Rete Invibili - Logo
In Italia come in Grecia: pronti alla guerra civile neofascisti e militari
Saverio Ferrari
Fonte: Liberazione, 12 dicembre 2009
12 dicembre 2009

La stagione delle stragi in Italia, fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta ebbe una lunga incubazione. Trovò il proprio terreno di coltura, ancor prima che nella classe politica, negli apparati dello Stato, passati quasi senza soluzione di continuità dal fascismo alla democrazia. Si pensi ai vertici militari, degli organi di polizia e dei servizi segreti. L'ambito fu quello della "guerra fredda", che spinse ampi settori delle classi dirigenti alla convergenza con le destre e all'utilizzo dei fascisti.
In questo contesto, ben prima del Sessantotto e dell'autunno caldo va rintracciata una data la cui importanza ha rappresentato uno spartiacque nella storia d'Italia: il luglio 1960, quando naufragò il tentativo del democristiano Ferdinando Tambroni di varare un governo con i voti determinanti dell'Msi. L'imponente reazione popolare nelle piazze, con scontri in numerose città, diversi morti e feriti causati dalle forze di polizia che a più riprese spararono sui manifestanti, rappresentò una grande prova di forza delle sinistre. Il governo fu costretto a dimettersi.
Genova rappresentò l'epicentro di questo sommovimento democratico e antifascista. Qui si impedì materialmente lo svolgimento del congresso missino, chiamato a sancire l'alleanza governativa.
Da allora l'avvio di una strategia eversiva incarnata dalle gerarchie militari, al di fuori dalla legalità costituzionale, ma in stretta relazione con la destra repubblicana statunitense, l'Alleanza atlantica e la sua struttura militare, la Nato. Le minacce golpiste, l'evocare il "tintinnar di sciabole", nell'estate del 1964, da parte del generale Giovanni De Lorenzo e dall'Arma dei carabinieri, per imbrigliare il primo centro-sinistra, ne rappresentarono solo una prima per quanto organica espressione.
In quegli anni, nell'ambito delle Forze armate, si tennero importanti convegni di studio con al centro il tema del pericolo comunista, visto non più unicamente attraverso l'ottica della forza militare, ma della forza delle idee. Uno di questi passò alla storia. Organizzato dallo Stato maggiore dell'esercito e finanziato dal Sifar (Servizio informazioni forze armate), si tenne tra il 3 e il 5 maggio 1965 all'Hotel Parco dei Principi di Roma. Titolo: "La guerra rivoluzionaria", sulle "tecniche adottate dai comunisti" di penetrazione nel mondo occidentale. "La guerra rivoluzionaria" veniva descritta come una nuova forma dell'offensiva scatenata dal comunismo internazionale, capace di mimetizzarsi nelle lotte, nelle agitazioni sindacali, come nelle nuove mode giovanili. Alla presidenza del convegno il tenente colonnello Adriano Magi Braschi, il massimo esperto di "guerra psicologica" dell'esercito. In sala alti ufficiali, esponenti della destra politica ed economica. Tra i fascisti, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie, Mario Merlino e Carlo Maria Maggi, il "reggente" di On per il Triveneto, poi processato e assolto per la strage di piazza Fontana e per quella davanti alla Questura di Milano, il 17 maggio 1973. Maggi è tuttora alla sbarra a Brescia nell'ultimo processo per la bomba del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia, che causò otto morti e 103 feriti.
E' proprio a seguito del luglio 1960 che le principali organizzazioni della destra extraparlamentare, da Ordine nuovo ad Avanguardia nazionale, in un rapporto di contiguità coll'Msi, cominciarono a raccogliere armi e a dotarsi di strutture clandestine, nella prospettiva di un colpo di Stato. Altre si costituirono ex novo con questa finalità, si pensi a Europa civiltà. Altre ancora, come il Mar (Movimento d'azione rivoluzionaria), un gruppo di ex partigiani "bianchi", anticomunista, presente in Valtellina, si posero a loro volta su questo terreno.
Indicative le parole scritte nell'agosto 1960, da Julius Evola, la principale guida teorica e spirituale del neofascismo italiano: «Dopo aver appreso la lezione dei fatti di Genova» - intervenne su L'Italiano , una rivista d'area missina - «si dovrebbe lasciare trascorrere un periodo di apparente calma politica, che in realtà sarebbe solo un periodo di accurata preparazione; non trascurare alcun dettaglio. Poi il colpo decisivo», con l'esercito e con «le associazioni d'arma», con i «sindacati non comunisti», nella prospettiva di «un'ora X» quando «tutti i punti nevralgici della nazione dovrebbero essere presidiati, e dall'esercito e dalla polizia». A tale scopo, indispensabile, era sempre secondo Evola, il sostegno del Vaticano e della Nato.
Da allora anche il massiccio reclutamento dei neofascisti negli apparati di sicurezza, dal Sid, il servizio segreto militare, all'Ufficio affari riservati, dipendente dal ministero dell'Interno.
Il colpo di Stato in Indonesia, nell'ottobre 1965, pochi mesi dopo il convegno all'Hotel Parco dei Principi, con cinquecentomila comunisti passati per le armi, suscitò l'entusiasmo nelle fila dell'estrema destra, e non solo. Ma soprattutto lo sferragliare in Grecia, per le vie di Atene, nella notte fra il 20 e il 21 aprile 1967, dei carri armati mossi dai colonnelli per troncare la democrazia, convinse lo schieramento golpista che anche nel cuore dell'Europa si poteva fare altrettanto.
