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Esclusivo Ecco i documenti che potrebbero riaprire il caso
Un traffico di armi Usa la notte della Moby Prince
Il 10 aprile '91 il porto di Livorno più che a uno scalo civile italiano somigliava a una succursale militare americana. Sul registro dell'Avvisatore marittimo i movimenti delle navi di ritorno dall'Iraq. Cariche di armi. C'era una missione da portare a termine, ma non con destinazione la vicina Camp Darby. Fino alla tragica collisione
Enrico Fedrighini
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
16 febbraio 2007

Dopo la riapertura delle indagini da parte della procura di Livorno su istanza dei parenti del comandante Chessa, sostenuti dall'avvocato Carlo Palermo, ulteriori documenti confermano e rafforzano in modo importante la ricostruzione della più grande sciagura della marineria civile italiana, mentre 140 vittime innocenti, i loro parenti e il popolo italiano attendono ancora verità e giustizia a distanza di 16 anni. Vediamo allora cosa accadde nei giorni del disastro.
Durante la prima decade del mese di aprile 1991 il porto di Livorno somiglia più a una base militare statunitense che a uno scalo civile italiano, anche se pochi sembrano preoccuparsene. Numerose imbarcazioni militarizzate provenienti dal Golfo Persico (navi mercantili riadattate per il trasporto di materiale bellico) si trovano ancorate nella rada livornese. Il loro nome e numero viene annotato anche sul registro della Capitaneria di Porto. Sono navi cariche di armi ed esplosivi, sottratte a qualunque forma di ispezione e controllo da parte delle autorità italiane, come tiene a precisare la nota inviata dal comandante Harpole, del Leghorn Terminal di Camp Darby, alle autorità portuali italiane: su quelle navi, e soprattutto sul loro prezioso carico, veglia e vigila l'imponente sistema di telecomunicazioni militari dell'Alto Tirreno. La prima Guerra del Golfo è da poco finita e il carico stivato in queste navi è destinato al più grande deposito di materiale bellico americano dell'area mediterranea: Camp Darby, appunto.
Alcune di queste imbarcazioni, come la Cape Flattery ancorata verso Calambrone, sono navi del tipo Lash (Lighter abroad ship): in sostanza, mezzi in grado di sbarcare e imbarcare chiatte marittime a pieno carico mediante gru a portale installate sulla nave stessa, quindi senza l'uso di attrezzature portuali.
Particolare non trascurabile: per evidenti ragioni di sicurezza, queste operazioni di movimentazione di merci pericolose non possono interferire con le rotte civili e commerciali, né avvenire dopo il tramonto.
Invece, numerosi spostamenti avvengono quotidianamente all'interno delle acque portuali, da e verso queste navi pericolose, nella prima decade di aprile 1991: movimenti annotati sul registro dell'Avvisatore marittimo e anche (prezioso documento recuperato dall'avvocato Palermo) sul registro Comando del Porto Darsena del Comune di Pisa: è il documento cartaceo nel quale vengono annotati progressivamente, ogni giorno dell'anno, i passaggi di natanti al ponte di Calambrone lungo il canale Navicelli, che collega la base Usa di Camp Darby alle acque portuali. Parliamo sempre di chiatte: imbarcazioni per il trasporto di materiali a chiglia piatta utilizzate per il trasporto anche su vie navigabili interne; ricordiamoci questo particolare, tornerà utile fra poco.
Dunque: nelle giornate del 3, 5, e 9 aprile l'Avvisatore Marittimo annota l'uscita da porto di chiatte destinate alla Cape Flattery; ma sul registro del ponte di Calabrone, fra la base di Camp Darby e il porto, i passaggi registrati sono invece ben più numerosi.
E arriviamo al 10 aprile 1991. Alle ore 10.15 del mattino, annota l'Avvisatore marittimo, «escono due chiatte piene per il Cape Flattery». Dunque, quel giorno la nave militarizzata non sta trasferendo materiale alla base di Camp Darby ma, al contrario, sta imbarcando materiale bellico. E arriviamo alla maledetta sera: quando il traghetto passeggeri Moby Prince lascia il molo diretto a Olbia l'orologio segna le 22,14, ufficialmente non è in corso alcuna movimentazione di materiale bellico. Nessuna imbarcazione viene segnalata in movimento sul registro dell'Avvisatore marittimo, a parte il traghetto Navarma.
Eppure c'è un gran traffico in mare, in quel momento. Numerose imbarcazioni senza nome e identità solcano pericolosamente le acque dell'alto Tirreno. Hanno un appuntamento, quella sera, in un punto preciso: la rada di Livorno. Alcune di esse rischiano la collisione con altri natanti. Hanno fretta: c'è una missione da portare a termine, rapidamente. Strani disturbi creano una sorta di cono d'ombra sui monitor dei radar, continue interferenze rendono difficili le comunicazioni via radio. Dall'alto, un elicottero militare non italiano sorvola la zona, osservando la scena e controllando le operazioni. Ma qualcosa va storto. Da terra, due ufficiali della Marina osservano al largo strani bagliori simili a un incendio, mentre il traghetto passeggeri sta uscendo dal porto diretto verso un tragico destino. Dopo la collisione, i primi soccorritori vengono quasi investiti da imbarcazioni in fuga; uno di loro, un ormeggiatore, osserva un piccolo natante immobile sull'acqua, defilato, a poca distanza dalla petroliera in fiamme, forse alle prese con un incendio a bordo: non ha dubbi, si tratta di una chiatta.
Un ufficiale della guardia di finanza, accorso fra i primi in rada dopo la collisione fra Moby Prince e Agip Abruzzo, conferma al processo quanto già scritto in un verbale trasmesso nel 1991 alla procura di Livorno (documento inspiegabilmente scomparso dal fascicolo): c'era una nave che stava movimentando armi. Questa nave ha un nome: Cape Flattery, una delle navi militarizzate Usa in rada a Livorno. Forse qualcuno aveva deciso di fare gli straordinari, continuando anche di notte lo scarico del materiale bellico destinato alla base di Camp Darby?
No. Un nuovo pezzo importante del puzzle arriva dal registro delle navi in transito per il canale Navicelli, recuperato dall'avv. Palermo: il giorno 10 aprile entrano ed escono dal canale due yacht e due chiatte, in orari compresi fra le 9.30 e le 15.45; poi più nulla, il canale rimane chiuso e nessun mezzo nautico transita da e per Camp Darby fino al giorno successivo 11 aprile quando, alle ore 9.10, viene registrata la prima uscita di un rimorchiatore dal canale Navicelli verso il porto.
Questo significa una cosa molto semplice e grave: la movimentazione di armi e materiale bellico di proprietà del governo Usa in corso la sera del 10 aprile a Livorno, che coinvolgeva direttamente almeno una delle navi militarizzate statunitensi all'ancora in rada, non riguardava il trasbordo di materiale destinato a Camp Darby. Era un'operazione di altro tipo, con altre finalità, che prevedeva altre destinazioni finali della merce e altri clienti. Quali destinazioni, quali clienti? Un'operazione segreta? Da chi organizzata, con quali coperture? Autorizzata da chi? Chi controllava i movimenti e le operazioni che avvenivano in un porto civile quella sera?
«Ore 22.27: il M/T Moby Prince entra in collisione con la M/C Agip Abruzzo ancorata in rada. Dalla collisione si sviluppa un violento incendio che prende tutte e due le navi. Informata Comparare, agenzia Panessa, agenzia Ghianda, rimorchiatori». Romeo Ricci, l'Avvisatore marittimo di turno quella sera, compila con sintetica precisione il quadro drammatico che sta osservando dal sua posto operativo. Osserva, sgomento e incredulo, il mare. Ma come fa un traghetto ad infilarsi nella fiancata di una petroliera, pensa come tutti in quel momento... Viene scosso da un'improvvisa vibrazione seguita da un rombo cupo, che fa tremare le sottili pareti della sua postazione: un elicottero militare abbandona la rada dove è appena avvenuta la collisione, dirigendosi verso nord. Ascolta le comunicazioni via radio sul canale 16, i silenzi del comando della Capitaneria di porto, le urla disperate degli ormeggiatori che salvano il mozzo del Moby Prince e chiedono alla Capitaneria di intervenire perché «c'è gente a bordo da salvare», senza ottenere risposta... Ma che sta succedendo in mare? A un certo punto, Ricci prende nuovamente in mano il registro dell'Avvisatore marittimo del porto di Livorno, rilegge febbrilmente la sua annotazione. Sa che il suo lavoro non è ancora finito, c'è un'altra cosa importante di cui lasciar traccia sul registro. Lo spazio per le annotazioni sul registro del 10 aprile è saturo, ma quello riservato alle segnalazioni dei navigli militari è vuoto e allora decide di utilizzarlo scrivendo due righe: «Condimeteo alle 22.27: Cielo sereno, mare calmo, vento da sud (160°) 2/3 nodi, visibilità 5/6 miglia», ovvero circa 10 chilometri.
Non sappiamo esattamente quando l'avvisatore Ricci abbia deciso di aggiungere questa nota. Sappiamo sicuramente il perché.

