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APPUNTI PER UN ROMANZO SULL'IMMONDIZIA
Enrico Campofreda
12 dicembre 2005

"Vorrei dirvi di una giornata di sole/ che splendette nell'Aprile del 1970 su Roma:/ gli scopini stavano a casa loro./ Stiamo qui, a casa nostra, in borgata:/ il nostro interprete sa tutto di noi, l'unica/ differenza sta nel fatto che lui-/ Chi parla per noi si trova davanti al fatto inesprimibile,/ ch'esser scopino è un gran mistero./ Nessuno sa né dove né quando/ viene 'sta vocazione./ Tocca cercà, tocca cercà: e dove ti ritrovi?/ In fonno ar mondo: laggiù/ bruciava un foco, magari sur mare;/ o sotto 'na montagna ci stava la carogna/ d'una pora gatta, che gli aveva detto male:/ chi l'avrebbe immaginato che sarebbe toccato a noi?/ Eppure è venuta la vocazione/ Noi apparteniamo all'Ordine degli Scopini/ Ci rassomigliamo tutti come i frati:/ il primo voto sarebbe quello del silenzio./ Lo scopino se ne va tutto solo col suo bidone/ sul carrettino, e lo spigne, cercando-/ Al sole o al brutto tempo lo scopino spigne il carrettino con sopra il bidone, e lo scopone in mano, cercando/ Non si lascia distrarre da niente, come uno che prega-/ A lui gli basta andare, in riva al mare/ o tra li palazzi della città-/ Lo scopino se ne va tutto solo e zitto, cercando-/ Si raduna coll'altri scopini dove nessuno li vede,/ come li frati/ Puerum Deum me appellavit, mater mea/ serva erat, pater servus;/ sicut Sanctus Agostinus/ pomos in hortis involavi;/ saxa eicci contra pueros aliorum subiurbiorum; in prati set in cavernis cum amicis meis/ actos impuros feci;/ postea homo cactus sum: et viam incepi/ quam nullus amicus, nullus homo cognoscit;/ Deus mihi eam instruxit;/ per illam viam hic perveni./ E oggi 24 Aprile 1970/ è giorno di sciopero: l'Ordine degli Scopini/ è entrato nella storia;/ bisogna essere contenti, come se gli angeli/ fossero scesi sulla terra, a sedersi sulle panchine dei viali/ e sui muretti della borgata;/ è giorno di Rivelazione;/ è caduta ogni separazione tra il Regno d'Ognigiorno/ e il Regno della Coscienza;/ ciò che resta intatta è l'umiltà;/ perché chi ebbe una vocazione vera/ non conosce la violenza; e parla con grazia/ anche dei propri diritti"

Pier Paolo Pasolini


'Come si fa a non amare Pasolini' ha titolato Mimmo Calopresti un filmato che presenterà nella sezione Forum del prossimo Festival di Berlino. Assembla immagini inedite raccolte dal poeta in occasione dello sciopero dei netturbini romani nella primavera 1970 e altri spezzoni in cui compaiono Siciliano che legge parti della poesia composta per quell'agitazione da Pasolini stesso. E Bernardo Bertolucci che ricorda le esperienze avute come aiuto regista di Accattone, Ninetto Davoli, Laura Betti, Totò e Modugno sul set e il rappresentante della categoria dell'epoca, Silvano Pellegrini, che fa una carrellata della memoria sulle miserie del lavoro di spazzino.
Certo come non amare chi fa nascere il fiore della poesia dall'immondizia delle nostre città? Ascoltare quei versi - mentre scorrono le immagini degli scopini in azione in una mattina grigia ai Mercati Generali dell'Ostiense, lì a due passi dalle Ceneri di Gramsci del cimitero acattolico della Piramide, e sempre vicinissimi all'amato Testaccio, quello di via Zabaglia "il Testaccio disadorno tra il suo grande lurido monte, i lungoteveri, il nero fondale, oltre il fiume..." - fa un effetto speciale e di vuoto al tempo stesso. Come i fotogrammi del funerale del poeta, dove non c'erano i politici, tutti, che lo disprezzavano, ma facce qualunque di popolo a testimoniare una mancanza che dura tutt'oggi.
Era il 1970. Era scoppiato il Sessantotto e c'era stato l'autunno caldo ma alcune categorie, gli spazzini appunto somiglianti più ai carusi delle solfatare che all'operaio fordista, lavoravano ancora in condizioni miserrime. Prelevavano i rifiuti su per gli appartamenti secchio per secchio, casa per casa, riponendoli in sacchi di iuta accollati giù per le scale dei condomini. Oppure rimuovendo i grandi cumuli con pale di dodici chili. In quindici anni di lavoro riscontravano malattie della colonna e all'apparato osteo-tendineo, spesso malattie polmonari e cutanee per il contatto coi rifiuti marcescenti. Statistiche mediche dell'epoca parlavano d'invalidità del lavoratore fino al 75%.
Scioperarono per tre giorni consecutivi, scioperarono compatti, con adesioni di oltre il 70%, un successo inaudito per una categoria poco sindacalizzata. E avevano tutti contro: gli amministratori, molti politici, la cittadinanza che non gradiva gli afrori dei propri avanzi. Ma ottennero trasformazioni storiche. La raccolta al piano terreno poi trasferita con gli appositi cassoni direttamente sulla strada e la meccanizzazione che rese agevole e meno pericoloso il servizio.
Erano gli anni delle conquiste, solo nel 1970 entrava in vigore lo Statuto dei Lavoratori, un po' la Carta Costituzionale dei salariati che dopo quasi un secolo di lotte sanciva diritti e stabiliva norme di difesa dei ruoli, quelle regole che da tempo nuove leggi unilaterali, votate da Destra e da Sinistra a solo vantaggio delle aziende, stanno smembrando.
E quando la macchina da presa s'insinua con un bel bianco e nero fra zigomi, nuche, menti di quegli uomini semplici e dignitosi, tirati a lucido, che partecipano col vestito della festa all'assemblea sindacale convocata per decretare la dura agitazione, compaiono le facce proletarie amate da Pasolini. I volti masacceschi de "Il Vangelo secondo Matteo", volti di ragazzi cresciuti in borgata e diventati in fretta adulti e siccome a scuola non andavano finivano a fare quello ch'era "il peggiore dei mestieri". Eppure svolgevano con dedizione un lavoro che oggi si direbbe socialmente utile, lo svolgevano con la semplicità degli umili secondo quella che il poeta definisce vocazione, rovesciando la condizione del ruolo da dannati a beati "come se gli angeli fossero scesi sulla terra" scrive.
E l'ode è di per sé un atto d'amore sublime, puro o impuro, non importa. E' poesia, è rosa nell'aridità del mondo.


Enrico Campofreda, dicembre 2005