiera del suo passato. Penso a Balilla, al Risorgimento, al suo 25 Aprile unico in Italia. I fatti del G8 sono accaduti sotto gli occhi di tutti. Episodi spiacevoli come i disordini di strada e "anomali" come la Diaz e Bolzaneto. Vicende inquietanti».
Per l´irruzione, i falsi e le violenze della scuola Diaz, così come per gli abusi e le umiliazioni inflitte nel carcere di Bolzaneto, le sentenze di secondo grado hanno condannato decine di imputati, molti sono alti funzionari di polizia. Le loro carriere sono andate avanti normalmente, un medico responsabile di violenze a Bolzaneto ha ottenuto il bonus produttività dalla Asl3.
E´ sorpreso?
«Meraviglia che di fronte a fatti così gravi non ci sia stata da parte dello Stato una presa di coscienza, anche per rispetto nei confronti della città. Ecco, forse, perché restano dei conti in sospeso. Qualcuno avrebbe dovuto prendersi la responsabilità istituzionale che è altra cosa rispetto a quella personale. Di fronte ai racconti di Bolzaneto, se sono vere le testimonianze, è legittimo chiedersi: «Ma che polizia abbiamo?"».
Abbiamo solo la verità giudiziaria.
«Una commissione parlamentare d´inchiesta avrebbe potuto capire quali fossero le direttive impartite. Perché in piazza, a caldo, la situazione può sfuggire di mano, ma non in un´operazione oppure in un carcere, questo no. Gli ufficiali devono evitare che la truppa si abbandoni al saccheggio».
Cosa si sarebbe aspettato?
«Che qualcuno chiedesse scusa e che chi aveva alte responsabilità si dimettesse. Ma le sembra possibile che dopo dieci anni non si è riusciti a capire chi fosse uno dei firmatari dei verbali di arresto della Diaz?».
Lasciamo il G8. All´inaugurazione dell´anno giudiziario lei ha lanciato l´allarme corruzione.
«Sì, ho vissuto in Cassazione i processi di Tangentopoli ma oggi i dati e l´esperienza dicono che la corruzione è in crescita. E´ il mondo dei furbetti, di chi pensa che non ci sia mai un conto da pagare, di chi interpreta il ruolo pubblico a fini personali. L´amministrazione si trasforma così in un ventre molle e questo spiega l´infiltrazione della criminalità, della 'ndrangheta come stiamo scoprendo purtroppo in Liguria con le recenti inchieste».
Per i giovani magistrati non è un bel quadro. Come pensa di motivarli?
«Contano i fatti più delle parole. Noi magistrati dobbiamo "solo" fare il nostro dovere, che a volte vuol dire anche parlare pubblicamente a nome dell´ufficio. La legalità però ha un costo: sacrifici e rinunce. Applicare la legge senza farsi condizionare dall´esterno. E´ la lezione che ci ha lasciato Francesco Coco (procuratore generale di Genova ucciso dalle Brigate Rosse nel 1976 perché rifiutò di liberare dei detenuti in cambio del rilascio del giudice rapito Mario Sossi, ndr), anche se... «.
Anche se?
«Noto con dispiacere che alle commemorazioni della strage in cui vennero uccisi Coco e la scorta ci sono pochissimi magistrati. Eppure era uno di noi che ha sacrificato la vita. Ma è inutile spiegare queste cose a colleghi di 40 o 50 anni se non hanno ancora capito da soli... E´ poco dignitoso, poi, che questo atteggiamento sia legato a questioni ideologiche. Coco appartiene a tutti noi».
A proposito di cerimonie, lei è spesso presente tanto quanto è assente dagli eventi mondani.
«Sì, celebro la Resistenza, così come la memoria di Coco, i 150 anni della Repubblica o il 10 dicembre al Santuario di Oregina (Di Noto è un grande esperto di storia genovese, ndr). Pensi che molti credono che il nostro massimo rappresentante sul territorio sia il Procuratore Generale, mentre invece è il Presidente della Corte d´Appello (Mario Torti, ndr). Ma si vede che il collega interpreta il ruolo in altra maniera. Io, invece, ritengo che la magistratura abbia il dovere di esserci, anche per il rispetto dovuto ai cittadini. E´ forma che diventa sostanza».