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Serve una storia condivisa sulla strage del 12 dicembre
Federico Sinicato
Fonte: Liberazione, 12 dicembre 2009
12 dicembre 2009

Su piazza Fontana è stato scritto e detto moltissimo e non sempre è facile separare i fatti dalle opinioni: ho ritenuto opportuno riassumere i primi attraverso l'oggettività delle sentenze, lasciando al lettore la libertà del proprio giudizio (...).
Erano le ore 16,37 di venerdì 12 dicembre 1969. Nel salone centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano si stavano svolgendo per antica consuetudine le contrattazioni. Improvvisamente vi echeggiava il fragore dell'esplosione di un ordigno di elevata potenza. Quattordici erano i morti, destinati ad aumentare a sedici entro il 2 gennaio del nuovo anno (...).
Gravemente feriti restavano nell'interno della sede bancaria altri quarantacinque clienti. Vari feriti contava anche il personale della banca oltre a sette persone che si trovavano sul marciapiede di Piazza Fontana.
Verso le 16,25 dello stesso giorno nella sede centrale di Milano della Banca Commerciale Italiana, sita in Piazza della Scala, era stata intanto rinvenuta dal personale di servizio una borsa di similpelle contenente una cassetta metallica.
Lo stesso 12 dicembre in Roma, dopo breve tempo esplodevano altri tre ordigni: il primo scoppiava alle ore 16,55 nel sottopassaggio esistente nell'interno della Banca Nazionale del Lavoro, sita in Via S. Basilio, e provocava lesioni personali a quattordici dipendenti di tale Istituto.
Il secondo ed il terzo sull'Altare della Patria in Piazza Venezia, rispettivamente alle ore 17,22 alla base del pennone alza-bandiera del monumento ed alle 17,30 sui gradini della porta di accesso al Museo del Risorgimento sito nella parte posteriore del monumento medesimo.
Producevano con la proiezione di schegge, varie ferite a quattro persone.
Mentre venivano compiute le più urgenti operazioni di soccorso dei feriti, giungeva dalla non lontana sede della Banca Commerciale Italiana la notizia del rinvenimento di una borsa di similpelle contenente una cassetta metallica del tipo "portavalori" chiusa a chiave (...).
Si sospettava subito che il suo contenuto potesse consistere in un ordigno esplosivo già innescato. La si faceva brillare vero le ore 21 con una carica di tritolo applicata alla serratura. In serata la Questura faceva sapere che la matrice della strage, con tutta probabilità, era anarchica.
La stessa sera del 12 dicembre si procedeva al fermo, a Milano, dell'anarchico Giuseppe Pinelli dipendente delle FF.SS (...). Verso la mezzanotte del 15 dicembre il Pinelli precipitava da una finestra dell'edificio di Via Fatebenefratelli (...).
La mattina del 15 dicembre 1969 il tassista milanese Cornelio Rolandi spontaneamente si presentava alla Stazione dei Carabinieri di Milano - Piazza Duomo e raccontava di aver trasportato da Piazza Beccaria a Via S. Tecla (di fianco alla Banca Nazionale dell'Agricoltura) un uomo con una borsa nera di similpelle.
Accompagnato a Roma riconosceva, previa conferma di quanto dichiarato il giorno prima nella Questura di Milano, proprio il Valpreda, fra cinque persone allineate davanti a lui.
Il 26 dicembre 1969 si presentava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso l'avv. Alberto Steccanella, residente a Vittorio Veneto, il quale, riferiva che verso le ore 22 del 15 dicembre si era recato da lui il Prof. Guido Lorenzon da Maserada sul Piave, insegnante di lingua francese, e lo aveva messo al corrente della esistenza di un'organizzazione eversiva paramilitare diretta da tal Giovanni Ventura, depositario, secondo lui, di un ordigno esplosivo in un edificio pubblico di Milano nel maggio 1969, nonchè dei noti attentati ai treni verificatisi nel periodo 8-9 agosto dello stesso anno in varie zone d'Italia.
Il 5 novembre 1971, durante l'esecuzione di alcuni lavori di restauro nella soffitta della casa di abitazione appartenente a tal Pisanello Armando in Castelfranco Veneto, venivano rinvenuti armi ed esplosivi.
Dal Pisanello si risaliva a Giancarlo Marchesin che dichiarava di averle avute in consegna dal suo amico Franco Comacchio, il quale a sua volta le aveva ricevute da Giovanni Ventura. Dichiarava che, nel 1969, Giovanni Ventura gli aveva fatto la proposta (da lui non accettata) di collocare ordigni esplosivi nella toilettes di prima classe di convogli ferroviari.
Traendo spunto dai riferimenti di Guido Lorenzon e Franco Comacchio al congegno meccanico a tempo (utilizzabile in ordigni esplosivi) fatto vedere al primo e consegnato al secondo da Giovanni Ventura, si accertava, così, nel gennaio 1972, che Franco Freda aveva acquistato simili congegni in più riprese nel settembre del 1969 (...).
Quando gli elementi che portavano a Piazza Fontana divennero rilevanti il Giudice Stiz trasmise l'inchiesta a Milano per competenza territoriale.
Giovanni Ventura aveva nei suoi interrogatori fatto riferimento ad un «giornalista romano di nome Guido» ponendolo in relazione con l'attività terroristica veneta.
Il "Guido" in questione era "Guido Giannettini" (...)..
Una clamorosa intervista appariva sul settimanale Il Mondo del 20 giugno: il Ministro della Difesa, On. Giulio Andreotti, nel corso di un colloquio con il giornalista Massimo Caprara sui problemi del riordinamento dei Servizi di Sicurezza e di Informazione dello Stato, rivelava che Guido Giannettini era un informatore regolarmente arruolato dal S.I.D.
