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intervista a FRANCA DENDENA (Associazione familiari vittime della strage di Piazza Fontana)
Francesco "baro" Barilli
21 giugno 2005

Parto con una considerazione che superficialmente può apparire scollegata con la vicenda di Piazza Fontana. Nel febbraio 2005 abbiamo registrato la terza assoluzione per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 (dopo Carlo Maria Maggi e Francesco Neami è stato assolto Giorgio Boffelli). In quell'occasione il parlamentare di AN Enzo Fragalà ha dichiarato (fonte: ANSA): "Cade l'ultimo frammento inventato da una certa sinistra giudiziaria per depistare, mistificare, attribuire alla Destra la stagione delle stragi, da piazza Fontana a piazza della Loggia alla strage della Questura di Milano, tutti delitti che avevano, fin dal primo momento, moventi, autori e strategie marcatamente di sinistra. ... dopo la piena assoluzione nel processo di Piazza Fontana, si regista l'ultimo atto di un depistaggio iniziato nel 1969...". Tutto questo nonostante le sentenze (sia per Piazza Fontana, sia per la Questura di Milano) lascino in realtà confermato il quadro complessivo in cui maturarono le stragi e, di conseguenza, le responsabilità della destra eversiva. In pratica le parole di Fragalà (ed altri esponenti della destra si sono espressi in termini analoghi) tendono a confondere il non accertamento delle responsabilità penali personali con il quadro storico di quegli anni; mi sembra però si tratti di una "confusione" fortemente voluta, e volevo un tuo parere su questo aspetto della vicenda.

Franca Dendena:
Anch'io penso ci sia una volontà di creare confusione, e anche a me non sembra che dietro questa nuova sentenza ci sia questa "grande assoluzione", anzi... Intendiamoci: non ho ancora visto la sentenza di Cassazione, ma immagino confermi quanto ha detto la Corte d'Appello; per cui, in sostanza, si trova plausibile che Freda e Ventura fossero colpevoli (i due però ormai non possono essere perseguiti in quanto già assolti definitivamente in altro processo), mentre per Zorzi e gli altri non ci sono, secondo i giudici, abbastanza elementi per provarne la colpevolezza. Peccato però che l'assoluzione di Freda e Ventura sia stata scritta da un altro Tribunale, ossia sempre da quelle Istituzioni che dovrebbero cercare la Verità; peccato pure che quel tribunale abbia assolto Freda e Ventura "tenendo nel cassetto" elementi fondamentali (penso all'acquisto del timer e delle borse usate per contenere gli esplosivi). Io penso che se un Giudice ipotizza responsabilità a carico di Freda e Ventura dovrebbe avere anche il coraggio di affermare a chiare lettere che la loro assoluzione è stata un errore: già questo mi sarebbe sembrato un elemento di chiarezza e di correttezza, ma non c'è stato. E da questo quadro d'insieme viene fuori uno spaccato inquietante dell'Italia di quegli anni, su cui torneremo più avanti.
Recentemente ho sentito una valutazione fatta da una giornalista di Radio Popolare che mi sento di condividere. Perché, si chiedeva la giornalista, nella fase finale e decisiva dei processi per stragi (e anche Piazza Fontana non è sfuggita a questa triste regola) si arriva sempre a delle assoluzioni? La risposta della giornalista era questa: nessun Giudice ha il coraggio di mettere la parola "fine" a questi processi, firmando con il proprio nome e cognome una verità certa e definitiva. Si tratta della filosofia della cancellazione, che a sua volta deriva dal timore di una verità storica ingombrante e quasi "troppo grossa per essere detta". Non possiamo certo pensare che tutti i Giudici in questi processi siano stati (in diversi anni e in diversi luoghi) in malafede o conniventi; penso però abbiano condiviso tutti una paura latente: la paura della grandezza della responsabilità che si sarebbero assunti scrivendo davvero una sentenza "definitiva" su quei fatti. Certo, questa paura non ha nulla a che vedere col senso vero della Giustizia.

