Rete Invibili - Logo
Thyssen, pena ridotta in appello a 10 anni

«Maledetti, vergognatevi, e adesso arrestateci». È il caos nella maxiaula del tribunale di Torino, occupata da ore da circa 50 persone tra familiari delle vittime, forze dell'ordine e cronisti. Fuori dall'uscio protesta il pubblico che era uscito dall'aula e che non può più rientrare. I familiari gridano: «Fate schifo». «Vogliamo il ministro della giustizia qui». E Laura, la sorella di Rosario Rodinò, uno dei sette operai morti nel rogo: «Adesso non ce ne andiamo da qui finché non arriva qualcuno dal governo. Io mi faccio incatenare». Alla Thyssen non è stato omicidio volontario. La Corte d'assise d'appello del tribunale di Torino ha deciso che non ci fu dolo e, riformando la sentenza di primo grado, ha condannato l'ex ad della multinazionale dell'acciaio Harald Espenhahn a dieci anni per la morte dei sette operai che lavoravano alla linea 5 la notte del 6 dicembre 2007. In primo grado era stato condannato a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. Era stata la prima condanna per omicidio volontario in Italia nei confronti di un imprenditore. Oggi non è più così. Il giudice d'appello ha inflitto condanne per omicidio colposo. Ma senza dolo. Pene fino a nove anni sono state inflitte agli altri cinque dirigenti.
LE REAZIONI - Non appena il presidente della Corte d'assise d'appello, Giangiacomo Sandrelli, ha pronunciato la sentenza, la maxiaula uno del tribunale di Torino è esplosa in un boato. Le madri, le sorelle, le zie. E i padri, gli ex colleghi. Hanno pianto e gridato tutti contro la corte. «Fate schifo ci vuole la giustizia privata». Contro gli avvocati, che sono stati scortati fuori: «Li avete uccisi di nuovo». Sono intervenuti i carabinieri, oltre alla digos. «Il nuovo governo - ha gridato la sorella di Rosario Rodinò - adesso dica cosa vuole fare. Fanno schifo. Questa è una bomba ad orologeria. Volevo vedere se ci fossero stati i figli dei politici. Gli operai bruciati vivi non valgono niente». Si è quasi sfiorata la rissa in aula quando un avvocato civilista - che in questo processo non ha alcun ruolo - e che per hobby scrive come giornalista su un sito, rivolto alle madri che gridavano e piangevano ha detto «Adesso basta». In molti lo hanno rincorso, e i carabinieri lo hanno accompagnato fuori. Massimiliano Quirico, direttore del periodico «Sicurezza e lavoro» nonchè addetto stampa del Comune di Torino, si è messo in contatto con Francesco Profumo, ex ministro dell'Istruzione. «Non può venire perché è a Roma - ha spiegato ai familiari - Balduzzi non risponde al cellulare».
PROTESTE - Dopo due ore di occupazione dell'aula, il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena e il sostituto procuratore Raffaele Guariniello hanno provato - invano - a convincere i parenti delle vittime della Thyssen a interrompere l'occupazione. «Questa è una fase del processo - ha detto Maddalena. Le sentenze si impugnano, le proteste sono legittime ma le occupazioni sono un illecito.». «Abbiamo ottenuto un grande risultato in primo grado - ha aggiunto Guariniello - in appello meno. Non era mai successo che si dessero dieci anni per un infortunio mortale sul lavoro. Non basta certo, pero' intanto incameriamo questo risultato e vediamo, non è finita». «Stiamo gia' lavorando per il ricorso in cassazione - ha precisato - sulla questione del dolo eventuale non ci penso proprio a demordere e sono convinto che abbiamo ragione. Stiamo cambiando la giurisprudenza e le resistenze sono molte».

TESI RESPINTA - La Corte non ha confermato la tesi dell'accusa sostenuta dai sostituti procuratori Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso. Il rogo che si sviluppò sulla linea 5 la notte del sei dicembre 2007 e che uccise sette operai non fu un evento imprevedibile, aveva sostenuto Guariniello. Secondo i pm, fu la conseguenza della scarsa preoccupazione nei confronti della sicurezza degli operai da parte della dirigenza. La fabbrica di Torino - così era stata deciso prima della tragedia - avrebbe chiuso pochi mesi dopo. Per questo i vertici decisero che non conveniva investire sulla formazione, sulla pulizia e sul miglioramento dei sistemi di sicurezza dell'impianto. Oggi il giudice ha respinto questa tesi.

LA DIFESA - Soddisfatta in parte la difesa - rappresentata da molti dei più noti avvocati torinesi come Cesare Zaccone, Franco Coppi, Ezio Audisio e Guido Alleva - che ha cercato durante le 94 udienze del primo grado e le oltre 20 del secondo, di dimostrare che non ci fu dolo. Che alla Thyssen accadde un incidente non prevedibile, che l'azienda investì sulla formazione e sulla sicurezza degli operai. «La linea 5 non era ad alto rischio» ha ripetuto spesso l'avvocato Ezio Audisio. «E ogni volta che Espenhahn veniva a Torino trovava una fabbrica pulita e in ordine». Gli operai, secondo i difensori, sbagliarono quella notte a tentare di spegnere un incendio troppo imponente e troppo pericoloso. Avrebbero dovuto «non intervenire, come prevede il piano di sicurezza in questi casi».

L'ASSENZA DELLA POLITICA - «La politica, dov'è la politica?». Hanno gridato in molti. In aula era quasi assente. A rappresentare le istituzioni in aula c'erano Carlo Chiama, l'assessore provinciale al Lavoro, con alcuni consiglieri e il vicesindaco di Torino, Tom Dealessandri. «Cerchiamo di essere tanti», aveva scritto nei giorni scorsi su Facebook Antonio Boccuzzi, l'operaio superstite neoeletto parlamentare del Pd. In aula si sono presentati pochi politici: i Giovani democratici ed alcuni esponenti del Pd. Oltre al segretario provinciale della Fiom, Federico Bellono, a quello della Fim Claudio Chiarle e una delegazione di ex operai della ex Agile-Eutelia. Fuori dal tribunale, un presidio composto da meno di dieci persone. «Onore ai sette eroi della Thyssen, solidarietà ai loro familiari, il potere deve essere operaio», lo striscione firmato dal Collettivo comunista piemontese. Davanti all'ingresso la transenna montata per contenere la folla è rimasta vuota. Appese al cancello, le foto di Giuseppe Demasi, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Rocco Marzo, Angelo Laurino e Roberto Scola. «La latitanza c'è stata nel corso di tutto il processo d'appello - ha commentato Boccuzzi - ringrazio il mio partito perché oggi ha risposto in un momento storico per Torino e per l'intero Paese. È l'unica risposta. Questa situazione è lo specchio di quel che è accaduto in cinque anni sulla sicurezza sul lavoro. Hanno smontato il testo unico sulla sicurezza sul lavoro».