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«Mauro? Un provocatore geniale e generoso. Faceva succedere le cose»
Fonte: Liberazione, 14 giugno 2008
14 giugno 2008

«Chi era Mauro Rostagno? Era uno che faceva succedere le cose. Quando si presentava nei luoghi dove non accadeva nulla, le cose, poi, miracolosamente accadevano».
Enrico Deaglio ha passato tanti anni accanto a Rostagno. Anni importanti, anni fondativi e formativi per entrambi, per una generazione intera che fece della politica, dell'impegno, un lavoro quotidiano e totalizzante.
«Ci siamo conosciuti nel '69, lavoravamo insieme al settimanale di Lotta Continua. Io - racconta ancora il direttore di Diario - abitavo a Torino, la redazione era a Milano e facevo tutti i giorni avanti e indietro».
«Era un provocatore nato Mauro. Ricordo ancora quella volta che inscenò una protesta contro la guerra in Vietnam: si presentò con un cane urlando che se non fosse finita la guerra lui avrebbe ucciso quel cane. Mauro era così», ricorda con affetto Deaglio.
Per non parlare della sua linea politica negli anni dell'Università, negli anni della facoltà di Trento. «Linea politica: Marx-Freud-Mao-Sesso-Rock'n'roll». E poi quel suo locale, il Macondo «dove si poteva fumare serenamente uno spinello, fare l'amore liberamente e dove i beat americani recitavano le loro poesie».
Poi la passione per la Sicilia. «Andò giù - continua Deaglio - come responsabile di Lotta Continua, come dirigente politico. E anche lì divenne un formidabile catalizzatore di energie. La protesta dei senzacasa palermitana divenne leggendaria. Decise di occupare la Cattedrale normanna di Palermo invocando il diritto alla casa degli abitanti dei "catoi", le spelonche del centro storico».
Fu lì, in quell'occasione che Rostagno si innamorò della Sicilia dove rimase fino al 1976. «Poi sparì nel nulla, in seguito sapemmo che era andato in India. Molti di noi seppero dove era finito solo quando venne ammazzato. Tanti compagni di Lotta continua si erano dimenticati di lui. Del resto anche quei pochi che sapevano del suo viaggio in India e del suo ritorno in Sicilia negli anni '80 si chiedevano che diavolo ci facesse laggiù».
Aveva scoperto il giornalismo Mauro Rostagno, una passione che coltivò al suo solito modo, con creatività, dedizione e impegno totale. Si infilò in un piccola emittente trapanese e divenne il personaggio più famoso della città grazie alle sue inchieste contro la mafia e la corruzione. «Era molto preso dal suo lavoro, fu uno dei primi giornalisti televisivi che fece inchieste vere. Era uno studioso, un sociologo di primissimo ordine Mauro. Passava nottate intere a studiare, a documentarsi. Nonostante l'apparenza non lasciava nulla al caso. Tutti noi conoscevamo il suo talento. Del suo modo di fare giornalismo, purtroppo, non è rimasto quasi nulla. Era contrario ad ogni forma di delega, per questo faceva parlare i cittadini, viveva con loro e raccoglieva le loro denunce».
Ecco chi era Mauro Rostagno. Un uomo libero che voleva liberare anche gli altri uomini. Si scontrò con la mafia, la mafia siciliana di Corleone, di Totò Riina. La più feroce. E fu quella sua vocazione totale alla libertà la sua condanna a morte. Ma finalmente, a vent'anni esatti dalla sua morte, dal suo assassinio, una raggio di luce sembra poter illuminare le notti siciliane.
d.v.