Nei giorni immediatamente seguenti la sentenza della Corte di Cassazione su Piazza Fontana (maggio 2005) ha fatto molto scalpore la notizia circa l'addebito delle spese processuali alle parti civili (quindi ai familiari delle vittime). Io, ti confesso, ho avuto più d'una perplessità sulla questione: pur condividendo l'indignazione per l'addebitamento a voi delle spese, ritengo si sia quasi dato più risalto all'aspetto economico (sicuramente sgradevole ma secondario) rispetto al fatto in sé: dopo 35 anni di indagini la strage è rimasta senza colpevoli. Per di più ci troviamo in una situazione paradossale (seppure spiegabile giuridicamente): come dicevi tu, si individuano come probabili responsabili due vecchi indiziati (Freda e Ventura), contro i quali non si potrà procedere, in quanto già assolti con formula definitiva... Anche su questo volevo un tuo parere.

F.D.:
Ti dirò che non sono del tutto d'accordo con questa tua riflessione. Forse è vero che nelle intenzioni di alcuni si è cercato di dare più risalto alla questione delle spese per far passare in secondo ordine la mancata giustizia sulla strage, ma dobbiamo considerare anche altre cose.
Ti spiego: devi sapere che, dopo che molti hanno avanzato proteste per l'addebitamento a noi delle spese, il Consiglio dei Ministri ha deciso di accollarsi quelle spese totalmente. Devi sapere pure che noi familiari avevamo deciso inizialmente di rifiutare quelle offerte, proprio perché si era deciso di non fare passare in sordina la cosa, di non accogliere un'offerta estemporanea e non "istituzionalizzata". Abbiamo deciso di accettare solo quando c'è stata una presa di posizione chiara da parte del Consiglio dei Ministri.
Io non so se i Giudici della Corte di Cassazione potevano automaticamente "andare in deroga" alla procedura che prevede l'addebitamento delle spese alle parti civili (qualora esse abbiano perso la causa), ma penso che ora si sia stabilito un principio fondamentale, che spero potrà valere per casi futuri analoghi. Quel che intendo dirti è che vorrei che questa procedura diventasse normale, che lo Stato sentisse un dovere accollarsi le spese processuali in questi casi, come norma e non come "eccezione"; fermo restando che questo non deve diventare una scusa per rendere più frequenti le assoluzioni (una specie di "almeno trattiamo bene le vittime, visto che non riusciamo a rendere loro giustizia").
In definitiva ritengo che proprio l'effetto mediatico della notizia delle spese, inizialmente addebitate a noi, abbia risvegliato l'attenzione e l'indignazione della gente. Ho visto tanti interessarsi alla questione; e non parlo solo di giornalisti e addetti ai lavori, ma di gente comune. Ho visto cittadini risvegliarsi; anche persone che in passato dicevano "è inutile spendere tempo e denaro in questi processi che non porteranno a nulla" si sono indignate, perché capivano che con quella decisione si stava toccando il fondo...
Il mio discorso, quindi, è questo: la battaglia sulle spese è stata importante, e questo NON per l'aspetto economico (si trattava di una spesa comunque suddivisa tra le varie parti, compresi diversi Enti Pubblici, per cui singolarmente non si trattava certo di somme spaventose), ma per la voragine morale che rischiava di aprire a livello di conseguenze. Si trattava di una cosa inaccettabile moralmente; per noi, certo, ma anche per l'intera società civile.

Abbiamo parlato della differenza tra la verità giudiziaria (fondamentale, ma comunque limitata all'accertamento di responsabilità individuali) e la verità storica; ossia una verità per certi versi persino più importante, visto che inserisce i fatti in un contesto storico e li chiarisce per le nuove generazioni: una verità che è dovere dei media conservare. Mi rendo conto che rispondere a questa domanda presenta il rischio della generalizzazione, ma quale è il giudizio che, sulla base della tua esperienza personale, hai maturato sulla stampa italiana e, in generale, sul mondo dei media italiani, rispetto all'attenzione (o alla scarsa attenzione) riservata alla vostra vicenda?

F.D.:
Questa è una domanda difficile... Anche perché l'attenzione sulla nostra vicenda si snoda ormai lungo 35 anni, ed è passata attraverso varie fasi, molto diverse fra loro. Ci sono stati momenti di grande attenzione, ma anche momenti (e questo sia ai tempi del dibattimento in Corte d'Assise, sia nella successiva Corte d'Appello) in cui la presenza della stampa era davvero scarsa: nonostante per anni si fosse lottato duramente per avere quei processi a Milano, nella loro sede naturale, nonostante tutto il lavoro del Giudice Salvini, in quei momenti la stampa è stata pressochè assente. Ho la sensazione che a volte l'attenzione dei media si muova su basi casuali, per tornare a concentrarsi in momenti particolarmente importanti (come la recente sentenza della Cassazione), e questo certamente non favorisce la creazione di una memoria solida su quei fatti.
A questo proposito, penso sia il caso di tornare un attimo al discorso delle "due verità". La verità giudiziaria deve identificare con nome e cognome i vari livelli di responsabilità di un dato fatto (esecutori materiali, mandanti, eccetera). La verità storica consiste innanzitutto nel conoscere i fatti, per poi conservarne e tramandarne la memoria; tutto questo affinchè questi eventi non debbano più ripetersi.
Quel che intendo dire è che questa verità storica, oggi come oggi, la conoscono gli "addetti ai lavori" e quei cittadini che hanno seguito con passione la vicenda, ma nel Paese, a livello generale, non esiste; e forse la si vuole negare, dopo aver negato quella giudiziaria. Tante volte si sente dire "sì, però in fondo sappiamo come sono andate le cose in quegli anni", ma non mi sembra un'affermazione veritiera. Il cittadino che ha una grande passione civile ha potuto costruire una propria coscienza sugli anni delle stragi, ma la grande massa ne conosce a malapena la superficie. E questa operazione per creare una scarsa e poco consolidata memoria storica la si vede anche da certi dettagli: nell'ultima sentenza, a quanto mi risulta, neppure si menzionano i fatti ed il numero dei morti. Questo può essere stato corretto dal punto di vista "tecnico" (visto che la Cassazione si limitava a valutare una sentenza precedente, senza entrare nel merito), ma mi sembra in ogni caso un brutto segno per quella che può essere la memoria collettiva.

Sempre a proposito dei "due livelli" di verità (giudiziaria e storica): sono possibili nuove iniziative per riportare la vicenda nell'aula di un tribunale (nuovi processi ecc.)? E la vostra attività come Associazione, per conservare la memoria storica dell'evento, come si articolerà e come si collegherà rispetto a quella di altre associazioni analoghe (Piazza della Loggia, stazione di Bologna ecc.)?

F.D.:
Abbiamo in programma una serie di riunioni proprio per parlare di questi argomenti. Devo innanzitutto chiarirti un dettaglio "tecnico". Noi familiari delle vittime di Piazza Fontana facciamo parte della "Unione familiari vittime per stragi", che raccoglie al suo interno i familiari delle vittime di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, treno Italicus, rapido 904, Via Georgofili, e della stazione di Bologna; ma non ci siamo mai costituiti (perlomeno ufficialmente) in un'associazione esclusivamente nostra: ora lo vorremmo fare. Vorremmo creare una nostra associazione che avrà il compito di mantenere la memoria di quei fatti, produrre nuovi documenti e conservare quelli già esistenti sul 12 dicembre 69, andare nelle scuole eccetera... Un po' il ruolo che è della Casa della Memoria a Brescia, costituita dai familiari di Piazza della Loggia.
Ovviamente non vogliamo solo occuparci dell'aspetto "celebrativo" della strage, ma anche capire cosa si possa ancora fare dal punto di vista giudiziario. Penso si possa aprire un fascicolo contro ignoti: visto che quella strage è ancora priva di colpevoli accertati in giudizio mi sembrerebbe un atto doveroso. Ma su questo aspetto dobbiamo ancora confrontarci con gli avvocati.

