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Dalle carte dell'archivio della Questura di Milano una smentita alla tesi dell'"altro ferroviere anarchico"
Saverio Ferrari
22 gennaio 2010

Non è mia intenzione ritornare in modo organico sul libro di Paolo Cucchiarelli "Il segreto di Piazza Fontana". Una valutazione, assai critica, l'avevo già espressa in un articolo scritto a quattro mani con Francesco Barilli su Liberazione il 20 giugno scorso, ripubblicato poi, in una versione ancora più ampia, sui siti dell'Osservatorio e di Reti invisibili (qui).
Nel ribadire quel giudizio negativo, in particolare l'arbitrarietà di "ricostruzioni azzardate, con concessioni alla più sfrenata dietrologia", utili solo "a ingenerare confusione e mettere in ombra importanti acquisizioni giudiziarie, tra cui l'innocenza degli anarchici", vorrei qui limitarmi a una sola vicenda trattata nel capitolo 10: "Pinelli e l'altro ferroviere anarchico". Un capitolo importante, in cui si ripercorre tutta la storia che vide protagonista, suo malgrado, Giuseppe Pinelli. Nelle pagine in questione si ipotizza, senza uno straccio di riscontro, che l'anarchico, il 12 dicembre, intuendo che i suoi compagni fossero caduti in una trappola, in base alla quale le loro bombe dimostrative (in primis quella alla Banca nazionale dell'agricoltura) venivano "raddoppiate" dai fascisti con altri ordigni destinati invece a provocare stragi, si sarebbe adoperato per evitare che altre due bombe di matrice anarchica (collocate in una caserma militare e in un grande magazzino, la cui reale esistenza non è mai stata accertata), scoppiassero a Milano, appesantendo il bilancio stragista.
Nell'avanzare questa ipotesi, nel suo libro, a pagina 290, Cucchiarelli sostiene in modo perentorio che "fra gli anarchici milanesi, in quei mesi, esisteva, davvero, un infiltrato che faceva il ferroviere. Si trattava di Mauro Meli", un ordinovista "legato a Roma" e in contatto con Franco Freda e Giovanni Ventura. Il tutto basato sulle dichiarazioni dell'ex moglie di Meli, Mirella Robbio, che testimoniò al giudice Guido Salvini: "Ricordo che Mauro mi disse che si era infiltrato nel Circolo Ponte della Ghisolfa al fine di provocare la commissione di episodi che risultassero poi di danno per gli ambienti della sinistra". In realtà Mirella Robbio, prima sostenne che già nel settembre 1969 Mauro Meli lavorava alle ferrovie (si tenga presente che lei lo conobbe solo nel 1971), poi si corresse "affermando che all'epoca l'ex marito lavorava alle Poste". Aveva ragione. Mauro Meli nel 1969 non lavorava in ferrovia, tantomeno a Milano. In questa banale verità mi ci sono imbattuto quasi per caso, consultando una perizia del dottor Aldo Giannuli sulle carte conservate nell'archivio della Questura di Milano. L'incarico gli fu affidato dalla Procura della Repubblica di Brescia, interessata a reperire elementi utili per le indagini sulla strage di piazza della Loggia (Relazione di consulenza, procedimento penale n. 91/97 mod.21. Incarichi del 4 novembre 1999, 7 marzo 2000, 30 gennaio 2001).
Nella sua relazione finale (22 gennaio 2002), il dottor Giannuli nel riassumere il contenuto del fascicolo relativo a Mauro Meli (all.74), da lui esaminato, riporta senza tema di smentita l'archiviazione di una carta attestante la data della sua assunzione nelle "FFSS compartimento di Milano": il 23 agosto 1972. Nel 1969 lavorava davvero alle Poste, a Genova. A riscontro una tessera da dipendente, diligentemente menzionata e riportata nel suo fascicolo.
Conclusioni: che Mauro Meli abbia tentato di infiltrarsi tra gli anarchici è possibile, che gravitasse su Milano non vi è alcun dubbio, che nel 1969 fosse "l'altro ferroviere anarchico" no di certo. Come da sempre sostenuto dagli stessi anarchici e da Giuseppe Pinelli quando era ancora in vita, con buona pace di Paolo Cucchiarelli.


Saverio Ferrari

Milano, 22 gennaio 2010