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La storia di Carlo Digilio, morto il 12 dicembre, anniversario della strage di piazza Fontana
Saverio Ferrari
Fonte: Liberazione, 8 gennaio 2006
8 gennaio 2006

Il nome di Carlo Digilio ai più non dirà nulla. Eppure la sua persona, nell'ultimo decennio, era divenuta assai nota nelle aule giudiziarie. Grazie alle sue deposizioni si erano, infatti, potute riaprire le indagini riguardo alcune stragi, a partire da Piazza Fontana che nel 1969 aveva tragicamente segnato l'inizio della "strategia della tensione".
Il primo pentito dello stragismo italiano è morto, per una di quelle coincidenze che solo la storia sa riservare, proprio lo scorso 12 dicembre, alla stessa ora in cui 36 anni prima una bomba ad alto potenziale deflagrando a Milano, all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura, uccise 17 persone ferendone altre 84.
Ripercorrere la sua storia non è forse inutile.

I molti testimoni, nei diversi processi, che hanno parlato di Carlo Digilio, non ricordano avesse mai avuto un'occupazione. Nato a Roma nel 1937, ma veneziano d'adozione, si iscrisse nei primi anni '60 alla facoltà di Economia e Commercio dell'università di Venezia, senza riuscire a terminare gli studi. Prima il servizio militare, poi la morte del padre Michelangelo, dopo un incidente stradale nel gennaio del 1967, lo portarono, è lui stesso a scriverlo in un memoriale, a contattare l'ambiente in cui il genitore si era inserito: la rete degli informatori italiani al servizio delle basi Nato nel Veneto.
«Il mio primo reclutatore - disse - fu il capitano David Carret della Marina militare degli Stati Uniti di stanza a Verona che aveva già conosciuto mio padre».
Michelangelo Digilio, un tenente della Guardia di Finanza, aveva cominciato a collaborare in qualità di informatore con l'Oss, l'organismo di intelligence che in seguito si trasformerà nella Cia, già nel corso del secondo conflitto mondiale. Carlo Digilio rilevò non solo il ruolo del padre all'interno della struttura, ma anche lo stesso nome in codice, "Erodoto", conseguendo lo stipendio di 300 mila lire nei primi anni '70. Un figlio d'arte, dunque.

Carlo Digilio, negli anni dell'università, entrò anche a far parte del Centro Studi Ordine Nuovo. Il primo nucleo di questa organizzazione fu fondato a Venezia nell'aprile del 1957 da Giangastone Romani e Carlo Maria Maggi, per poi diramarsi nel Veneto. Gli anni immediatamente successivi furono quelli dei rapporti con l'Oas (l'"Organisation de l'Armée Secréte"), promossa da settori dell'esercito francese e dall'estrema destra per contrastare l'indipendenza dell'Algeria, presto trasformatasi in un'internazionale nera. Ordine Nuovo ne favorì l'azione, allestendo nel nostro paese basi logistiche e rifugi coperti. Nel marzo del 1962, sempre a Venezia, si tenne anche uno dei raduni più importanti del neofascismo a livello internazionale, con il tentativo di dar vita ad un "Partito Nazionale Europeo". Tra gli altri, a firmare il "Protocollo" d'intesa, il tedesco Adolf von Thadden, l'inglese Oswald Mosley, il belga Jean Thiriart ed il conte italiano Alvise Loredan, un grande proprietario terriero veneto.
In questo contesto si situa lo sviluppo eversivo di On, che già a metà degli anni '60, nella prospettiva di un colpo di Stato, aveva allestito una struttura militare clandestina estremamente compartimentata, a "nido d'ape" sul modello dell'Oas, in grado di disporre di ingenti quantitativi d'armi ed esplosivi, recuperati spesso dai vecchi arsenali della Rsi. Ma anche l'ascesa al suo interno di Carlo Digilio, in pochi anni, al vertice della piramide, in veste di "quadro coperto", esperto in armi e assemblaggio di ordigni.
La mania per le armi lo portò anche, in omaggio ad una pistola marca Otto Label, a adottare il nomignolo di "Zio Otto", un appellativo che presto sostituì nell'ambiente il suo nome reale.