C'è una risposta che mi diede Paolo Bolognesi (Presidente della "Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna") sulla quale mi piacerebbe avere anche il tuo punto di vista. Pur affermando, con grande senso di realismo e di responsabilità, che "... se nell'ambito della strage di Bologna siamo riusciti ad arrivare a dei risultati è perché nella polizia, fra i carabinieri, nella magistratura, e negli stessi servizi segreti abbiamo trovato uomini davvero all'altezza dello Stato...", Bolognesi mi disse anche "dal dopoguerra fino al 1981 tutti i capi dei servizi segreti sono stati implicati in qualche modo, per depistaggi o altro, negli episodi di stragi. E i servizi segreti sono organi esecutivi, "eseguono ordini", come si dice; i loro vertici sono nominati politicamente, ma nessuno dei Ministri implicati nella scelta di questi vertici ha mai pagato politicamente per le azioni dei servizi o per le protezioni fornite a questi personaggi."
Dunque Servizi non deviati, ma gente che rispondeva (ovviamente non sempre, ma con frequenza preoccupante) ad un preciso disegno destabilizzante... Tu, in base alla storia di Piazza Fontana, che ne pensi? Inefficienza congenita di questi apparati o fortemente cercata o voluta?

F.D.:
Assistendo alle udienze dei vari processi ho sempre avuto la sensazione dell'esistenza di due livelli di apparati dello Stato. E ti parlo di sensazioni nate già al tempo dei processi a Freda e Ventura, in cui erano implicati molti elementi del SID o loro informatori. Parlo di Giannettini, Maletti, Pozzan; ricordo bene quando Saverio Malizia fu arrestato in aula a Catanzaro e condannato per falsa testimonianza... Ebbi l'impressione, ti dicevo, che esistessero due Stati: uno Stato democratico ed un apparato parallelo e sotterraneo che, quando entravano in gioco certi interessi economici o politici, faceva di tutto per depistare e danneggiare le indagini.
Ricordo anche quando, durante il processo nella prima Corte d'Assise, il generale Miceli, durante un confronto con un esponente delle Istituzioni, disse in sostanza "insomma, se io occupo questo posto è perché mi ci avete messo voi; noi siamo un'istituzione che dipende da incarichi politici, esistiamo perché ci avete incaricato voi ed eseguiamo le vostre direttive".
La mia impressione, in sostanza, è che non si sia trattato di inefficienza; del resto basta pensare al passaporto diplomatico che aveva (e penso abbia tuttora) Zorzi, un passaporto datogli dal SID (l'allora servizio segreto italiano): questo mi sembra emblematico di come venivano scelte queste persone...

So che può sembrare retorico ma, a tanti anni di distanza, ti senti oggi di dare un senso alla tua tragedia personale? Un senso, intendo, riconducibile non alla dimensione individuale, ma all'impegno civile che può nascere da dolorose esperienze personali?

F.D.:
Un senso vero e proprio non riesco a concretizzarlo. Questo perché anch'io a volte sono assalita da mille dubbi: se guardiamo a tutte le stragi italiane, fino a quella del 1993 di Via dei Georgofili, se pensiamo non solo al numero delle vittime, ma cerchiamo di indagare quali potevano essere gli intenti (anche non univoci) di chi ha progettato e voluto quelle stragi c'è da impallidire.... Se penso a questo, al dolore dei parenti delle vittime e se penso al coraggio di rendere pubblico il proprio dolore e di lottare per tutti questi anni, viene spontaneo questo pensiero terribile: chi ha voluto la stagione delle stragi ha vinto. Dico questo perché in qualche modo la società di oggi è una società che hanno plasmato loro, priva di quelle regole che dovrebbero dare un pieno significato alla parola "democrazia".
Si dice che un ciclo storico lo si può valutare solo dopo qualche decennio: se ragioniamo in questi termini complessivi e valutiamo gli ultimi quarant'anni viene spontaneo dire "hanno vinto loro". Certo, d'altra parte c'è la constatazione di tante persone che si ritrovano, passano anni a cercare di lottare, partecipano ai processi, vanno agli anniversari (sia ai "tuoi" anniversari che a quelli di casi analoghi), e questo può essere positivo. Ma poi vedi che dalla prima all'ultima strage i nomi coinvolti sono spesso ricorrenti, le istruttorie si svolgono in modo analogo, con condanne in primo grado spesso annullate da sentenze di assoluzione nei gradi di giudizio successivi... E' dura affermare che non hanno vinto loro...

Francesco "baro" Barilli