In data 30 agosto 1972 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano avanzava formale richiesta di rimessione del procedimento ad altra sede giudiziaria per motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto ai sensi dell'art. 55 C.P.P.
La Cassazione accoglieva l'istanza e rimetteva il giudizio alla Corte di Assise di Catanzaro. Il Giudice Istruttore di Catanzaro, Delledonne, raccoglieva sia le indagini romane e milanesi che l'inchiesta veneta su Freda e Ventura in un unico fascicolo e, con grande pazienza riusciva a portare a giudizio la più complessa vicenda giudiziaria fin allora affrontata in un'aula di tribunale. Pietro Valpreda era detenuto da due anni e, malgrado le contemporanee accuse ai neonazisti veneti contraddicessero la tesi della sua responsabilità, le norme del Codice Rocco non ne consentivano la liberazione. Solo l'entrata in vigore della legge 15 dicembre 1972 n.773 (legge Valpreda) da tempo invocata da molti giuristi potrà consentirgli, finalmente, di ottenere la libertà provvisoria (...).
Come è noto, la Corte d'Assise di Catanzaro, il 23 febbraio 1979 condannava all'ergastolo Freda, Ventura e Giannettini, a quattro anni di reclusione il Generale Maletti e a pene minori il capitano La Bruna e il maresciallo Tanzilli, mentre assolveva Valpreda dal reato di strage per insufficienza di prove. Seguivano il giudizio d'appello, la Cassazione e un nuovo giudizio avanti la Corte d'Assise di Bari nei quali l'imponente quadro indiziario contro la cellula veneta si aggrovigliava generando l'assoluzione anche di Freda, Ventura e Giannettini. Il 27 gennaio 1987 la Corte di Cassazione metteva la parola fine al processo, confermando le assoluzioni.
L'attività istruttoria, nata formalmente nel 1992, si è basata soprattutto sulle dichiarazioni di Carlo Digilio e di Martino Siciliano (...). E' opportuno innanzitutto sottolineare che, le dichiarazioni di Carlo Digilio e Martino Siciliano rivestono un'importanza e una valenza elevatissima sia perchè rese dall'interno di un mondo come quello dell'estrema destra, storicamente povero di collaboratori o di dissociati, sia perchè corroborate da moltissimi altri testimoni che hanno vissuto parte di tali esperienze (...). Al termine di questa complessa istruttoria la Procura di Milano rinviava, comunque, a giudizio per il reato di strage i seguenti imputati: Carlo Maria Maggi, medico veneziano segretario del Trieneto del movimento neonazista "Ordine Nuovo" fondato da Pino Rauti; Delfo Zorzi, mestrino esperto di arti marziali e cultura orientale; Carlo Digilio, veneziano esperto di armi ed esplosivi; Giancarlo Rognoni, fondatore del gruppo neofascista milanese "La fenice".
Iniziato il processo, il 30 giugno 2001 la Corte d'Assise di Milano riteneva provata la responsabilità degli imputati condannandoli all'ergastolo, mentre, concesse a Digilio le attenuanti generiche per la collaborazione, il reato nei suoi confronti era dichiarato prescritto. La sentenza d'appello del 12 marzo 2004 ribaltava il verdetto assolvendo Zorzi, Maggi e Rognoni per insufficienza o contradditorietà della prova ma, nella complessa motivazione, dichiarava la responsabilità del Gruppo di O.N. nell'attività terroristica compiuta nel '69 insieme a Freda e Ventura (...).
Il 3 maggio 2005, davanti alla Corte di Cassazione, il rappresentante della Procura Generale aveva sorprendentemente dichiarato di essere stato incaricato del caso da poco per l'improvviso impedimento del collega titolare e dunque, la sua valutazione sarebbe stata necessariamente sintetica ed aveva chiesto il rigetto dei ricorsi della stessa Procura Generale di Milano e delle parti civili. La Corte, dopo una breve camera di consiglio confermava l'assoluzione e chiudeva definitivamente il processo.
Da allora sono passati cinque anni e la ferita al corpo democratico della Nazione non si è rimarginata. Come ebbe a dire il Presidente Ciampi, «le sentenze si rispettano ma è doloroso dover vedere che la giustizia non è stata in grado, dopo tanti anni di investigazione, di acclarare i fatti e trarre le conseguenze su chi fossero i colpevoli».
Sono convinto che la Strage di Piazza Fontana abbia segnato un momento drammatico della storia repubblicana che ha contribuito in modo rilevante a produrre l'attuale reciproca distanza e incomunicabilità tra le culture di destra e di sinistra. Credo che l'accettazione di una storia condivisa sulla Strage del 12 dicembre si renderà necessaria se si vogliono superare gli steccati tra generazioni politiche da quarant'anni contrapposte, così come si è faticosamente giunti al riconoscimento da parte di tutti della Resistenza e della Liberazione come valori fondanti del patto democratico di questo paese.
Per raggiungere questo risultato, probabilmente, potranno essere, necessari altri approfondimenti giudiziari e la rinuncia alla persistente reticenza di una parte di coloro che a destra e nelle istituzioni hanno avuto un ruolo in quei contesti.
Nuovi e importanti elementi di valutazione sono emersi recentemente anche per l'opera ampia e attenta della Procura della Repubblica di Brescia che indaga sulla Strage del 28 maggio 1974 di Piazza della Loggia. Il Legislatore ha voluto che il reato di Strage fosse imprescrittibile, i familiari hanno dimostrato perseveranza nell'inseguire la verità e la giustizia, se ognuno farà lealmente la sua parte non è impossibile che, finalmente, si possa scrivere una pagina definitiva e condivisa su Piazza Fontana.