In Grecia il colpo di Stato venne attuato applicando il piano "Prometeo", predisposto come in tutti i paesi aderenti alla Nato, per fronteggiare l'eventualità di una "sollevazione comunista". Nello spazio di cinque ore furono arrestate più di diecimila persone, poi trasferite in "centri di raccolta". Alle sei del mattino era già tutto finito. Non c'era stata alcuna resistenza.
Dietro i colonnelli gli Stati Uniti. Il Kyp, il servizio segreto era sotto il loro diretto controllo, modellato e finanziato dalla Cia.
Tra la primavera del 1964 e il 1967, la Grecia fu scossa da una catena di attentati. Prima alle caserme, poi ad Atene, dove il 20 agosto 1965 nella stessa notte scoppiarono diversi ordigni e gruppi organizzati attaccarono poliziotti isolati. Si accusarono subito gli anarchici e gli studenti di sinistra. Si scoprì in seguito che ad operare erano stati proprio gli agenti del Kyp, spalleggiati dal movimento neofascista 4 agosto, costituito nel 1964 da Costantino Plevris, il teorico del "social-nazionalismo" greco. Ancor prima ci fu una strage, nel novembre 1964, in occasione di una celebrazione organizzata dai reduci della resistenza al ponte di Gorgopotamos. Cinque i morti e più di un centinaio i feriti. La destra accusò gli stessi partecipanti di aver portato al raduno l'ordigno che poi esplose.
La Grecia aveva fatto scuola. Da testimonianze si è saputo anche di addestramenti all'uso di esplosivi e sulle tecniche della guerriglia urbana organizzati per i neofascisti italiani. Particolarmente significativo fu in questo ambito il viaggio di "studio" ad Atene di una cinquantina di esponenti di Ordine nuovo, Avanguardia nazionale ed Europa civiltà, dal 18 al 25 aprile del 1968, nel primo anniversario del golpe. Tra loro, Rauti, Adriano Tilgher, Giulio Maceratini e Mario Merlino. Furono ricevuti da Stylianos Pattakos, uno dei membri più autorevoli della giunta militare, con tanto di foto a celebrare l'evento.
La strage di piazza Fontana si consumò alle 16.37 del 12 dicembre 1969, un venerdì, all'interno del salone centrale della Banca nazionale dell'agricoltura. Diciassette i morti e 84 i feriti. Non fu scelta per caso Milano, nel pieno delle mobilitazioni operaie e studentesche. Ma forse fu un caso che lì si compisse la prima di una lunga catena di stragi. Il 15 aprile a Padova, una bomba aveva devastato il rettorato dell'università, il 25 dello stesso mese, a Milano, venti persone erano rimaste ferite alla Fiera campionaria da un'esplosione all'interno dello stand della Fiat. Una seconda bomba era deflagrata alla stazione Centrale, nell'ufficio cambi della Banca nazionale delle comunicazioni, per fortuna procurando solo danni. Il 12 maggio successivo tre ordigni erano stati rinvenuti inesplosi, uno al Palazzo di giustizia di Torino e due a Roma presso gli uffici della Procura e della Cassazione.
Il 24 luglio, sempre a Milano, era stato scoperto e disinnescato un altro ordigno nei corridoi del Palazzo di giustizia. Tra l'8 e il 9 agosto, si erano verificati otto attentati su altrettanti convogli ferroviari, causando dodici feriti. Le stesse mani avevano costruito e collocato quegli ordigni. Le bombe trovate inesplose mostrarono assoluta identità con i frammenti rinvenuti a Padova e alla Fiera. Fino al tentativo più grave, il 4 ottobre, con la scoperta di sei candelotti di gelignite, con una potenza distruttrice doppia rispetto a quella poi usata a piazza Fontana, collegati a un congegno a orologeria e posti in una cassetta sul davanzale dei bagni della scuola slovena di Trieste. Solo a causa di un difetto tecnico la bomba non aveva funzionato. Se fosse scoppiata si sarebbe fatta una strage di bambini.
Pochi anni prima Clemente Graziani, uno dei massimi dirigenti di Ordine nuovo, aveva scritto: «L'obiettivo essenziale della lotta non è più costituito dal possesso del territorio ma dalla conquista delle masse...Questo concetto implica la possibilità di uccidere, vecchi, donne, bambini. Queste forme di intimidazione terroristica sono, oggi, non solo ritenute valide, ma, a volte, assolutamente necessarie per il conseguimento di un determinato obiettivo».
Il progetto era di innescare una guerra totale, annullando il confine tra guerra regolare e irregolare, tra militari e civili. La società si trasformava in un campo di battaglia per combattere il comunismo. Tutti i mezzi erano possibili, bombe comprese, per spaventare, provocare, incolpare le sinistre.
Solo quarantotto ore prima della strage di piazza Fontana, il 10 dicembre 1969, il segretario nazionale dell'Msi Giorgio Almirante dichiarava al settimanale tedesco Der Spiegel : «Le organizzazioni giovanili fasciste si preparano alla guerra civile».
Questa fu la strategia della tensione. Dietro i gruppi fascisti, la classe dirigente con le sue tentazioni eversive, i militari e la Nato.