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30 giugno 1960-2010. "Genova libera non dimentica"
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 1 luglio 2010
1 luglio 2010

«Era quell'ora, lo stesso sole caldo... Là in fondo c'era la polizia. Sono bastate due monetine lanciate da alcuni compagni per far scattare il carosello di due camionette intorno alla fontana». Bruno Rossi è stato un portuale per tutta la vita. Mezzo secolo dopo quel 30 giugno risale Via XX Settembre, come allora. Ma non sta alla testa del corteo. Piuttosto è verso la coda, in mezzo ai mille - di quei diecimila che hanno preso parte a uno dei più grandi cortei dell'ultimo periodo - che prendono per via XII Ottobre. «Oggi è un momento in cui serve un salto di qualità», spiega Rossi e svolta pure lui, coi ragazzi dei centri sociali, gli "antifa", i ragazzi di "Sanbe" e qualche sparuta bandiera di Rifondazione comunista, per passare sotto il tribunale dove - allora come oggi - è stato rispolverato il reato di devastazione e saccheggio per castigare il conflitto sociale. «Ma nel 2001 la repressione è stata più scientifica», dice mentre il corteo ricorda Dax e Carlo Giuliani (sua madre Haidi e suo padre Giuliano sfilano per Via Venti) e scende verso il grattacielo di Confindustria avvolto prima dal blu delle divise antisommossa, poi dall'arancio dei fumogeni. «Berlusconi come Tambroni!». Lo slogan spiega da solo la mèta di questa piccola folla. Lo striscione, anche graficamente, è stato copiato dalle foto d'epoca: «La resistenza continua...».
Dall'altra parte, il corteo è aperto da una banda, la filarmonica sestrese, da una selva di gonfaloni e dallo striscione ufficiale di Anpi e Cgil. Qualcuno racconta quello che fece e vide, parecchi ripetono la storia sentita dai padri, naturali o politici che siano. Ma anche da questa parte non è un corteo rituale. Segnali dell'oggi non mancano: l'Arci, le donne di "Usciamo dal silenzio", i pacifisti giunti al 421° mercoledì di protesta contro le guerre, i promotori de "Lo sbarco", la carovana dei diritti, e poi tutta la sinistra.
Che sarebbe stata una bella giornata era chiaro già dalla mattina, al Ducale, con centinaia di persone a commuoversi a sentir parlare il presidente dei partigiani, Raimondo Ricci, e l'allora capo della camera del lavoro genovese, poi sindaco, Fulvio Cerofolini che ha annunciato il fallimento della provocazione dei post-fascisti: volevano tenere un convegno revisionista (a sentire La Russa gli eversori erano i ragazzi con la maglietta a striscie) proprio all'hotel Bristol che fu sede del Cln. Ma la direzione dell'albergo ha declinato l'offerta. «E' un corteo di lavoratori - spiega a Liberazione, Sergio Olivieri, segretario di Rifondazione in Liguria - Genova è attraversata da molti conflitti, diffusi e interessanti, ed ha un ampio tessuto popolare». Fincantieri, gli appalti della multiutility Iride, la Tirrenia in via di privatizzazione e svendita, i tagli al welfare, l'inceneritore a Scarpino, la Gronda: ecco i nomi delle vertenze genovesi. Quando li vedi sfilare dietro gli spezzoni delle categorie, donne e uomini di ogni età, ti accorgi che la memoria è forte perché non è l'unica posta in gioco della giornata. Fiom e portuali gli spezzoni più consistenti. Sono le prove generali dello sciopero generale che «qui è slittato a domani per non sovrapporsi alla festa patronale», spiega Enrico Panini della Cgil nazionale. E quando vedi perfino le bandiere del partito socialista ti rendi conto di quanto sia viva nel dna cittadino l'orgoglio per quel 30 giugno. Solo due le bandiere del Pd ma la segretaria dei giovani democrat giura che il partito c'è e che non c'è contraddizione tra questa piazza e il partito che dice Sì a Pomigliano, «purché da Pomigliano non si sposti». Ma sa benissimo che non sarà così. «Sai, io c'ero - ricorda Andrea Gallo, partigiano e poi prete a "Sanbe", la comunità di S.Benedetto al Porto - muoversi da prete era un casino ma io venni con mio fratello comandante di brigata partigiana». E arrivò in piazza proprio mentre la celere di Padova - altro filo "nero" con l'epoca - cominciò a suonarle e poi a prenderle. Don Gallo, anche oggi, sente il magnetismo della partecipazione dal basso e ne cerca le tracce.
Il premier golpista, la Chiesa reazionaria, il fascismo che ritorna: non serve una laurea in scienze politiche per capire che punti di contatto - mezzo secolo dopo - non mancano: «Oggi i reduci di Salò stanno addirittura al governo - dice anche Antonio Bruno, capogruppo Prc a Tursi - e la loro politica economica mette a rischio i diritti e il welfare di tutti». Si replica sabato con un appuntamento antifascista a De Ferrari. Manca solo l'onda inarrestabile di quei giorni. Ma ancora per quanto?