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Lettera aperta ad Aurelio Mancuso sulla manifestazione del 17 novembre
Francesco "baro" Barilli
21 novembre 2007

Caro Mancuso,
ho letto il suo editoriale su Liberazione del 20 novembre: interessante proprio in quanto "scomodo", ma con una grossa stonatura sulla manifestazione di Genova, e solo su questa mi soffermo.
Da quanto leggo lei non era a Genova perché non condivideva certe dichiarazioni di Casarini né, almeno così ho capito, alcune modalità espressive della manifestazione o certi suoi contenuti. In questa occasione, se tutti avessimo analizzato le diverse sensibilità interne al corteo con piglio da chimico di laboratorio, saremmo stati molti meno; questo non è successo non perché sia prevalsa un'analisi istintiva ed emozionale dell'appuntamento ma, al contrario, per il ritorno di una consapevolezza che da tempo mancava: la necessità di tornare allo "spirito di Genova".
Certo, parlare di "spirito di Genova" può sembrare l'abbandonarsi ad un mantra liberatorio privo di coscienza "politica", provo dunque a spiegarle cosa significa quell'espressione. Innanzitutto, a costo di eccedere nella semplificazione, significa ricordare che a Genova nel luglio 2001 la contestazione della globalizzazione liberista e selvaggia riuscì NON a fondere, ma a sintetizzare una pluralità di voci e di pratiche diverse, che ebbe però un'unica risposta. L'attacco ai disobbedienti di via Tolemaide avviene pressochè contemporaneamente al pestaggio della Rete Lilliput in Piazza Manin. Solo un paragone suggestivo e banale? Forse, ma anche un elemento sintomatico da un lato della strategia della repressione del dissenso, dall'altro lato della volontà di quella repressione: intimorire, azzerare (e magari dividere) un movimento cui si doveva impedire anche solo di raccontarsi nelle sue diverse anime.
Caro Mancuso, in questo Paese si parla spesso di emergenze, al plurale e con ondate mediatiche persino difficili da seguire. Io credo che di emergenza ne esista una sola, enorme, che in un gioco di scatole cinesi ne contiene altre mille: l'emergenza diritti. Immigrati, carcerati, donne, precari, gay (un elenco parziale e volutamente casuale) si scontrano ogni giorni con la faccia e con il braccio, sempre più duri, del potere. Fermarsi solo alle differenze, se si ha questa consapevolezza, significa curare il proprio cespuglio come fa un cane per marcare il proprio territorio.
Sabato scorso a Genova c'ero; e, soprattutto, ci sono da sei anni. Per me il luglio genovese (che stavolta si è riproposto "fuori stagione") è un appuntamento di impegno civile che va ben al di là di ritualità o commemorazione, che va al di là persino della "questione Genova". E chi è rimasto a casa in nome di sottili distinguo credo abbia perso un'occasione.
La saluto con immutata stima per le battaglie civili che da tempo porta avanti in questo Paese.

Francesco "baro" Barilli

Note:

Di seguito trovate lo stralcio dell'articolo di Aurelio Mancuso (Presidente ArciGay) a cui è riferita la risposta. L'articolo completo è apparso su Liberazione del 20 novembre 2007.
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Vi faccio un esempio. Dopo oltre 6 anni si è tornati a Genova. Una grande e pacifica manifestazione ha rivendicato la giusta richiesta di verità; una verità che continua vergognosamente a mancare sull'assassinio di Carlo Giuliani, sulle cariche, sull'assalto della Diaz e su ciò che è avvenuto nella Caserma di Bolzaneto Così come sulle stragi di Stato, su tanti delitti di mafia, sulle morti bianche, sulle e sui tante e tanti sfruttati invisibili perché clandestine e clandestini. Come sei anni fa, molte e molti che si percepiscono come persone di sinistra non erano con voi. Perché? Qual è la cesura che non ha permesso di essere allora e sabato a Genova? Chi è assente è sempre colpevole. Ma chi partecipa ha sempre risolto la sua responsabilità? Avrei voluto, questa volta esserci, ma le dichiarazioni di Casarini prima sulla morte di Gabriele Sandri e poi sulla manifestazione di Genova, mi hanno bloccato. Mi spiace, per me la nonviolenza non è una pratica tattica, è un fondamento della mia azione politica, della mia assunzione di coscienza della mia omosessualità; ciò mi impedisce di condividere la violenza maschile eterosessuale, di qualsiasi colore sia, soprattutto quando si ammanta di resistenzialità, (anche perché non ci azzecca nulla). Certo sia allora come sabato, migliaia erano le persone pacifiche, non violente, anche giustamente arrabbiate e con loro condivido e ho condiviso idee, percorsi civili e sociali, esperienze e luoghi d'azione comune nei territori.
Ma questo esempio forse può servire a comprendere che vi è già un vasto segmento sociale d'accordo e simpatetico rispetto al ruolo e alle battaglie sostenute dalle sinistre italiane, ma non rispetto alle modalità, alle insufficienti fermezze, ai messaggi contraddittori e alle ambiguità, cui si inseriscono pratiche incompatibili con convinzioni diffuse e che appartengono a pieno titolo, anche se troppo silenti, al patrimonio della sinistra.
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Aurelio Mancuso (Presidente ArciGay)