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Genova urla dai muri perché è una città che non ha voce
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 7 luglio 2011
7 luglio 2011

Ci sono poche città in cui i muri parlano come parlano a Genova. L'ipotesi del cronista è che si debba a un tessuto urbano congeniale a questo genere di comunicazione, i carrugi, a un proletariato giovanile vivace dai tempi della teppa e poi delle magliette a striscie fino alle più recenti stagioni delle subculture a vita breve. E, naturalmente, fino ai tempi del G8. Non è raro imbattersi in souvenir del passaggio dei 300mila tra le scritte che urlano rabbia o amore dalle pareti esterne della città sebbene le squadre di decoro urbano si agitarono sin dalle prime ore anche durante l'assedio di migliaia di armati a protezione degli Otto Grandi. Riccardo Navone, fotografo, militante e scrittore genovese, da allora ha catturato e catalogato quelle scritte da centinaia di foto e video. Un lavoro da glotto-antropologo urbano. Se alcune scritte non sono state rimosse da allora, altre sono riaffiorate dallo strato di vernice che le aveva ricoperte e, comunque, i temi del controvertice e l'«ebete brutalità» della sbirraglia sono ancora fonte di ispirazione per i graffitari di muri o di altri supporti (cassonetti dell'immondizia, sportelli del gas o dell'azienda elettrica, panchine, pali dei semafori e via dicendo). Dall'acronimo Acab, gettonatissimo da artisti dello spray o dei pennarelloni, fino alle misteriose e indecifrate scritte come "Visca la terra mori el mal govern", Navone ha prima spedito tutto in forma anonima a un sito, poi ha raccolto il catalogo in un volume che sarà presentato oggi alla Feltrinelli genovese - "G8 Graffiti" con l'introduzione di Carlo Romano, raffinato intellettuale ed ex libraio, con cui l'editore De Ferrari e l'agenzia Words lanciano "Via del Campo", una nuova collana di libri tascabili di pregio, che racconta Genova con guide, manuali, saggi e volumi illustrati. La chiave di lettura sta nel suo nome, "Via del Campo", luogo fisico, ma anche simbolo di vitalità dove convivono i più accesi contrasti.
Navone, a colloquio con Liberazione, corregge in parte la suggestione iniziale: «Genova in realtà è una città senza voce, una città vecchia e con complessi di inferiorità rispetto agli altri vertici dell'ex triangolo industriale, Milano e Torino. I giovani sono pochi ed esclusi da ogni centro di potere e di partecipazione». Allora le scritte sul muro - Navone ne ha raccolte dodicimila, alcune lunghissime come poesie che occupano una strada intera - sono «l'urlo di chi non ha voce, di chi è escluso dalla comunicazione. Scrivere sul muro è il primo atto di protesta quando non c'è nessuno ad ascoltarti. La città è parca, intimista, che vive nell'estremamente stretto e ogni tanto esprime delle rivolte. Contro gli austriaci, i Savoia, i nazisti, il governo Tambroni. Una città permalosa, se gli fai uno sgarro sbotta».
Le scritte sui muri del G8 sono un fatto del tutto particolare: «Quelle scritte non le ha fatte il movimento ma solo un settore - spiega ancora - turchi, greci, inglesi, autonomi, anarchici». E Navone le ha scovate anche nei filmati del legal forum visionando centinaia di ore di filmati. Poi l'incontro con Romano, «la sua era la più bella libreria di Genova degli anni '70, il Sileno,curatissima e fornita, in Galleria Mazzini», che produrrà l'ennesimo tassello utile a ricostruire un G8 comunque «inafferrabile - spiega il fotografo - anche per via di errori e pregiudizi come l'enfasi sugli infiltrati che c'erano ma non furono determinanti. E i processi non chiariscono, soprattutto quello sui manifestanti, 25 presi a caso, perché altri episodi - penso a piazza Rossetti o a Boccaddasse - sono restati fuori dal clamore mediatico, sfuggiti anche ai mediattivisti».