Ordine Nuovo è stata qualcosa di più di una semplice organizzazione neonazista, fondata nel 1956 da Pino Rauti per rilanciare il progetto hitleriano di un "Nuovo Ordine Europeo". Le sua vera origine data dai mesi immediatamente successivi alla guerra di Liberazione, da quando l'Italia nel pieno della ricostruzione fu attraversata da una impressionante ondata terroristica, animata dai "Fasci d'Azione Rivoluzionaria", un coordinamento di sigle neofasciste accomunate dall'intento di combattere con le armi il regime democratico.
I Far continuarono a colpire fino al maggio del 1951 quando, a seguito di numerosi arresti, vennero neutralizzati. Insieme a Julius Evola, considerato l'"ispiratore ideale" dei nuclei clandestini, fu anche incarcerato tutto il futuro quadro dirigente di Ordine Nuovo: Pino Rauti, Clemente Graziani, Enzo Erra e Fausto Gianfranceschi.
Il fatto di gran lunga più rilevante è comunque il successivo reclutamento dell'intera organizzazione nella battaglia anticomunista, forse, come ha testimoniato Vincenzo Vinciguerra, altra importante figura dell'eversione di destra, proprio in quegli anni '50.
Ciò che emerge dalle carte processuali e da innumerevoli testimonianze non lascia spazio a dubbi. In Veneto l'intero gruppo di Ordine Nuovo fu assoldato dai servizi segreti italiani e dalle basi Nato. Chi pagato in lire, chi in dollari. Carlo Digilio era solo uno di questi. La sua storia è la storia di tanti altri. Accanto a lui, tutti i capocellula di On delle città venete e alcuni vecchi arnesi "repubblichini", come Lino Franco, un tempo nella "Decima Mas, o Sergio Minetto, combattente della "Marina Repubblicana", da cui fu congedato con disonore al termine del conflitto, aderente agli "Elmetti d'Acciaio", un'associazione di reduci dell'esercito nazista, addirittura promosso referente Cia per l'intero Triveneto negli anni '60.

Falliti i progetti golpisti, versò la metà degli anni '70, con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale messe fuori legge, iniziarono anche per Carlo Digilio i momenti difficili. Coinvolto nelle indagini per "ricostituzione del partito fascista", arrestato per breve tempo a Venezia nel giugno del 1982, dove nel frattempo era riuscito a ricoprire la carica di segretario del Poligono di tiro del Lido, decise di allontanarsi clandestinamente dall'Italia raggiungendo Santo Domingo, rifugio in quegli anni di diversi altri estremisti neri. Dieci anni di latitanza. Il tempo anche per mettere al mondo una figlia.
Poi, nell'autunno del '92, l'arresto e la quasi immediata riconsegna all'Italia, dove i processi a suo carico si erano conclusi con una sentenza definitiva a 10 anni di carcere. Da qui, l'inizio di una intensa collaborazione con i giudici, a partire dalla metà del 1993. Decine e decine di interrogatori sul suo passato e soprattutto sulle attività eversive di Ordine Nuovo, i rapporti con gli apparati di sicurezza italiani e statunitensi, l'organizzazione delle stragi, i passaggi cruciali e i nomi dei responsabili, da Carlo Maria Maggi a Delfo Zorzi. Disse, tra l'altro di aver personalmente ispezionato i congegni esplosivi per Piazza Fontana e Brescia. Chiarì anche i retroscena riguardo la bomba lanciata a Milano dal finto anarchico Gianfranco Bertoli, il 17 maggio 1973, davanti la questura.
I giudici, anche per via di un devastante ictus nel 1995, che ne aveva compromesso le capacità mnemoniche, lo hanno, alla fine, giudicato pienamente attendibile solo quando accusava se stesso. L'esito finale non è forse così noto come si crede: tutti assolti per le bombe del 12 dicembre 1969, tranne lui, l'unico autore giuridicamente riconosciuto della strage, ma prescritto, grazie alle attenuanti per la collaborazione. Una delle tante beffe giudiziarie di questo paese.

I funerali di Carlo Digilio si sono tenuti il 16 dicembre nell'Isola di San Michele a Venezia.
Soltanto qualche parente. Gli ultimi anni li aveva trascorsi, ormai molto malato, a Bergamo. Comunissimo il nome di copertura, Mario Rossi, come anonimi erano sempre stati il suo aspetto e apparentemente la sua vita, dietro le quinte di una storia tanto terribile quanto imperdonabile.