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ricordo di Giovanni Pesce
L'ultimo partigiano
Enrico Campofreda
27 luglio 2007

E' morto forse l'ultimo partigiano d'Italia. Certamente un uomo simbolo della resistenza combattuta. All'anagrafe Giovanni Pesce. Per la Resistenza e la Repubblica che ne seguì Ivaldi e soprattutto Visone, medaglia d'oro. E' morto a 89 primavere, lui che di quella rossa era stato un artefice come della Liberazione dal nazifascismo. Si riprendeva da un ictus il Giuanìn ed è morto come talvolta muoiono i vecchi, per le conseguenze d'una caduta dalla quale anche alla sua veneranda età lo si riteneva immune. Per quello che aveva fatto, per quanto aveva senza autocompiacimento narrato della vita di combattente in Senza tregua, storia della sua lotta partigiana nei Gap di Torino e poi di Milano. Partendo da quella prima azione fallita semplicemente perché non se la sentiva di fare ciò che nei venti cupi mesi di occupazione tedesca divenne una necessità: sparare. Sparare anche a freddo per difendersi e offendere, per riconquistare la libertà e ripristinare la democrazia.

"Quando sarà finita con i fascisti e i tedeschi - chiede Dante Di Nanni - saremo veramente liberi?" "Saremo liberi di ricominciare a lottare per una vera libertà che si ha quando ogni uomo ha e vale per quello che è" risponde Ivaldi. "Capisco - prosegue Di Nanni - allora per questo tu dici che è molto importante quello che facciamo ora?" "È importante soprattutto perché se oggi non facessimo nulla non ci sarebbe mai un domani da cui cominciare a cambiare veramente le cose". In questo passo del suo celebre libro c'è il seme dell'impegno profuso per il futuro del Paese. C'è la dedizione assoluta della meglio gioventù che volle riscattare un'infanzia fatta di adunate e sabati fascisti imposti dalla retorica e dalle costrizioni del Regime. Pesce ne fu presto immune se già a diciott'anni scelse la via della lotta internazionalista contro il franchismo, a fianco dei repubblicani di Spagna. Ne seguirono la cattura e il confino a Ventotene, e dopo l'8 settembre il ritorno all'originario Piemonte per organizzare le bande resistenziali.

Visone stesso testimonia come i partigiani "Non furono mai molti: alcuni erano giovanissimi, altri avevano dietro di sé l'esperienza della guerra di Spagna e la severa disciplina della cospirazione, del carcere fascista e del confino. Tutti, nel difficile momento dell'azione, nelle giornate drammatiche della reazione più violenta, quando la vita era sospesa a un filo, a una delazione, a una retata occasionale, tutti, giovani e anziani, seppero trovare la forza e la coscienza di non fermarsi. Soprattutto, i gappisti furono uomini che amavano la vita, la giustizia; credevano profondamente nella libertà, aspiravano a un avvenire di pace, non erano spronati da ambizione personale, da arrivismo, da calcoli meschini. Erano dei superuomini? No di certo. Erano soltanto degli uomini, ma degli uomini dominati dalla volontà di non dare mai tregua al nemico".

Furono la loro coscienza, la fermezza, l'idealismo, l'amore per la democrazia le leve per compiere operazioni che sembravano folli e che divennero eroiche ma non venivano vissute così. I giovani, gli uomini che le progettavano e le compivano non avrebbero saputo e potuto fare altro. Non si fermavano, non si sarebbero fermati davanti a nulla, liberare la propria contrada, il proprio quartiere era come liberare un angolo di mondo. Quello che videro dopo e per decenni questi combattenti, non era proprio il mondo sognato.

Ti sia comunque lieve la terra comandante Visone. L'Italia ti è debitrice di libertà.

Enrico Campofreda, 27 luglio 2007