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In libreria "Piazza Fontana Noi sapevamo", scritto da Sceresini, Palma e Scandaliato
Nando Mainardi
Fonte: Liberazione, 29 maggio 2010
29 giugno 2010

Piazza Fontana Noi sapevamo (Aliberti editore, pp. 297, 17 euro) - il libro dei giovani giornalisti Sceresini, Palma e Scandaliato - dà la netta sensazione al lettore di essere a un passo dalla verità sulla strage del 12 dicembre 1969. Gli esecutori non hanno ancora, con assoluta certezza, un nome e un cognome ma i loro volti assumono fattezze e lineamenti ormai definitivi. Quei volti non sorprendono. I tre autori intervistano Gian Adelio Maletti, capo del controspionaggio dei servizi segreti militari italiani dal 1971 al 1974, che dal Sudafrica e ormai ottantottenne comincia ad aprire, confermare ed arricchire squarci di verità. Maletti (tessera n. 499 della P2) a tratti si rifugia in dubbie amnesie o prova a scaricare responsabilità pesantissime sul suo braccio destro dell'epoca, e da tempo defunto, Antonio Labruna, e allora i tre incalzano: ne viene fuori una narrazione stranamente corale della strategia della tensione, in cui i silenzi e le risposte ambigue e omertose del generale si alternano alle domande documentatissime e inequivocabili dei giornalisti.
Ma Maletti per l'appunto parla anche, e conferma - contrariamente a tanti colleghi che si sono portati la verità nella tomba e che in vita hanno sempre negato - quanto già emerso nelle sentenze dei processi sulla strage. Gli autori furono i neo-fascisti delle cellule venete di Ordine Nuovo. Il generale si sofferma sulla provenienza dell'esplosivo, fondamentale per comprendere gli obiettivi e le dinamiche generali della strage. L'esplosivo partì da una base americana in Germania e venne consegnato agli ordinovisti, che agirono sotto la regia e le coperture dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero degli interni (il generale minimizza più che può, per ragioni comprensibili, il ruolo del Sid). I mandanti furono perciò gli apparati governativi e i servizi segreti americani, con il silenzio e la complicità del governo e dei servizi italiani. La strage sarebbe stata un "incidente di percorso" non voluto nè dai mandanti nè dagli esecutori: la richiesta era di spaventare l'opinione pubblica e rendere accettabile e gradito l'arrivo di un governo autoritario e golpista; non di uccidere e rovinare la vita a decine e decine di persone e far sanguinare la coscienza democratica del Paese. Almeno questa è la versione di Maletti. Non c'è nessuno spazio per la teoria fantasiosa delle
"doppie bombe" di cui ha scritto Paolo Cucchiarelli ne Il segreto di Piazza Fontana .
Gli autori materiali della strage furono quattro, «due dentro e due fuori», e Maletti - rispondendo con cenni, allusioni e monosillabi - indica nomi e cognomi. Gli assassini vennero protetti dai servizi al punto che chiunque fosse sul punto di parlare e confessare venne fatto sparire o tacere. L'intervista passa poi in rassegna i diversi e tragici capitoli della strategia della tensione, con il generale costantemente impegnato a negare le proprie responsabilità e al contempo a far allusivamente intravedere burattini e burattinai delle bombe e del terrore.
La parte finale del libro vede i tre giornalisti impegnati a rintracciare gli assassini di Piazza Fontana, ed emerge una pista che potrebbe portare alla svolta: uno di loro, fuggito all'estero subito dopo la strage, scappò probabilmente per dimenticare il sangue e i morti e per tagliare i ponti con una militanza oggi rinnegata e nemica. Arrivare a lui potrebbe significare arrivare a un ex fascista criminale disponibile a raccontare tutto ciò che accadde quel maledetto 12 dicembre 1969. Le trame e collusioni che attraversarono gli anni '60 e '70, descritte alternativamente da Maletti e dai suoi tre intervistatori, compongono una sorta di cancro gigantesco e mostruoso che macinò morti e consumò la nostra democrazia. C'è chi ha combattuto quel cancro: non a caso la copertina di Piazza Fontana. Noi sapevamo mostra il mare di gente che partecipò, in una Milano in bianco e nero, ai funerali delle vittime della strage. E c'è chi combatte ancora adesso per arrivare, dopo tanti anni, a quanta più verità possibile. Citando La ballata del Pinelli , i tre autori ricordano che «tra i padroni bisogna cercare». Proprio ciò che quelli come Maletti impedirono a suo tempo di fare.


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