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Il ritorno, senza paura
Gabriele Polo
Fonte: Il Manifesto, 18 novembre 2007
18 novembre 2007

Siamo tornati in tanti a Genova. Contro una persecuzione che rovescia la realtà storica addosso alle vittime, che premia con promozioni i colpevoli, che supera i limiti del ridicolo con la richiesta dei risarcimenti materiali. Contro la rimozione della verità e il rifiuto di cercarla. Ma anche, forse soprattutto, per ritessere un filo. Quello spezzato da una violenza assoluta che, sei anni fa, prima esibì la tronfia potenza di una città tirata a lucido perché blindata e, poi, mise in mora la nostra Costituzione, scassinando i diritti politici, stuprando quelli umani. Uccidendo un ragazzo e torturandone altre decine: in uno spettacolo che nessuno di noi avrebbe potuto prima pensare realizzabile nel cuore dell'Europa.
Genova allora anticipò ciò che poi sarebbe divenuto orrore quotidiano, fu una sorta di involontario ma paradigmatico preambolo all'apocalisse delle Due torri e a quello della guerra preventiva. Come se uno sconosciuto regista avesse voluto abituarci allo spettacolo poi rappresentato sul palcoscenico planetario. Il messaggio di sei anni fa fu chiaro quanto l'obiettivo perseguito: lo spazio pubblico era «proibito» nella sua dimensione collettiva, nessuna interferenza andava permessa a chi contestava il sistema e si proponeva la ricerca di un altro mondo possibile. E per questo una nuova generazione di ribelli - perlopiù pacifici - che proponeva protagonismo e chiedeva ascolto doveva essere convinta a ritornare a casa, per adeguarsi alla logica che riduce i cittadini a spettatori, chiamati di tanto in tanto a pronunciarsi in un qualche sondaggio elettorale. Il risultato andò oltre la violenza che abbiamo vissuto e visto, fu più profondo nella frammentazione dei corpi sociali e, soprattutto, nella paura di ciascuno.
Ora quella paura - non solo fisica, anche politica -, con tutte le sue solitudini, ha cominciato a incrinarsi. Per farlo bisognava tornare in questa città, battere il silenzio della «grande politica», ignorare gli annunci di catastrofe dei grandi media, scansare il boicottaggio di Trenitalia e, finalmente, lanciare un messaggio comune contro le follie giudiziarie e i deliri amministrativi. Contro le condanne proposte e i risarcimenti richiesti. Contro la volontà ribadita e confermata di non cercare la verità sul luglio 2001, per trasformarla in una comoda parodia. Perché in quegli anni di carcere e in quegli euro richiesti, in quella commissione d'inchiesta parlamentare rifiutata, c'è ancora il proseguimento del messaggio di sei anni fa: ognuno se ne stia a casa propria, con le sue solitarie paure.
Ieri le migliaia di persone che hanno sfilato fino a piazza De Ferraris hanno fatto un passo in avanti, hanno riallacciato - almeno in parte - un filo spezzato, hanno cominciato a sconfiggere quella paura. Lo hanno fatto per ricordare un ragazzo ucciso e chiedere verità, per solidarietà con i loro compagni inquisiti, ma così facendo - alla fine - lo hanno fatto anche per se stessi e per tutti noi. Insomma, hanno fatto davvero qualcosa di sinistra.