Note:

La tragedia
10 aprile '91: 140 morti e nessun colpevole
Al nome della nave traghetto Moby Prince, della compagnia di navigazione privata Moby Lines (ex Navarma), è legata la più grave tragedia che abbia colpito la Marina mercantile italiana: 140 morti e un solo sopravvissuto. La tragedia avvenne poco al largo del porto di Livorno la sera del 10 aprile 1991. Alle ore 22,03 del 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince, in servizio di linea tra Livorno e Olbia, in Sardegna, molla gli ormeggi per la traversata. A bordo si trovano l'intero equipaggio, formato da 65 persone agli ordini del comandante Ugo Chessa, e 75 passeggeri. Poco dopo la partenza, alle ore 22,26, il marconista di bordo lancia il May Day: ma i soccorsi arriveranno solo un'ora e mezza dopo. Quello che è avvenuto al largo non è stato mai chiarito. Le uniche certezze che emergono dai dati raccolti durante il processo sono: la Moby Prince si scontra in mare con la petroliera Agip Abruzzo. Al momento del disastro è accertata la presenza in rada di almeno otto navi: oltre alla Moby Prince e alla Agip Abruzzo erano presenti anche la petroliera Agip Napoli e cinque navi mercantili (le navi Cape Breton, Cape Flattery, Cape Syros, Efdim Junior e Gallant II) affittate dai Trasporti militari statunitensi per riportare nella base di Camp Darby diversi carichi di munizioni non utilizzate durante la prima guerra del Golfo. Il Dipartimento della Difesa americano ha ufficialmente confermato la presenza di queste cinque navi con due documenti separati. Il primo, del 1991, e firmato dal colonnello americano Jan Harple cita solo tre di queste navi. Il secondo, del 2002, a nome del capitano John Oliver, conferma che le navi furono in realtà cinque, aggiungendo che una di esse fu costretta ad allontanarsi per non essere coinvolta nelle fiamme dell'incidente. La nave che si allontana potrebbe essere la Therese (quasi certamente si tratta di un nome in codice) di cui viene registrata una comunicazione intorno alle 22,45: «Qui è Therese, qui è Therese a nave uno nel porto di Livorno, mi sto muovendo, mi sto muovendo, mi sto muovendo». La «nave uno», invece, non verrà mai identificata. (fonte Wikipedia)