Rete Invibili - Logo
Il fantasma di Pasolini sui Palazzi della politica
Enrico Campofreda
8 febbraio 2006

C'è un gruppo d'intellettuali e amici del poeta che raccoglie firme per riaprire il processo Pasolini. Da cultori e orfani della sua figura aderiamo all'iniziativa e la divulghiamo. Gli interessati possono sottoscrivere a: appellopasolini@yahoo.it


"Il coraggio intellettuale della verità e la pratica
politica sono due cose inconciliabili in Italia"



"Io so", avrebbe detto, come nell'incipit de "Il romanzo delle stragi" scritto il 14 novembre 1974 e raccolto nei celebri "Scritti Corsari". Con lui anche noi sappiamo, certo non abbiamo prove. Ma indizi sì, parecchi.
Li respiravamo proprio nei mesi a ridosso delle bombe fasciste di Piazza della Loggia e dell'Italicus, opera dell'ordinovista Mario Tuti e dei suoi camerati toscani e bresciani, vezzeggiati dal partito di Almirante e del delfino Fini. Coccolati dal neofascismo istituzionale del Msi accettato nel Parlamento della Repubblica nata dalla Resistenza, addestrati dalla Cia e dai Servizi golpisti dei Miceli e Giannettini, protetti dalla crema politica dorotea degli Andreotti e Rumor e da certo clericalismo oscuro e oscurantista.
Carezzati dalla P2 gelliana che raccoglieva accanto a fascisti vecchi e nuovi, democristiani e socialisti, squadristi e malavitosi, opportunisti e facce televisive che i partiti della lottizzazione Rai tolleravano e caldeggiavano. Hanno continuato a farlo per anni. Una faccia per tutte? La finto bonaria di Maurizio Costanzo, principe del chiacchiericcio untuoso, servile, colluso e traffichino, che rafforzava quella mutazione antropologica degli italiani attraverso il tubo catodico di cui il poeta scriveva: "la propaganda tv rappresenta il momento qualunquistico della nuova edonistica del consumo".
Taluni indizi potevamo raccoglierli durante le ronde antifasciste in uno dei luoghi di raduno degli squadristi missini: il Fungo dell'Eur. Ci dica il ministro Alemanno, munito del sorrisino da ragazzo bene che tanto ricorda i pariolini del Circeo, se insieme al compare e anch'egli ministro Storace, bivaccava in quel luogo. S'accompagnavano ai militanti-squadristi del Fronte della Gioventù, nevvero? Quelli che vagavano per viale Europa a urlare minacciosi contro il "regista lubrico" come ricorda Marco Tullio Giordana nel suo splendido film-denuncia sullo strazio del poeta.
Ci dicano Alemanno e Storace se tracciavano anch'essi scritte cubitali sotto la casa romana di Pasolini prossima al "Colosseo quadrato", slogan contro il comunista, il diverso, il frocio. Quante volte abbiamo ripulito quei muri e le strade adiacenti dalla feccia che sarebbe diventata di governo.
Fascisti, ecco chi potrebbe aver assassinato Pasolini perché ne odiavano la mente libera e luminosa. L'odio per la vita che quell'ideologia esprime - dal regista presa a metafora in "Salò o le 120 giornate di Sodoma" - ha fatto di questi tristi figuri, dagli inizi della loro tragica storia, sanguinari assassini in molti casi usati anche da altri poteri. In quello stragismo italico, che nel profetico articolo il poeta denunciava, c'era tutto ciò. E tanto già bastava per farlo fuori.
C'erano le responsabilità internazionali giocate dall'America gendarme del mondo che attraverso gli organismi dell'Oss e poi della Cia interveniva a imporre il suo operato e interferiva nella vita pubblica. E quando si parla d'intrighi internazionali l'uso della manovalanza d'ogni genere, malavitosa in primis, è all'ordine del giorno. L'Italia del dopoguerra a partire da Portella della Ginestra è stato un laboratorio speciale di stragi, misteri, insabbiamenti come all'epoca dei massacri di civili operati dai nazifascisti e celati per decenni nei vergognosi armadi delle Procure Militari.
Fra le vergogne italiche c'è l'oblìo che molti hanno voluto far cadere su quell'orrendo delitto. La morte di Pasolini ha sgombrato il campo da un ferreo oppositore agli intrecci della real politik praticata dal suo stesso Partito Comunista cui non perdonava né metodo né contenuti. Scriveva nel famoso brano: "Gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere". E ancora: "Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia solo quando un uomo politico deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, ma su cui, a differenza di me, non può non avere prove, o almeno indizi". Inutile dire che nessun politico di maggioranza e opposizione farà mai né nomi né congetture e Pasolini stava già commentando la sua fine.
Come per il mistero di Ustica, altre stragi di cui si sono chiarite per filo e per segno finalità, colore, risvolti - il caso limite è Piazza Fontana - sono state col tempo trasformate in "mistero". Dopo lineari sentenze di condanna con nomi e cognomi d'esecutori e mandanti si sono rialzati polveroni e dubbi. Addirittura per una delle stragi più odiose e luttuose, quella della Stazione di Bologna, sono tornati comodamente in semilibertà i pluriomicidi, stragisti e pluricondannati dei Nar Mambro e Fioravanti mentre svolazzano fantasie revisioniste su fantomatiche piste di terrorismo internazionale.
A uccidere l'intellettuale scomodo c'è quel mondo economico-politico descritto nell'incompiuta di "Petrolio" e anche altri potenti di Palazzo colpiti dalla trasversale chiamata di correo sulla propria omertà. Purtroppo epitaffio della sua denuncia è quanto scrive sempre in quell'articolo "Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia".


Enrico Campofreda, 8 febbraio 2006

Vedi anche: